Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

VIVA L’AMERICA CHE VUOLE LA BIRRA TESTOSTERONICA E RESISTE ALLA SUA “GENDERIZZAZIONE” (di Clara Carluccio e Matteo Fais)

dylan mulvaney bud light

IL TRANS BUSINESS

La chiamano transfobia perché trans business suona cattivo. Come potrebbe, altrimenti, il progressismo assillarci con la retorica di un mondo binario fascista e retrogrado, se si venisse a sapere del giro d’affari che il settore LGBTQIA+ sta fruttando.

La propaganda che tutti si bevono ha recentemente preso il sapore di Bud Light, la marca di birra americana che ha stampato sulle proprie lattine il volto di Dylan Mulvaney – celebre transessuale dai meriti ignoti –, per festeggiare il suo primo compleanno da Miss. Questo, poche settimane fa, ha partecipato alla trasmissione di Drew Barrymore, raccontando di aver ricevuto delle critiche online. L’attrice le si è prontamente inginocchiata innanzi chiedendole perdono. Stessa modalità del Black Lives Matter, il movimento che pretende di combattere le disuguaglianze razziali attraverso plateali atti di sottomissione dei bianchi. Logica, evidentemente, non pervenuta.

A ogni modo, non solo bevande al malto per il nostro Dylan, ma numerosi altri marchi che si affidano alla sua immagine per le proprie réclame: Native, Aritzia, Ole Henriksen, KitchenAid, Walmart e Tampax (https://youtu.be/7rCzFc-WJTo). Insomma, gli affari non sembrano andargli male. D’accordo ci sono gli haters, ma è pur sempre il rischio del suo mestiere. Tutti i vip lo sanno.  

Anche gli imprenditori hanno capito che, assecondare la fluidità di genere, fa aumentare i guadagni. Perché limitarsi a vendere un prodotto a uno specifico target, quando è possibile ampliare la fetta di mercato? “Just in case”, all’occorrenza, come dice l’amic* Dylan, estraendo dalla borsa a forma di papera tre pacchi di assorbenti (youtube.com/shorts).

Mentre tra gli eterosessuali abbondano accuse di omofobia anche dove non c’entrano niente, il mondo fluido sa bene come farsi strada: esistono le criptovalute gay (MariCoin, GayCoin e RainbowCoin), business community o associazioni no profit per gay (www.edge-glbt.it/associazione-edge), studi legali per gay (https://www.gaylawyers.com/) e, soprattutto, c’è un settore, nel mondo del commercio, che studia con molto interesse i movimenti LGBT con l’intenzione di spremerli fino in fondo. Questa prende il nome, indovinate un pò, di gay marketing (www.segmentamarketing.com/it/blog-ita/gay-marketing-ita). Nel sito troviamo scritto quello che, ormai, ci ripetono tutti i giorni: “Concentrarsi sulla persona piuttosto che sul genere […] sarà in grado di indossare tacchi, trucco, cinture, andare alle terme o dove vuole, semplicemente perché lo vuole. Perché gli piace la proposta del marchio, non perché i ruoli di genere lo impongono”. Da quando, scusate, andare alle terme è una questione di genere? 

Al netto di ciò, esistono ancora delle realtà incontrovertibili e, i progressisti, non possono tutte le volte ammorbare l’umanità intera con le loro prediche anti transfobia. Un uomo potrà sentirsi donna quanto vuole ma, se perde sangue, non ha il ciclo bensì un’emorragia e ci auguriamo corra all’ospedale, non a comprarsi la coppetta mestruale.

Quella che viene diffusa tra i media è solo la versione simpatica del transessuale, quello dolce ed estroverso che piace a tutti. Per questo, sempre più bambini, si identificano in loro. Ma, la triste e ovvia verità è che chiunque, indipendentemente dal genere o dalle preferenze sessuali, può soffrire di disturbi mentali. Qualunque soggetto malato, anche un raggiante transessuale, può entrare in una scuola e dare inizio a una carneficina. Come è accaduto nel recente caso di Audrey Hale, o della tentata strage in Colorado, programmata da William Whitworth – detto Lilly -, che fortunatamente è stato intercettato e fermato in tempo (thepostmillennial.com/trans-male-arrested-for-planning-colorado-school-shooting-had-manifesto).

Gli eterosessuali cominciano a mal sopportare queste accuse di odio e discriminazione, neanche avessero tutti quanti la fedina penale macchiata di gaycidio. Siamo nel 2023 e, aldilà del vittimismo di comodo, il mondo è più libero che mai. Fin troppo, direbbero alcuni.

In risposta alle sparatorie dei trans e alla retorica sempre in loro difesa, è arrivato il provocatorio plotone d’esecuzione di Kid Rock – cantante, chitarrista ed ex marito di Pamela Anderson – che mette in fila le casse di Bud Light e le fa saltare a colpi di mitra, in onore della propria virilità vecchio stile (https://youtu.be/7WjJMQL19jc).

