IL FASCINO DISCRETO DEI COMPAGNI, OVVERO COSA HO APPRESO DAI COMUNISTI (di Matteo Fais)

Dopo aver pubblicato il mio articolo contro la scuola e sulla riforma Valditara, una lettrice mi ha scritto facendomi notare che io certamente non posso dirmi esente dall’influenza del sistema in questione e di qualche insegnante che – se non ho compreso male – con me deve aver fatto un buon lavoro. Io le ho risposto che sono certamente il frutto del mirabile contributo di una miriade di insegnanti di impostazione comunista che ho definito come un branco di maiali, precisando che li ho sempre disprezzati quanto ammirati.
E, in effetti, devo riconoscere che tutto ciò che ho appreso e messo a frutto lo debbo a quei disgraziati rossi che il Partito ha contribuito a inserire in tutte le case matte del potere culturale italiano.

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Avendo frequentato prima la scuola pubblica, poi la facoltà di Filosofia, ovvero il feudo assoluto del marxismo, tutta la mia giovinezza è trascorsa nella costante osservazione e nel confronto con la potenza rossa. Inutile nascondere che c’era qualcosa in loro che, da sempre, mi ha turbato e, al contempo, affascinato.
Specie in quelle aule universitarie, ho bazzicato le loro assemblee, assistito a centinaia di dibattiti, convegni, discussioni, in cui ho visto messa in pratica l’abilità dei compagni nel manipolare i discorsi, nel difendere l’indifendibile, nel fare, come dice il poeta – Rimbaud –, “dell’infamia una gloria, della crudeltà un fascino”.

La Storia era nelle loro mani, la piegavano con la maestria di uno stregone riuscendo a turlupinare chiunque come sciamani in una tribù. Avrebbero fatto passare Stalin per un martire, Pol Pot per sincero rivoluzionario animato dai migliori propositi. Erano stupefacenti.
Figli di puttana, pensavo ascoltandoli, la mia parte politica non riuscirà mai a costruire una macchina da guerra così strutturata, capace di insinuarsi ovunque, di imprimere i propri colori su ogni evento o fatto. Li scrutavo rapito, covando segretamente un odio profondo, sentendo in me nascere gli anticorpi contro la malia che erano capaci di suscitare.
Quello che mi colpiva ogni volta era che i comunisti, anche i più pezzenti, sembravano tutti rispettabili. Loro erano veramente le persone per bene, mentre quelli di Destra appaiono sempre – e sovente sono – scarti umani antropologicamente impresentabili, culturalmente deprecabili. Quelli ti lanciano persino una molotov con la leggiadria di una dannata ballerina di danza classica. Quei miserabili borghesi, con un lauto stipendio fisso, si atteggiavano a ribelli con un candore sconvolgente – erano proprio puttane che si spacciavano per vergini timorate di Dio.

E, poi, erano onestamente colti, sopraffini, quanto di più lontano dalla imbarazzante ignoranza di una certa Destra da self made men che disprezza il sapere con ripugnante arroganza. I comunisti sapevano davvero presentarsi in società. Malgrado il culto del popolo alienato e martoriato, quello che sta alla catena di montaggio con le mani sporche e certo non indossa la cravatta, i compagni avevano ben compreso l’importanza dell’intellettuale, della guida, la figura di riferimento, l’animale da scrivania che funge da cervello del braccio armato.
Non per niente, avevano dalla loro tutto il mondo dell’arte. Dopo aver difeso solo la più alta, avevano sdoganato anche quella, per così dire, più nazionalpopolare. Lungimiranti e accorti, i comunisti avevano ben afferrato la necessità di dare una casa alle migliori menti creative, mentre la Destra ha sempre pensato che “carmina non dant panem” e, dunque, ha abbandonato scioccamente tutto quel settore, con le sue infinite potenzialità, nelle mani dell’avversario. Che imbecilli!

