Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

ELOGIO DEL PENSIERO DEBOLE CONTRO IL FANATISMO DEL PENSIERO FORTE (di Matteo Fais)

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“HOEDERER: […] Tu non ami gli uomini, Hugo. Tu non ami che i principi. HUGO: Gli uomini? Perché dovrei amarli? Mi amano, forse? HOEDERER: Allora perché sei venuto tra noi? Se non si amano gli uomini, non si può lottare per loro. HUGO: Sono entrato nel Partito perché la sua causa è giusta e non ne uscirò che quando essa avrà cessato di esserlo. Quanto agli uomini, non m’interessa quello che sono, ma quello che potranno diventare. HOEDERER: E io li amo per quello che sono. Con tutte le loro porcherie e i loro vizi. Amo la loro voce, le loro mani calde che prendono, e la loro pelle, la più nuda di tutte le pelli, e il loro sguardo inquieto, e la lotta disperata che portano a uno a uno contro la morte e l’angoscia. Per me conta un uomo di più o di meno nel mondo. È prezioso. Tu, ti conosco bene, ragazzo, tu sei un distruttore. Gli uomini li detesti, perché detesti te stesso; la tua purezza assomiglia alla morte, e la rivoluzione che sogni non è la nostra: tu non vuoi cambiare il mondo, vuoi farlo saltare”

(Jean-Paul Sartre, Le mani sporche, Mondadori).

L’essere umano è profondamente debole. Cosa siamo, più della recita che mettiamo in scena? Poco o niente. Ogni progetto in cui ci impegniamo può essere interrotto dal sopraggiungere di questa estranea, la morte, che pone brutalmente fine al nostro intento principale.

Non è strana, dunque, la seduzione che il pensiero forte esercita su un essere fondamentalmente condannato alla disperazione di trovarsi senza fondamenti assoluti. Le religioni, come le ideologie – e l’amore, mai dimenticare l’amore! –, sono ciò con cui cerchiamo di compensare, abbracciandole con la cecità di un folle.

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Dunque, non solo la religione è l’oppio del popoli, ma anche il marxismo è il sospiro della creatura oppressa dall’ansia di dover esistere. Chiuso entro un mantra ripetuto fino al sollievo della demenza, il soggetto supera l’angoscia al prezzo della ragionevolezza e della sobrietà del pensiero. Credere senza più dubbi diviene la via. Qualcosa per cui vivere e morire, invece di accettare l’imperfezione, la propria fallibilità, la tragedia del dubbio eterno.

È così che l’uomo o la donna traumatizzati da un padre che li ha abbandonati, a seconda delle occasioni, sottoscrivono l’idea della famiglia tradizionale o la distruzione di questa come unica soluzione, naturalmente da imporre anche al resto dell’umanità. L’insicuro patologico non può tollerare la complessità del mondo e deve appianare tutto al suo modello di soluzione del male.

Ciò è particolarmente visibile in amore. Il soggetto, invece di accettare la possibilità della fine del sentimento, della volubilità di questo, decide di correggere la stortura di un mondo che non va secondo le sue previsioni con la violenza della lama o delle pallottole.

Non è un caso che un filosofo quale Platone, lo stesso che ha lasciato alla storia l’affascinante mito dell’androgino, l’essere dell’unione suprema, diviso da Zeus per punire la sua superbia, sia anche il creatore di La Repubblica, ovvero il primo grande progetto di Stato totalitario. L’idea di tornare all’Uno, un’unione amorosa senza distinzioni, è la medesima che anima l’immagine di una Comunità – che oggi chiameremmo distopica – in cui non vi sono fratture, ma solo una coesione assoluta, totale, monolitica – un solo popolo, un solo leader, nessun dissenso.

In un amore sano, il singolo, uomo o donna che sia, ama nella differenza, ama soprattutto la libertà dell’Altro che è anche libertà del no, della negazione, insomma democrazia amorosa. Esattamente come, in uno Stato normale e privo della malattia della tirannia, viene accettato lo scontro, la dialettica, l’emergere delle individualità in lotta e che, comunque, mai potranno cancellare la presenza fisica altrui.

Per arrivare all’unica forma di saggezza possibile nella vita, la sola via è fare una scelta per il Pensiero Debole, il dubbio, nella rinuncia di imporre in modo coercitivo la propria idea e lasciando a chiunque la possibilità di realizzare sé stesso come meglio crede, fintanto che non attenta alla nostra esistenza.

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Del resto, se ci pensate, uno dei più grandi problemi italiani è proprio la mancanza di un pensiero che sia prima di tutto ragionevolezza. La riforma del Diritto di Famiglia ci ha fatti passare da una società patriarcale e maschilista, in cui una donna era poco più dell’appendice senza volontà del maschio, a una teocrazia femminista, in cui, se un uomo si ritrova a divorziare, viene praticamente distrutto moralmente ed economicamente.

Perché questo? Proprio perché a trionfare non è mai il Pensiero Debole, ma sempre un pensiero forte o l’altro. “In medio stat virtus” è veramente il concetto più difficile che si possa contemplare, perché presuppone una maturità del popolo. L’Italiano medio, invece, è ancora convinto che la soluzione al “tutti ladri” e “i politici non fanno niente per noi” sia affidarsi a un piccolo Zar che ostenta un petto villoso e li guarda in modo truce, come un padre prima di infliggere la sua punizione. Fondamentalmente, si tratta di infanti.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.

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