Il Detonatore

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L’EDITORIALE – I VERI PROBLEMI DEGLI ITALIANI CHE TUTTI EVITANO PER PARLARE DI DIRITTI CIVILI (di Matteo Fais)

L’Italia è una giungla, una selva oscura. Se Dante vivesse oggi, i famosi versi “Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate”, invece di immaginarli sulla porta dell’inferno, li farebbe figurare all’ingresso di un qualunque ufficio pubblico, o ente vario. Persino con una laurea in Giurisprudenza, un uomo è perduto. E a consultare una bolletta sembra di dover sciogliere l’enigma di un qualche poema esoterico.

Esistono leggi e contro-leggi, interpretazioni e sentenze che fanno giurisdizione contraddicendo quanto stabilito in precedenza dalla politica. Un casino totale – anzi, magari lo Stato funzionasse con l’efficienza di un bordello! Invece, si entra in un ufficio per divenire una palla con cui gli impiegati sembrano divertirsi a giocare a bowling – anche se si tratta semplicemente di burocrazia che certo loro non possono snellire.

Altro che parlare di benaltrismo! Questo bellissimo e disgraziato Paese è pieno di problemi che andrebbero risolti, prima di dedicarsi a faccende oziose quali il matrimonio tra un cane e il suo padrone, o la possibilità di cambiare il proprio sesso. E, mentre un’annoiata e rimbambita opinione pubblica si intrattiene a discutere di #metoo e questioni metafisiche come il numero effettivo dei generi che maschile e femminile non sembrano contemplare, tutto viene lasciato in sospeso. Intanto, la gente collassa sulle scale di edifici dalle porte misteriose dietro le quali altrettanto misteriosi impiegati compilano scartoffie su scartoffie, firmano, inoltrano. È una vita raccontata su carta bollata da spedire con ricevuta di ritorno – ammesso che questa ritorni mai.

Certo, anche la tanto esaltata “Costituzione più bella del mondo” non aiuta. In essa, vi si dice di tutto e quindi anche il contrario di quanto precedentemente affermato. Infatti, se essa è così bella è perché è un po’ come quelle canzoni evergreen in cui tutti ci si possono un poco ritrovare, innamorati e cornuti, assassini e giustizialisti, proprietari e affittuari, disoccupati e miliardari.

Volendo passare a un punto più concreto, prendiamo l’esempio dell’articolo 42: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Tutto bellissimo e dolcissimo, proprio come una canzonetta, in cui ci si ama per l’eternità, che gli amanti ascoltano prima di convolare a nozze, ma quasi mai dopo. Così è per la proprietà privata, in questa Nazione eternamente in cortocircuito. Se hai un mutuo e non riesci più a pagarlo, dopo un po’ ti portano via tutto, ma se uno ti entra in casa e smette di corrisponderti l’affitto Dio solo sa quanto ci vorrà per tirarlo fuori di lì. Sempre che poi non salti fuori che è un malato di cuore, o che sua zia – finita anche lei dentro – non abbia qualche accidente che le impedisce di non avere un tetto sopra la testa. Naturalmente, questo soffitto non glielo si può togliere, se è stato sottratto a un privato, e lo Stato spesso non si preoccupa di fornirglielo lui restituendo le mura al legittimo proprietario. Chi finisce in un simile meccanismo è come se fosse diventato il protagonista vessato da un oscuro e malvagio mostro, in un romanzo di Stephen King…

E questo è solo un caso di malfunzionamento e incertezza all’italiana. Ma quante sono le situazioni altrettanto problematiche? È solo una mezza verità, infatti, che l’Italia non è un paese per giovani. Non lo è per nessuno, a qualsiasi età, e forse neppure da morto – provate a chiedere quanto ci vuole per farvi cremare, sempre che abbiate i soldi per farlo. Ma noi, noi di cosa parliamo? Diritti delle minoranze, linguaggio sessista, mascherine obbligatorie all’ingresso del market. Tutto, pur di non vedere che il problema è sempre un altro.

Matteo Fais

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