Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DI BATTISTA E IL NEGOZIO A CINQUE STELLE (di Franco Marino)

Sono stato, come sa chiunque mi conosca e mi legga, un berlusconiano per quasi vent’anni.
Ho difeso appassionatamente non la persona ma il personaggio e i valori che rappresentava. Ma mai religiosamente.
Conoscevo i limiti del personaggio, sempre più palesi man mano che la sua esperienza politica proseguiva. E percepito come quella targata Forza Italia fosse una scatola vuota, a parte i giganteschi interessi del suo Grande Capo – la cui difesa approvavo ma non certo a scapito dei valori politici di cui si faceva difensore – sono uscito dal “negozio” e mi sono guardato attorno. Attualmente sono un sovranista politicamente apolide: nessuno dei partiti rappresenta non dico la purezza ideologica (quella è impossibile) ma neanche l’idea che uno dei capi del sovranismo possa, con sano pragmatismo, realizzare la salvezza del mio paese.
La parola “negozio” non è casuale ma corrisponde a come, nel mio piccolo, vedo i partiti. Negozi dove entro e se il prodotto mi piace, mi servo presso quel negozio. Se non mi piace, mi guardo attorno. Per un periodo ho creduto al negozio CasaPound. Un bellissimo negozio, gestito da persone di spessore ma senza la cosa più importante: il prodotto. Me ne sono andato via anche da lì. L’elettore razionale la vede così e infatti i voti travasano da un partito all’altro tra le varie elezioni. Poi, certo, c’è chi crede che il partito sia una Chiesa, da non abbandonare mai, manco se il “prete” sconfessa sistematicamente la sua dottrina, dà scandalo con comportamenti immorali, ruba le cassette dell’elemosina e via degenerando. Condannandosi all’irrilevanza.
Ma non è mai stato, per fortuna, il mio caso.

Il Movimento 5 Stelle, anche se ha le sembianze di un tribunale islamico che taglia le mani anche al ladro di polli, anch’esso vende prodotti. Molti dei quali o sono nocivi (riforma della prescrizione) o molto meno appetibili di quanto sembrassero (il reddito di cittadinanza è in realtà un reddito minimo già presente in molti paesi) oppure sono stati ritirati dal mercato (democrazia diretta e uscita dall’Euro).
I clienti, in alcuni casi, fiutando la truffa, si sono defilati. Altri hanno impiegato del tempo e altri ancora, pur riconoscendo il venir meno di alcune promesse, sono pragmaticamente convinti che il Movimento sia il negozio “meno peggio”. Decidendo di bere l’amaro calice sino in fondo.
Ma quando Di Battista spiega che il Movimento ha perso su tutta la linea e perduto la sua identità, dice una cosa banale, ovvia, scontata. Ma non per questo meno vera. Semmai il punto è capire cosa voglia fare Di Battista “da grande”.

Chiarisco. Non ho la minima fiducia nel personaggio. Lo considero un parolaio, un mediocre teatrante – la sua celebre intemerata contro Cuperlo (che peraltro è uno dei pochi galantuomini che si possano trovare a sinistra) è un esempio di recitazione da attorucolo di serie C – e un terzomondista sensocolpista, di quelli fatti con lo stampino che magari vedevate nelle scuole superiori pubbliche. In generale ha contribuito anche lui, come centravanti del Movimento, al rincitrullimento della politica italiana. E soprattutto trovo assai sospetto che ad un passo dal risultato storico del 33% nel 2018, per giunta ampiamente previsto, lui non si sia candidato. Forse che la Casaleggio Associati già prevedesse come gli sviluppi lo avrebbero portato a snaturarsi e, in virtù della regola dei due mandati, abbia voluto tenere il suo gioiello in frigidaire? Chissà. Sono supposizioni certo. Naturalmente e legittimamente Di Battista porta le sue giustificazioni al riguardo. Legittimamente molti ci crederanno. Io, altrettanto legittimamente, non credo a nessuna di esse. Almeno oggi.

E dico oggi perchè non bisogna avere pregiudizi. Mai. Sebbene possa apparire ridicolo sospettarlo, non possiamo mai dare per scontato che Di Battista non abbia qualche mente raffinata a guidarlo o che non lo sia lui stesso ma abbia dissimulato bene.
La sua analisi del voto non ha ovviamente niente di raffinato. Per sapere che il Movimento 5 Stelle abbia perso milioni di voti è sufficiente saper contare, traguardo alla portata di chiunque abbia almeno la terza elementare. Come non c’è bisogno della zingara – come diciamo a Napoli – per osservare lo snaturamento del Movimento 5 Stelle, dal momento che ieri governava “core a core” con quella stessa Lega di cui diceva peste e corna mentre oggi fa lo stesso col PD, di cui ha detto cose anche peggiori.
Ma il disoccultamento di queste due verità ovvie quanto nascoste sotto la polvere, va visto come una discesa in campo di fatto e induce a porsi delle prospettive sul futuro del partito. O, come in questo articolo lo definisco, del negozio.
I precedenti in politica possono indurre all’ottimismo l’elettore deluso grillino. La Lega era un negozio ad un passo dalla chiusura, divorato dagli scandali e dai debiti. Salvini gli ha dato una lucidata, ha cambiato il prodotto, è passato dall’autonomismo secessionista ad un federalismo nazionalista e oggi è il capo del primo partito italiano. Ma forse, proprio per non essere riuscito più di tanto a cambiare pelle al partito, non ha sfondato al Sud dove la parola “Lega” continua a provocare l’orticaria in molti meridionali. Rischio che corre anche il Movimento 5 Stelle, nei confronti del quale molti, magari al Nord, avranno il medesimo pregiudizio che la Lega ha pagato al Sud.
Così il vero punto non è quale sia il futuro di Di Battista e del Movimento 5 Stelle ma quale sia il prodotto, lo stile e lo spessore del venditore ma anche e soprattutto quali siano i fornitori. Solo su quella base si può trarre una conclusione.
Io, per il nulla che può contare, rimango scettico.
Ma gli altri elettori, come è legittimo che sia, magari la penseranno diversamente.

FRANCO MARINO

Un commento su “DI BATTISTA E IL NEGOZIO A CINQUE STELLE (di Franco Marino)

  1. No no, macché! Il “movimento” è sempre stata un’accozzaglia di eterni delusi. Sono saltati alla ribalta dicendo cosa “non” volevano, per poi prenderselo. E chi li vota non è migliore. Dibba è solo il novello Di Maio: pare giovane e di buone speranze. In realtà è solo giovane. Praticamente una sardina.

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