Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

NO AL COMUNISMO, SÌ AL MUTUALISMO (di Alex Vön Punk)

“A poco a poco mi resi conto di avversare più lo Stato che il «sistema capitalista»” (Jacques Ellul, Anarchia e cristianesimo, Edizioni Elèuthera 2010).

Nel 1902 viene dato alle stampe Il mutuo appoggio di Petr Kropotkin, un saggio in cui lo scienziato anarchico evidenzia che nella natura, sebbene sussista una forte dose di guerra fra le specie, e soprattutto fra le differenti classi di animali, vi è altrettanto, o addirittura in dose maggiore, il mutuo appoggio, ovvero l’aiuto reciproco e la difesa condivisa tra gli animali appartenenti alla medesima specie.

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La conclusione che ne trae l’anarchico russo è che, nelle innumerevoli società animali, la lotta per l’esistenza fra gli individui isolati svanisce, venendo sostituita dalla cooperazione. Quest’ultima pone a capo dello sviluppo le facoltà intellettuali e morali che assicurano alla specie le migliori condizioni di sopravvivenza.

La libera cooperazione tra le persone, nella maggioranza dei paesi industrializzati, è stata soppiantata dal welfare, ovvero lo Stato che accudisce il cittadino dalla culla alla tomba. La solidarietà individuale e volontaria è stata sostituita da quella forzata e imposta come nel comunismo. Sebbene questo rappresenti, per i difensori dello statalismo, la discriminante per distinguere un Paese civile, andrebbe di contro valutata anche la perdita di un reale senso di comunità che, per esser tale, non può prescindere dalla volontarietà di adesione del soggetto.

Le lacune dello Stato, causate dalla sua ipertrofica burocrazia, dal verticistico centralismo che lo rende incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini in modo reattivo, in special modo nel far fronte alle problematiche e alle sfide che si presentano nella quotidianità alle classi popolari, rappresentano la leva che permette di riscontrare come la cooperazione sia l’elemento naturale e vitalistico utilizzato dagli individui per assicurare una maggiore sopravvivenza agli svantaggiati e più in generale per la famiglia, il gruppo, la comunità.

Un esempio degno di nota è il movimento delle Black Panthers negli Stati Uniti, che provó a organizzare la comunità afroamericana con il mutuo soccorso e la condivisione. L’organizzazione, guidata da Huey P. Newton e Bobby Seale, diede vita a  pratiche mutualistiche creando un modello alternativo all’inefficiente welfare statale. È così che videro la luce tutta una serie di  servizi alla comunità sviluppati su base popolare: le colazioni gratuite per bambini, il servizi di autoambulanza, le scuole per i più piccoli e altre svariate attività.

Questa non fu un’isolata esperienza nel panorama statunitense. Favorite da uno Stato che, oggi, definiremo liberista e da un welfare pressoché inesistente, subito dopo le varie chiese, le reti di mutuo soccorso rappresentarono la più grande esperienza di associazione volontaria in America.

Nei primi anni del ventesimo secolo, poveri ed immigrati usufruivano principalmente del mutuo appoggio per quanto riguarda l’assistenza sanitaria. Un report sull’assicurazione sanitaria, del 1919, evidenzia come i lavoratori, i poveri e le loro famiglie rappresentassero la maggioranza degli appartenenti alle confraternite di questo tipo di assistenza (https://catalog.hathitrust.org/Record/000954774). A differenza del welfare statale, mantenuto in vita mediante la coercizione, i servizi di queste associazioni erano finanziati da quote mensili volontarie che corrispondevano grosso modo all’equivalente di un giorno di paga.

L’associazionismo mutualistico riusciva a diversificare l’offerta che potremmo dire veniva cucita addosso all’associato. Nel tempo presero vita centri che si dedicavano  alla cura di specifici settori lavorativi, per le sole donne e anche per minoranze etniche – ne sono testimonianza le associazioni per gli ispanici (https://digitalrepository.unm.edu/shri_publications/34/).