Se vi piace la vita fluida, bevete pure la birra trans e comprate i Tampax come fa Dylan. Usate i tacchi e andate alle terme. Noi, nel pieno della libertà che ci spetta, gustiamo gli ultimi retaggi della mascolinità tossica di Kid Rock. Fidatevi, anche ad alcuni gay piace. 

Clara Carluccio 

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VIVA L’AMERICA CHE RESISTE, BEVE BIRRA E PENSA ANCORA ALLA FICA (di Matteo Fais)

Niente contro nessuno, ma adesso hanno rotto il cazzo! Ci mancava solo la birra con il trans stampato sopra. Ognuno la tiri in culo a chi preferisce, per carità, ma non possono costringere un mondo di etero a rinnegare i propri desideri. Siamo pur sempre la maggioranza. 

Ok tutelare tutte le minoranze che vi pare – ehi, sia chiaro, mica dovete andare in giro ad ammazzarli! -, ma lasciateci vivere in pace la nostra eterosessualità finché la manteniamo entro livelli accettabili di giocosa tossicità. Sarà pure un po’ ridicola, ma è difficile convincersi che ciò possa sostenerlo uno che sotto la gonna c’ha il pistolino. E dai, basta!

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Per fortuna, c’è tutta un’America che resiste alla genderizzazione – contrariamente a quel che credono i cretini, i quali continuano a pensare a un gigantesco Paese progressista, coeso nella causa della cancel culture e in cui l’lgbittismo farebbe da padrone.

Kid Rock imbraccia un fucile automatico e spara contro le lattine transgeniche per esprimere il suo testosteronico dissenso – e, da uno che è stato sposato con le tette più famose d’America, cioè Pamela Anderson, ce lo si poteva aspettare. Travis Tritt, cantante country repubblicano, manda a fanculo la Anheuser-Busch, casa di produzione della Bud Light e, esasperato da tanto buonismo, dice chiaro e tondo che rifiuterà la loro partneship ai suoi concerti, se questi hanno deciso di pubblicizzarsi strizzando l’occhio al gender fluid. Rivela anche che molti suoi colleghi non parleranno, per paura di essere esclusi dal giro, cosa di cui lui non ha decisamente timore, o meglio se ne frega.

Diversamente dall’Italia, il mondo dell’industria culturale non è allineato in modo omogeneo – lì non sono tutti a libro paga del Partito Democratico, come capita da noi, dove non esiste arte, se non di Stato, come nei Paesi Comunisti. Oltreoceano, qualcuno si prende la libertà di dire ciò che pensa in modo forte e netto, politicamente scorrettissimo.

E, anche a rischio di risultare scortesi e indigeribili, meglio ribadirlo: la birra è intimamente legata a un immaginario maschile un po’ mascalzone e macchiettistico, da cowboy, segnato dall’estetica tipica del camionista, tutta playmate in due pezzi, tette e culi – è quello il sogno di ogni vero consumatore di alcolici. Dunque, lasciateci alle nostre fantasie, forse troppo sempliciotte e poco al passo coi tempi. Siamo spiacenti, ma le femmine ci piacciono così, senza cazzo né palle, indulgenti verso l’ennesima birretta di troppo.

Matteo Fais

LE BIOGRAFIE

L’AUTRICE 

Clara Carluccio nasce a Milano, nel 1985, e risiede attualmente in provincia di Brescia. Per errore di gioventù studia alla scuola agraria del quartiere Comasina di Milano, incidentalmente ubicata in prossimità dell’istituto Paolo Pini, il manicomio in cui venne rinchiusa la poetessa Alda Merini. Dopodiché, decide di perfezionare la sua conoscenza del mondo tra lavori precari e umilianti della peggior specie. Si trova così a svolgere mansioni quali: Oss in una RSA, segretaria, barista, guardarobiera in discoteca non guardata da nessuno, cameriera ai piani, cuoca incapace in un centro disabili, domestica – non dite colf – in nero e banconiera al supermarket declassata poi al semplice ruolo di scaffalista inutile al mondo e a se stessa – il tutto con un contratto da stagista. Suo malgrado, colleziona infruttuosi corsi di cucito, danza quale tribal fusion e contemporanea, naturopatia. È appassionata di lingue straniere, in particolare inglese e portoghese. È approdata a “Il Detonatore” dopo vari messaggi di stalking rivolti all’indirizzo di Matteo Fais. La trovate su Facebook e Instagram, ma non riesce a postare i suoi link.

Telefono: +393516990430

Emailclaravirgola@gmail.com 

L’AUTORE

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Instagram: http://www.instagram.com/matteofais81

Facebook: https://www.facebook.com/matteo.fais.14

Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.

