Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

FUANI MARINO, LA SCRITTRICE CHE CE L’HA CONTRO I VECCHI PER I MOTIVI PIÙ ASSURDI (di Matteo Fais)

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Non c’è più fiction, neppure autofiction, solo memoir masturbatori e ombelicali di autori che affastellano pensieri sparsi con un pretesto qualsiasi. La necessità di onorare contratti editoriali sembra essere l’unica reale fonte di ispirazione, più che l’illuminazione e il bisogno interiore di scrivere. Il caso di Fuani Marino, con Vecchiaccia (Einaudi), è in tal senso, peculiare: partendo da una shitstorm subita su Twitter, l’autrice dà vita a un libro contro i vecchi.

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Fuani Marino, Vecchiaccia, Einaudi.

In vero, in principio, dice anche qualcosa di giusto. Si è nel periodo del lockdown e lei cinguetta: “Stiamo sacrificando cose imprescindibili come il diritto all’istruzione, la socialità, infine l’economia di un paese in nome degli over 75”. E qui, anche a voler fare i bastian contrari, è difficile non trovarsi d’accordo con il suo pensiero. Non che vi sia alcun motivo per cui scrivere un intero libro in merito, ma la Marino non esprime un concetto del tutto scriteriato.

Meglio ancora quando la considerazione viene esplicitata in modo più esteso: “Mi sembrava di subire un’ingiustizia o un torto, non riuscivo proprio ad accettare e a calarmi nella situazione in cui eravamo costretti. Era come se ai piú giovani si stesse negando un diritto primario, quello dell’istruzione, mi dicevo, come se stessimo riducendo in ginocchio l’economia per salvaguardare la sopravvivenza dei piú vecchi, e il tutto comunicato come una decisione ragionevole. È contro natura!”. Ottimo! E si potrebbe chiudere qui. Tanto, chi è d’accordo è d’accordo e chi non è d’accordo è in disaccordo. Ma lei, a corto di idee, insiste e, partendo da questo pretesto, finisce per discutere di tutt’altro, o meglio per parlare di sé fino a togliere il respiro al lettore.

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Le parti sui vecchi, o contro di questi, in realtà sono pochissime e di una stupidità disarmante. Se, in effetti, è folle fermare un Paese per salvaguardare i nonni – che potevano tranquillamente chiudersi in casa, insieme a tutti i paranoici e gli ipocondriaci, senza scassare i coglioni a chi desiderava continuare a vivere, visto che “la mortalità” era “riservata quasi solo a pazienti anziani” – , è assurdo, oltre che cretino, l’odio che la scrittrice nutre verso la categoria in questione. Sentite qui: “Non saprei dire quand’è che ho cominciato a detestare i vecchi. Forse in seguito alla depressione, che proprio quando avrei dovuto essere nel pieno delle forze ha risucchiato tutta la mia vitalità. Allora l’eccesso di quest’ultima ha preso a infastidirmi, in particolare negli anziani, cosí come l’eccesso di felicità altrui, soprattutto se ostentata”. Praticamente, non ha alcun motivo per odiare i vecchierelli canuti e bianchi, se non una propria personale idiosincrasia, che comunque non costituisce un buon motivo per ammorbare i lettori con un nuovo testo.

Lei ci prova pure a trovare uno straccio di idea che sembri ragionevole, ma tira fuori sempre le solite idiozie che il potere ci propina da decenni per farci odiare i nostri genitori e le persone in là con gli anni: “Se prima c’era un conflitto di classe, oggi il conflitto è tra generazioni, ed è frutto di cambiamenti socioeconomici che hanno reso troppo distanti le prospettive di genitori e figli, quando questi ultimi invidiano le sicurezze e le garanzie lavorative di cui i propri padri hanno beneficiato. Naturalmente, se le condizioni del mercato del lavoro sono cambiate i padri non hanno colpa, ma ciò non vieta ai giovani di sentirsi defraudati”. Per non parlare di passi quali “il monopolio economico e lavorativo che molti padri continuano a detenere (mentre i figli di trenta, quarant’anni si arrabattano fra lavoretti precari che non gli garantiranno mai una pensione), avercela un po’ con i vecchi mi sembra davvero il minimo”. Ma quale monopolio, quello di un povero disperato/a che, a 75 anni, ha 300 euro di pensione ed è costretto a continuare a faticare? Questa è la giustificazione dell’invidia più immotivata e sciocca: perché prendersela con loro, perché alcuni sono stati più fortunati? Roba da scuole medie!

Insomma, questi stronzi dei vecchi non si arrendono all’idea di dover tirare le cuoia e, con un’argomentazione degna di Greta Thunberg, arriva a sostenere che “Non è vero che c’è posto per tutti, non in presenza di risorse limitate” – ma da dove lo trae lei che siano tali? 

Il vero motivo per cui detesta la senilità è presto detto: lei per prima sta male, si sente molti più anni addosso di quanti ne abbia e poca voglia di vivere. “Credo, semplicemente, di odiare i vecchi perché già mi ci sento, vecchia. Lo sono diventata di colpo. Di fatto sono qui, ma non dovrei esserci. Se solo il mio cuore avesse smesso di battere. E invece no.”; “Perciò oggi, a differenza di un tempo, la vecchiaia ha abdicato, ha rinunciato a se stessa: bisogna essere attivi fino all’ultimo respiro, godersi le proprie seconde case di proprietà anche in sedia a rotelle. Un vero affronto per chi deve misurarsi con limitazioni, medici e medicamenti di vario tipo pur essendo giovane”. Spiace dire queste cose, dopo le brutte esperienze che la scrittrice ha vissuto, ma se lei si sente un rottame a poco più di quarant’anni e passa da una visita medica alla stanza del suo analista – lo racconta lei, non è mica un segreto, sia chiaro -, non è che può rompere le palle alle persone in età che vanno ancora al mare.

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Al netto delle posizioni espresse sulla terza età, i problemi di questo volume sono molteplici. È viziato da un eccessivo citazionismo: ci sono pagine e pagine in cui menziona ogni libro o film possibile e immaginabile, per chiarire determinati concetti e momenti della sua vita. Tant’è che, più che una scrittrice che ha qualcosa da raccontare, sembra una che ricama sui libri altrui non avendo niente da dire.

Ma più di tutto, il difetto principale dell’opera è quello tipico dei compiti in classe delle superiori – avete presente quando il professore scriveva “Sei andato fuori tema”? Ecco, anche lei parte da un problema per poi mettere in mezzo cose che non c’entrano niente. Squaderna tutte le sue ossessioni, tipo l’essere clinomaniaca, ovvero riluttante ad alzarsi dal letto. Racconta che si sveglia a mezzogiorno, che ha scoperto il marito a flirtare sui social con una ragazza più giovane di lei, e rivela pure di partecipare “alla raccolta dei punti del latte, cosí una volta tornata a casa mi metto lí buona a incollare ogni bollino sull’apposita scheda. Per riuscire a totalizzare in tempo i punti necessari per richiedere un set Lego ho dovuto riempire la dispensa di confezioni di latte a lunga conservazione.” La domanda sorge spontanea: ok, ma chi se ne fotte?

Matteo Fais 

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha collaborato con varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, “VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi. Di recente, ha iniziato a tenere una rubrica su Radio Radio, durante la trasmissione “Affari di libri” di Mariagloria Fontana, intitolata “Il Detonatore”, in cui stronca un testo a settimana.

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