Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DOPPIO EDITORIALE – I VERI PROBLEMI SECONDO LE FEMMINISTE: I COMPLIMENTI INDESIDERATI, OVVERO IL CATCALLING (di Clara Carluccio e Matteo Fais)

Il Catcalling può essere fastidioso, non lo nego, ma il più delle volte, è solo ridicolo. Con il tempo è stato demonizzato, alla stregua di palpeggiamenti indesiderati, pedinamenti, stalking e aggressioni. Ognuno di questi argomenti necessita del suo specifico raggio di discussione e di conseguenze penali appropriate. Ultimamente, però, vengono menzionate problematiche di diversi ambiti e livelli di gravità, facendone un calderone unico e confusionario.

Cos’era veramente il Catcalling, all’inizio? La pratica del rivolgere apprezzamenti estetici a donne sconosciute e di passaggio, tramite parole di senso compiuto, oppure suoni onomatopeici molto simili ai versi usati per attirare i gatti.

Quando mi succede, il più delle volte alzo gli occhi al cielo. A volte rido. Qualche volta, invece, tiro su il medio. Essendomi beccata anch’io, come successo a tante altre, la palpatina di culo mentre camminavo per strada, riesco a dare un giudizio meno severo a delle semplici esternazioni verbali. Purché non siano offensive, logicamente, o schifosamente viscide.

Io lo ritengo l’argomento più inconcludente di tutti, perché in fin dei conti, è solo un approccio, e in quanto tale, dipende dai gusti personali e dal costume locale. E per quanto faccia schifo, rispecchia il cambio di mentalità e la società attuale. Anche se nessuno lo ricorda, o forse non lo sa proprio, la questione è stata sollevata, la prima volta, tanti anni fa.

L’uomo italiano, prima di questi estremismi e litigi di genere, aveva un modo di relazionarsi simpatico, incentrato su una parlantina brillante e un sorriso coinvolgente. Poi, con l’immigrazione, le donne si sono trovate davanti maschi di tutt’altra natura, dallo sguardo molto intenso, bello senz’altro, ma ombroso, persistente, duro. Lo stesso “Ciao, bella!”, pronunciato dalle due categorie, aveva effetti molto diversi, e questo dipende solo da quanto una donna sia portata per un tipo di uomo o un altro. Quando la situazione non rappresenta un potenziale pericolo, non ci si può quindi accanire sul singolo comportamento o sulla semplice esclamazione.

Oggi, si legge che anche un colpo di clacson è catcalling. Sì, buona notte!

Una scena divertente che ricordo, vede una vecchia Panda, piena di ragazzi appiccicati uno all’altro. Giravano con la portiera del bagagliaio alzata perché alcuni erano seduti addirittura nel baule. Erano tutti abbondantemente ubriachi. Camminavo con un amica, quando questa macchina ci ha suonato, più volte, fermandosi vicino a noi. Un tipo ha tirato fuori la testa urlando “Volete un passagg…?”. Le ultime due lettere sono evaporate in un lungo e baritonale rutto.

Abbiamo riso, solo riso. Magari c’era del triviale, ma certo non delle molestie, o una qualsiasi altra cosa che potesse offendere la nostra intima natura. Ricordo quella macchina e i suoi passeggeri con simpatia, come qualcosa di stravagante e selvaggio.

Altra questione, le donne non sono oggetti sessuali. Messa in questi termini, direi che è ovvio. Ma, per quanto ne sappia, alle donne normali non dispiace essere desiderate.

D’estate, quando cammino con le mie gonne, sentendomi proprio “un bel mammifero modello centotre”, mi immagino che da un momento all’altro si materializzi davanti Fred Buscaglione che, sfacciato ma elegante allo stesso tempo, mi rivolge un fischio di apprezzamento, implorando un bacio e cantando “Che bambola!”.

Oggi è saltato tutto perché, di fronte alla volgarità verbale, estetica e mentale di molte donne, non ha proprio nessun senso che queste si indignino per il modo poco rispettoso con cui vengono apostrofate. Ma, d’altro canto, una donna per bene, allo stato del mondo attuale, è un illusa se spera di conoscere un uomo di valore che sappia corteggiarla con gusto e misura. I maschi hanno scelto di perdersi dietro alle femmine facili, dimenticando le buone maniere. Forse, quando avremo toccato il fondo a sufficienza, potremo riconoscere i nostri errori.

I sette nani e i loro “Hey! Oh!” sono quanto di meglio uomini e donne di oggi abbiano da offrirsi a vicenda.

Clara Carluccio

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PERSINO MIO ZIO, OGGI, SAREBBE DA DENUNCIA (di Matteo Fais)

L’altra sera ero dai miei zii. Niente di strano, cominciano a essere anziani, rincoglioniti, fuori dal mondo e spaventati dall’idea che le loro patologie pregresse vengano compromesse dal covid-19, pertanto, ogni qualvolta si presenti un problema che contempli l’utilizzo del computer, mi convocano.

