Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

PUTIN E I ROSSOBRUNI – UNA GROTTESCA STORIA D’AMORE (di Davide Cavaliere)

La destra, durante gli esagitati anni della Repubblica di Weimar, si scagliava contro il cinema americano, l’allentamento dei legami familiari, la pederastia, il taglio alla maschietta, il parlamento, il liberalismo anglosassone, la democrazia, i dipinti di Grosz e la frenesia di Joséphine Baker. 

Il settore destro era unanime nel condannare la «decadenza». Tutti auspicavano l’avvento di uno stato forte, di una guida carismatica, che avrebbe avuto il compito di rigenerare e «purificare» das Volk. L’uomo che catalizzò queste ambizioni oscure lo conosciamo: voce stridula e pose teatrali. 

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La cantilena antimodernista non è cambiata dai tempi in cui Marlene Dietrich interpretava Lola Lola e di recente ha ripreso a trillare, soprattutto in rete, per «merito» di tanti manovali rossobruni di bassa estrazione intellettuale.

Ci riferiamo alla genia che va dall’estrema sinistra all’estrema destra, dal radicalismo terzomondista post-comunista, quello che, per intenderci, idolatra Maduro ma non si è mai dimenticato di Che Guevara, a coloro che vedono in Putin un cavaliere in lotta con la restaurazione dell’Ancien Régime. I rossobruni sentono brivido alla schiena quando vedono il loro eroe cavalcare a torso nudo nelle steppe asiatiche. Soprattutto i bruni. A livello di nostalgia per la virilissima trebbiatura del grano!

Vladimir Putin, reo invasore dell’Ucraina, baricentro di questa setta bislacca, è il leader supremo a cui tanti guardano con grottesca devozione nella speranza di veder restaurata la «Tradizione» – da scrivere rigorosamente con la lettera iniziale maiuscola.

Ma quale «Tradizione» sarebbe viva nella Russia di Putin? Forse, quella sovietica dei veleni e della censura, della repressione e dell’invasione? Il «Dio-Patria-Famiglia» del piccolo Zar dal volto traslucido è solo un kitsch conservatore, una mano di vernice reazionaria distesa sopra una nazione interessata soprattutto alla vita materiale. Al «politicamente corretto» occidentale non possiamo opporre il «politicamente abietto» putiniano.

La luce palingenetica dell’Oriente russo illumina le menti e i cuori, soprattutto quelli ardenti di vecchi cultori di littori e gagliardetti, croci uncinate e falci col martello. Dopotutto, ne era convinto anche Joseph Goebbels quando, negli anni Venti, affermava che l’Est era «l’alleato naturale della Germania contro le tentazioni diaboliche e la corruzione dell’Occidente». La salvezza viene dall’Oriente, non solo dalla Russia, ma anche dall’Iran e, perché no, anche dalla Cina.

Questo è ciò che accade quando non si ha una coscienza ben radicata nel liberalismo, intendendo con questo termine non la filosofia del capitalismo, ma quella «religione della libertà» teorizzata da Benedetto Croce. Le derive «progressiste», intolleranti e liberticide, non devono essere combattute in nome di vecchie inquisizioni.

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Putin teme il «contagio» liberaldemocratico. Nonostante i suoi evidenti difetti – cancel culture, autorazzismo, covidismo – la società aperta rimane migliore di qualunque stato-caserma chiuso a ogni soffio di libertà. L’autocrate russo lo sa bene e non può accettare di avere alle soglie del suo impero personale un modello alternativo di società. Vuole che la democrazia ucraina fallisca. 

Siamo in una situazione tetra. L’età dei totalitarismi è stata soprattutto l’età della cecità e dell’ottimismo liberali. Un passato in cui viviamo ancora oggi.

Davide Cavaliere 

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”. 

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