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In quelle aule che avevano finanche una mestissima architettura interna di stampo sovietico, ho compreso che l’esistenza poteva trovare un suo senso nel combattere proprio quel potere maligno e subdolo, e che per farlo non restava che viverci a stretto contatto, acquisendone tutte le sottili abilità dialettiche, la capacità di zittire e mettere in minoranza, la forza verbale e la sicumera, oltre, manco a dirlo, alla conoscenza della loro infinita sapienza.
Ma l’episodio che sempre mi resterà in mente avvenne poco prima di una lezione, durante il famoso quarto d’ora accademico. Io e gli altri studenti stavamo animatamente discutendo. L’argomento era Berlusconi. Ovviamente, mi trovavo da solo contro tutti. Il professore entrò e, per un attimo, rimase stupito vedendoci così su di giri. Ci chiese, allora, cosa stesse succedendo. Qualcuno gli fece presente che io avevo osato difendere Silvio – praticamente, un’eresia là dentro. Ma quel baffuto simpaticone non si scompose e, meno che mai, assunse un atteggiamento per così dire repressivo o censorio. Anzi, ridacchiò, e mi disse “Fais, non si preoccupi, alla fine si diventa molto simili al proprio nemico. In ultimo, non c’è nessuno, negli atteggiamenti, più staliniano di Berlusconi e più berlusconiano dei comunisti”. Che inutile bastardo, aveva capito tutto!
Matteo Fais
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L’AUTORE
MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”) e, in radio, con la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana. Ha pubblicato L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde e Storia Minima (Robin Edizioni). Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Il suo romanzo più recente è Le regole dell’estinzione (Castelvecchi). La sua ultima opera è una raccolta di poesie, L’alba è una stronza come te – Diario d’amore (Delta3 Edizioni).
C’è una analogia straordinaria tra l’atteggiamento della moderna sinistra woke e i farisei, entrambi condividono la stessa presunta superiorità morale e lo stesso desiderio di essere visti giusti dalle persone col loro finto intellettualismo. La cosa incredibile è che allora come oggi, già dall’ambiente scolastico si poteva intravedere una divisone netta tra le persone che volevano diventare come i farisei (la classica maestrina di sinistra a cui da fastidio il ragazzo troppo intelligente perchè, chi si crede di essere siete tutti uguali) e quelli che sceglievano Gesù Cristo, ovvero la libertà.
Da subito provai un odio irrefrenabile nei confronti di questa ipocrisia e mediocrità, ma soprattutto di questa falsa superiorità di persone che secondo me non valevano nulla e avevano solo studiato quattro belle paroline ripetute a pappagallo. Il vero valore infatti si vede dalla scienza, dall’innovazione, dalla tecnologia, anche dalla creatività artistica intesa come novità, e non certo da chi ripete a memoria il discorsetto del Marx di turno trito e ritrito fingendosi grande uomo di cultura.
Nella mia vita ho avuto il dono di superare talmente tanto in ciò che ho fatto queste persone, da poter comprendere che in realtà avevo ragione fin da quando ero bambino: erano delle nullità, ciechi guide di ciechi volendo citare sempre le parole di Cristo.
Rivederli dopo 20 anni ancora a leccare il culo del politico di turno sperando di avere 50 euro in più in busta paga mi ha dato la conferma definitiva di quanto ho sempre saputo.
Personalmente a scuola ho maturato la mia idiosincrasia nei confronti della sinistra, o per meglio dire ho realizzato come essa sia composta perlopiù da una massa di livorosi frustrati avulsi dal mondo del lavoro (vero) e invidiosi delle altrui fortune.
E proprio la figura dell’insegnante, peggio se di materie umanistiche, fornisce spesso la cifra della pochezza antropologica dell’uomo di sinistra: un incapace ultraideologizzato che, non sapendo confrontarsi a viso aperto col mondo del lavoro, preferisce il comodissimo fancazzismo del posto fisso che più fisso non si può (quello appunto degli insegnanti, pagati come un impiegato per lavorare la metà delle ore, pressoché esenti da valutazioni e sostanzialmente inamovibili).
Essi rappresentavano ai miei occhi di studente un esercito di ducetti innamorati del suono della propria voce, pervicacemente aggrappati a un’oasi di intoccabilità in cui potevano continuare a baloccarsi nelle proprie idee marxiste (magari tentando pure di propagandarle), mentre nel mondo reale crollava il muro di Berlino, crollava l’URSS e il comunismo falliva ovunque si fosse manifestato.
E’ proprio questo l’altro tratto tipico della figura dell’insegnante, ciò che lo rende naturalmente contiguo alla sinistra: l’incolmabile distanza dal mondo reale.
Il che ovviamente travolgerebbe qualunque operatore privato (dipendente o autonomo che fosse), ma rimane possibile in quella bolla “magica” che è il mondo del pubblico impiego, e ancor più dell’insegnamento.
Una bolla della quale, peraltro, i diretti interessati si lamentano spesso e assai pateticamente, non avvedendosi probabilmente del fatto che, se 1600 euro non sono poi tanti, il fatto di guadagnarli per lavorare solo 18 ore settimanali è un privilegio non da tutti…