Il Detonatore

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IL MOVIMENTO NO GLOBAL? NON NE SENTIAMO LA MANCANZA (di Davide Cavaliere)

Oggi, 19 luglio 2021, ricorre il ventesimo anniversario del G8 di Genova, momento culminante della ingloriosa stagione antiliberista e antimondialista inaugurata con gli scontri di Seattle del 1999. Non intendo, con questo articolo, entrare nella polemica ventennale in merito alle violenze compiute dalle forze dell’ordine che, senza dubbio, passarono il segno nel mantenimento dell’ordine pubblico, ma tracciare un bilancio di quello che era stato definito il “Movimento dei movimenti“.

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Come va interpretata la guerra contro la globalizzazione che imperversò dal 1999 al 2001, in quello che potremmo identificare come un nuovo Biennio rosso? Dietro alla lotta contro la mondializzazione, ossia contro la libertà di circolazione di merci e capitali, si nascondeva il più antico furore anticapitalista. Il crollo del comunismo era avvenuto solo dieci anni prima, così come la rapida conversione dei partiti marxisti-leninisti in forze socialdemocratiche, lasciando sul campo innumerevoli militanti smarriti e orfani. Il movimento no global, che voleva battersi contro il neoliberismo, le disuguaglianze, l’imperialismo americano e lo strapotere delle multinazionali e delle banche, era composto dai soldati sbandati del socialismo reale appena defunto

Comunisti senza più partito né prospettive, decisi a condurre una guerra a bassa intensità contro le democrazie basate sul libero mercato. I giovani no global erano, in realtà, dei residuati bellici della lotta di classe, come dimostrarono le bandiere rosse con falce e martello, i ritratti di Stalin, le effigi di Che Guevara e i motti delle Brigate Rosse (ancora attive nei primi anni Duemila), che fecero la loro triste comparsa nelle manifestazioni di Genova.

La loro violenza si nutriva della convinzione che non fosse esercitata contro Stati democratici, ma contro plutocrazie classiste. Una certezza, questa, che affondava le sue radici nel loro retroterra culturale marxista e “rivoluzionario”. Misero a ferro e fuoco Seattle per protestare contro la “mondializzazione selvaggia”, quando nella città statunitense si riuniva l’Organizzazione mondiale del commercio, il cui ruolo è quello di regolamentare gli scambi economici planetari. A Genova devastarono l’arredamento urbano in opposizione al liberismo che “reca profitti solo ai paesi più ricchi”, eppure quel G8, per la prima volta, ospitava dirigenti africani e si era dato l’obiettivo di combattere la povertà.

Ai teppisti no global non interessavano le sorti dei paesi più poveri, volevano solo continuare la lotta contro il presunto imperialismo occidentale e contro le democrazie liberali a economia capitalista. A loro non importava che gli Stati africani e asiatici uscissero, progressivamente, dalla povertà grazie al libero mercato, avevano le loro granitiche convinzioni, le loro formule, i loro schemi mentali e questo gli bastava.

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A Genova si resero protagonisti di una violenza anarcoide, squadrista e terroristica, tentando poi di addossare la colpa agli uomini in divisa. Solo l’aggettivo “terroristica” definisce al meglio la violenza organizzata e il teppismo strategico messo in atto nel capoluogo ligure. Non si trattava di una minoranza violenta. Ogni manifestazione, infatti, si è conclusa con scontri e tafferugli. Se i violenti fossero stati una minoranza, perché non sono stati mai neutralizzati ed espunti dalla maggioranza?

Il grande movimento globale si è estinto rapidamente, sommerso e seppellito dalle sue contraddizioni e dalla sua inefficacia. Ha lasciato dietro di sé una fetore di cassonetti bruciati, diossina ideologica e, ovunque, spore velenose. Fu una grande festa colorata, utopica, insipiente, incongrua. Un movimento del quale non sentiamo la mancanza.

Davide Cavaliere 

L’AUTORE

 DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”. 

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