Mio zio si ritira solitamente in salotto a guardare Sky – partite di calcio o di golf, prevalentemente. Mia zia resta in cucina, al mio cospetto, mentre io risolvo i loro problemi con la tecnologia. Giusto per fare conversazione, l’ultima volta, le ho chiesto di raccontarmi come avesse conosciuto suo marito.

Per capirci, bisogna immaginare che mia zia non è sempre stata come oggi che ha settant’anni: quaranta chili di sovrappeso, i capelli tinti, una casa e un cane a cui badare. Una tempo, lei passava e la strada si girava a guardarla. Era sempre giunonica, ma molto più magra, una fantastica figlia del Mediterraneo. I capelli fulgevano ramati, le bocce erano una presenza mastodontica e piena, un’estrosa abbondanza.

Verso i venti, era venuta a Cagliari per cercare lavoro e, in quei tempi fortunati, l’aveva trovato subito – o il lavoro aveva trovato lei. Viveva a pensione presso una famiglia che saltuariamente la scomodava per commissioni varie. Una sera, di ritorno da lavoro, la mandano a prendere non ricordo cosa. L’allora giovane ragazza, però, era a secco di benzina. Decise dunque, con la figlia della padrona di casa, di passare al distributore – il solo che, allora, fosse aperto a sera tarda – a fare rifornimento.

Lui era lì con un amico, uno che frequenta tuttora. Entrambi la videro scendere e la osservarono mentre faceva il pieno. “Ti vorrei vedere a chiedere di uscire a quella”, fece l’amico a mio zio. “Ah, sì? Dai, andiamo”, rispose prontamente lui.

Manco a dirlo, la ragazza risalì in macchina e partì. Mio zio guardò l’amico: “Seguiamola”. Partirono a loro volta. La tallonarono, da veri e propri investigatori. Chissà cosa passava per la testa di quel ragazzo che, comunque, a quel punto, aveva già trentanni.

Sta di fatto che le stette dietro e, quando lei parcheggiò, lui piazzò la macchina in doppia fila, a fianco alla sua. Scese spavaldo e andrò dritto verso quella che gli piaceva. “Ciao, io mi chiamo Paolo. Come stai?”. Posso immaginare questa che vide uno sconosciuto alto un metro e settantacinque, sguardo alla Clint Eastwood in quei vecchi film sui cowboy, che le rivolgeva la parola.

Mi pare che lei non gli abbia neppure risposto. Lui insistette. “E dai, dimmi almeno come ti chiami?”. Niente. Ritornata alla macchina l’altra tizia che era con mia zia, ripartirono.  A quel punto, vai di prese per il culo da parte dell’amico a mio zio.

Fortuna volle che, dopo qualche giorno, andando al mare, sempre con lo stesso compare, quest’ultimo abbia visto la ragazza passare in senso contrario a loro e l’abbia detto a mio zio. Lui, senza pensarci un momento, fece inversione a u e partì per un altro inseguimento.

Quel giorno, anche la ragazza andava al mare, ma portandosi dietro alcuni bambini che le avevano affidato per fare da babysitter. Il copione si ripetè molto simile. Lei scese dalla macchina e andò verso la spiaggia. Lui la seguì e poi la salutò. Insistette, finché non ottenne un appuntamento.

Cazzo, mi dicevo, mentre mia zia racconta, che coraggio quello che adesso è un vecchio pensionato con alle spalle un infarto, una pasticca di anticoagulante al giorno, ma ancora provvisto del solito sguardo alla Clint.

Sapete una cosa? Oggi, secondo le femministe, mio zio sarebbe da denuncia, anzi da condanna. Il suo reato? Catcalling, insomma, andare dietro alle belle ragazze e fare complimenti non richiesti – ma, perché, i complimenti si richiedono? Non scherzo, secondo alcuni personaggi del genere, quelli come lui dovrebbero finire dritti di fronte a un giudice a chiedere pietà per le loro malefatte. C’è pure una campagna in merito che si chiama “Wannabesafe” (voglio essere sicura), secondo cui questi che fischiano dietro alle tipe o si avvicinano a una dicendo “Ciao bella” sono dei pericolosi criminali. Mio zio, se avesse fatto quel che fece nei lontani anni ’70, oggi, secondo loro, sarebbe minimo da sedia elettrica.

Capite, fratelli, a cosa vogliono portarci? Una società in cui le femmine hanno paura dei maschi violentatori e i maschi hanno timore delle femmine dalla denuncia facile. Per conoscersi, non resterebbe che Tinder. Bella società del cazzo. Tra quelle che vogliono che una esprima esplicitamente il suo consenso al rapporto sessuale e queste che desiderano reprimere l’approccio sfrontato e un po’ coatto non saprei chi scegliere. Io so solo che il mondo sta prendendo una piega assurda che privilegia sempre più il virtuale, uccidendo ogni possibilità di esistere qui e ora, manifestarsi, dimostrare coraggio, ambizione, sicurezza in sé stessi, accettazione della sconfitta e gioia nella vittoria. Aiuto! Io di queste femministe ho sempre più paura.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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