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L’EDITORIALE – FOLLIE SINISTRE: TAXI DRIVER SAREBBE UN FILM CHE ESALTA LA MASCOLINITÀ TOSSICA (di Matteo Fais)

Cosa ti puoi aspettare da un giornale di gente che esalta i cuckold e la penetrazione del maschio con lo strap-on, se non che ti facciano venire da ridere e bestemmiare al contempo. Nella loro logica di cancel culture e online shaming, i sinistri attaccano qualunque opera o persona – persino di centinaia d’anni addietro – per affermare la loro cultura da invertiti e disturbati mentali. Questi zerbini liberal, infimi prodotti delle università a trazione piddina, vorrebbero rieducarci mettendo in discussione tutta la nostra tradizione occidentale da Omero, passando per Dante, fino ad arrivare – ziocan! – nientemeno che a Taxi Driver. Sì, perché l’ultima loro follia, strombazzata col plauso delle femministe, è la demonizzazione del noto film con Robert De Niro (https://i-d.vice.com/it/article/n7w9zd/taxi-driver-incel-review).

Vice ti consiglia il dito in culo.

In estrema sintesi, per chi non avesse visto il classico in questione, Taxi Driver è la storia di Travis Bickle, un reduce del Vietnam, decisamente depresso e con evidenti problemi nello stare al mondo. Per dirla tutta, l’uomo è semplicemente un individuo più sensibile della media e quindi emarginato nella alienante e competitiva realtà americana (“La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo”). Travis, soffrendo d’insonnia, decide di fare il tassista di notte, occupazione che lo porta a contatto col degrado e il marciume di una società corrotta e sporca, come le strade della città che ogni giorno attraversa. Il giovane uomo trova rifugio nell’amore per una donna idealizzata, Betsy, la cui immagine angelica e dolce fa da contraltare all’universo senz’anima che lo circonda (“Aveva un vestito tutto bianco e mi apparì come un angelo in mezzo a tutto quel sozzume”). In tal senso, egli è certo un po’ ingenuo, come tutti gli idealisti. Travis è, però, il solo a essere ancora capace di amare con slancio e senza risparmio – ovvero, nell’unico modo in cui si può amare. Sfortunatamente, il suo sentimento non sarà corrisposto, perché lei è la solita sciacquetta bionda (“Solo adesso mi accorgo quanto lei assomigli a tutti gli altri. Fredda e insensibile. Ce n’è tanta di gente così, specialmente le donne. Sono tutte uguali”).

Chiaramente, questi suoi discorsi sembrano misogini unicamente agli occhi di un cuckold-zerbino della nuova Sinistra. In verità, il nostro tassista è l’unico sano in una terra malata e senza amore, uno dei pochi a capire che l’atomizzazione delle relazioni distrugge il singolo e la collettività (“Io ho sempre sentito il bisogno di avere uno scopo nella vita, non credo che uno possa dedicarsi solo a se stesso, al proprio benessere. Secondo me uno deve cercare di avvicinarsi alle altre persone“).

Dopo la disillusione amorosa, nasce la rabbia. Il protagonista vuole uccidere un candidato Presidente, visto come la rappresentazione delle ipocrisie del sistema politico e, di conseguenza, dell’universo che ha intorno. Ma, nel mentre, proprio quando sembra sprofondato in un vortice emotivo senza uscita, Travis decide di salvare una giovane prostituta schiava del suo magnaccia. Armato di tutto punto, fa giustizia lì dove non arriva – o non vuole arrivare – lo Stato. 

Il personaggio incarnato da De Niro è, insomma, l’uomo di cui oggi ci sarebbe realmente bisogno: uno che crede ancora nel sentimento e nella solidarietà sociale, che odia la falsità del potere costituito, e che, al cospetto dell’ingiustizia, non si limita a voltarsi dall’altra parte e dire “non è colpa mia”. Egli è la persona che, anche nella più cupa disperazione, non cede al nichilismo e all’apatia, l’uomo in rivolta contro il relativismo e il tramonto dell’Occidente – pur senza avere la benché minima cognizione teorica di questi. 

Ma, ovviamente, per il giornale che saluta giubilante ogni nuova perversione sessuale, Travis è un incel – categoria che loro definiscono “sottocultura”, senza capire che invece si tratta di un fenomeno. In ciò dimostrando la tipica stupidità dei sinistrati, che non sanno neppure leggere le diverse realtà nei loro contesti temporali, e attualizzando ad minchiam, tentano l’ennesima destrutturazione del mondo occidentale, provando a instillare il senso di colpa, nel maschio bianco, verso sé stesso. Travis non è uno dei #blacklivesmatter, quindi per lui non ci può essere compassione. È bianco e, pertanto, privilegiato – ma dove, Cristo Santo? È arrabbiato con le donne, mentre loro amano il n***** che chiama la bianca “troia”, nel porno, a causa della schiavitù conclusasi nell’800 – sono cuckold, non per niente.

Del resto, lo dichiarano loro stessi: “La decostruzione dell’uomo machista può oggi avvenire attraverso due processi, entrambi necessari: la modifica del sistema simbolico dell’oppressore e il decentramento dei privilegi in favore dell’oppresso“. Insomma, come dicono in certi articoli, provando il massaggio prostatico e prendendo il vibratore in culo. Meglio Travis, che non si fa sfondare da dietro ma cerca l’amore.

Matteo Fais

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