6 commenti su “VIVA L’AMERICA CHE VUOLE LA BIRRA TESTOSTERONICA E RESISTE ALLA SUA “GENDERIZZAZIONE” (di Clara Carluccio e Matteo Fais)

  1. Ciao, sono Alessio Lo Iacono, SEO Manager di Segmenta, piacere di conoscerti.

    Innanzitutto grazie mille per la citazione, e specifico che non sono qui per commentare nessuna ideologia.

    Però per dovere di cronaca dovresti citare l’intero paragrafo invece di tagliare e incollare le frasi per farle coincidere con il tuo discorso, questo non è fare giornalismo, è manipolare l’informazione.

    Qui cito il paragrafo intero:

    “In conclusione, la tendenza del Gay Marketing per il futuro è quella di lasciar fluire la comunicazione. Vale a dire, concentrarsi sulla persona piuttosto che sull’identità o espressione di genere. I marchi lasceranno il posto a ciò che è veramente importante, l’essenza umana. Questo apre anche una grande opportunità di espressione per il mercato etero, cioè per tutti. Ora una persona sarà in grado di indossare tacchi, trucco, cinture, andare alle terme o dove vuole, semplicemente perché lo vuole. Perché gli piace la proposta del marchio, non perché i ruoli di genere lo impongono. Inaugurando così un’era di libertà, dove i marchi devono essere davvero congruenti. Dare un posto alla comunità non è più una moda, è ormai parte dell’essenza del marchio.”

    Come puoi vedere il concetto è completamente diverso da quello che fai intendere nel tuo articolo.
    Qui parliamo di un futuro dove per esempio un uomo etero può truccarsi per il semplice fatto che gli piace, senza il taboo che truccarsi è solo per donne o per gay. In poche parole un futuro dove le persone sono libere di fare quello che più gli piace, indipendentemente dal genere e dagli stereotipi. E per quanto riguarda il discorso delle terme, attualmente molti uomini evitano andare in posti come terme o spa perché pensano siano per donne o per gay.

    La nostra intenzione con l’articolo sul Gay Marketing era di lanciare un messaggio alle altre agenzie e ai brand di cominciare ad ascoltare quello che veramente vuole la comunità e non strumentalizzare il tema per guadagnare.

    Come puoi vedere nel nostro canale di youtube, per fare questo articolo abbiamo fatto varie interviste a diverse persone della comunità (in spagnolo), ti consiglio di andare a dargli un’occhiata.

    Un saluto

    1. Caro Alessio,
      perdonami, comprendo tu possa essere in totale disaccordo con noi, ma non scorgo un travisamento della vostra politica. Il gender fluid mi pare sia il vostro credo come futuro dell’umanità.
      Cordialmente
      Matteo Fais

      1. Cito testualmente il vostro articolo:

        “…e, soprattutto, c’è un settore, nel mondo del commercio, che studia con molto interesse i movimenti LGBT con l’intenzione di spremerli fino in fondo. Questa prende il nome, indovinate un pò, di gay marketing.”

        Dire questo è travisare il messaggio che stiamo cercando di lanciare con il nostro articolo.
        SPREMERLI FINO IN FONDO???

        L’articolo vuole essere una guida su come fare Gay Marketing ETICAMENTE, e per questo hanno partecipato volentieri alcune persone del collettivo.

        Proprio per evitare che le marche “SPREMANO FINO IN FONDO” persone della comunità senza interessarsi minimamente in quello che vogliono e in quello che si aspettano da una marca.

        Ognuno può avere la sua idea senza nessun problema, io sto solo difendendo il mio lavoro e quello dei miei colleghi, che è fatto in modo etico e responsabile, e viene fatto passare per un’altra cosa.

        P.S. visto che sono uno dei migliori SEO Manager in Spagna e LATAM, vi do un consiglio tecnico (GRATIS):

        Per diminuire il Bounce Rate di Google e per evitare uno dei più grandi distrattori in un blog, configurate i link in modo che si aprano in un’altra finestra 😉

        1. Caro Alessio,
          abbi pazienza, però, voi fate soldi sulla comunità – attenzione, non abbiamo detto che ciò sia illegale! Avete semplicemente individuato una possibile nuova nicchia. Perché un omosessuale dovrebbe aver bisogno di una guida per acquistare? Noi etero lo facciamo, senza essere indirizzati e gli omosessuali sono come noi, altrettanto intelligenti.

  2. Signor Alessio,
    forse non si è accorto ma, per dovere di cronaca, ho inserito L’INTERO LINK del sito da cui ho estratto la parte. In ogni caso, il paragrafo che lei ha completato non aggiunge niente al mio discorso: il vostro gay marketing sarà “etico” quanto vuole, ma sempre di business si tratta. Non giriamoci intorno: rompendo il tabù di genere, aumentando le vendite – come scrivete voi stessi nel sito è “Una nicchia molto redditizia”.

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