La tradizione mutualistica delle classi produttrici, le quali cercavano soluzioni comunitarie al di là dello Stato, fu sicuramente debitrice dei primi movimenti sindacali che si distinsero – al contrario di come una certa storiografia comunista tenta di presentarli – per elementi anti-statalisti e libertari, come spiega perfettamente Guglielmo Piombini: “pressante richiesta proveniente dai movimenti operai dell’epoca vittoriana era quella della drastica riduzione delle tasse e della spesa pubblica, perché, riecheggiando le teorie quasi anarchiche dei levellers e di Tom Paine, essi pensavano che se il paese era in pace e l’economia era sana i servizi dello Stato non erano necessari e i suoi apparati avrebbero dovuto essere virtualmente smantellato” (Guglielmo Piombini, La proprietà è sacra, Il Fenicottero, Bologna, 2001).

In Occidente, è andata via via a delinearsi una netta divisione di campo, una linea di demarcazione che separerebbe i comunisti, portatori di istanze a tutela dei poveri, da chi chiede meno Stato e meno interferenze nella vita. Questi ultimi vengono puntualmente accusati di avere come unico interesse il favorire Jeff Bezos e similari. In realtà, la storia fin qui esposta ci racconta che i poveri si aiutano meglio da soli, che le comunità liberate dalla burocrazia e dai lacci dello Stato possono trovare soluzioni creative per cooperare. Negare questo fatto significa sconfessare la solidarietà e la cooperazione come motore delle specie. Tale negazione ci conduce tra le fredde braccia impersonali dello statalismo e del centralismo (la cui massima espressione manifesta è  il regime comunista), quell’idea secondo cui gli individui sarebbero incapaci di compiere scelte autonome e di associarsi per superare le avversità che la vita contrappone loro.

L’arretrare del leviatano può generare un genuino e reale senso comunitario, quello che passa per l’adesione volontaria. La negazione della volontarietà, propria dei regimi comunisti, non genera comunità ma un suo simulacro, una versione patinata da presentare all’esterno, mantenuta al suo interno mediante coercizione, terrore e repressione.

Paul Goodman (uno dei più grandi libertari americani del ’900), nel suo Individuo e Comunità (Edizioni Elèuthera, 2014), riassume perfettamente il concetto di rivoluzione libertaria: “nella teoria anarchica la parola «rivoluzione» indica il momento in cui la struttura dell’autorità si allenta e le cose possono funzionare liberamente. Il fine è quello di aprire spazi di libertà e di difenderli”. 

Sempre Goodman, nello stesso saggio, scrive “Anche il concetto di libera impresa di Adam Smith, (nella sua forma pura che vede aziende di proprietari-gestori attivi che competono su un libero mercato senza monopolio), è anch’esso congeniale agli anarchici ed è stato definito anarchico proprio ai tempi di Smith.”

Da un punto di vista libertario, non sarebbe tanto assurdo ipotizzare un sostegno al liberalismo estremo, ma con una marcata accezione popolare, al fine di innescare una spinta mutualistica e associazionista tra i cittadini. Per far ciò, dobbiamo supportare movimenti e partiti che abbiano al centro l’autonomia individuale e, per logica, l’agire comunitario come la lotta alla degenerazione dello Stato etico.

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In Italia, nonostante l’appiattimento di tutte le formazioni politiche mainstream su posizioni interventiste e regolatrici di ogni aspetto della vita umana, ci sono ancora piccoli movimenti che provano a resistere ai tentacoli del moloch centralista. Si pensi ai Liberisti italiani e al Partito Libertario, ognuno con le proprie peculiarità, ma intenti ad apporre avanti a tutto la difesa della libertà individuale.

Guardare a sistemi dove si tuteli l’autonomia del singolo, piuttosto che astrazioni quali “popolo” e “bene collettivo”, trascinare il liberalismo radicale nel campo delle classi popolari, è oltremodo necessario per liberarsi da tutto ciò che incatena la creatività e la libertà umana.

Alex Vön Punk

Emailvonpunk@tutanota.com

Telegram: @VonPunk


L’AUTORE

Alex Vön Punk viene costruito a Pisa negli anni ‘80. Bandito, cantante e scrittore di canzoni punk nella band pisana Enkymosis fino al 2009. Autodidatta d’assalto tra un lavoro precario e l’altro, grafico freelanceagitatore politico e provocatore di tendenze anarchiche, anti-autoritarie e federaliste, membro del Centro Studi Liibertario “Società Aperta” che si occupa di libertarismo, diritti civili e della promozione del reddito di base universale.

3 commenti su “NO AL COMUNISMO, SÌ AL MUTUALISMO (di Alex Vön Punk)

  1. Articolo bellissimo che sottoscrivo pienamente. L’elogio del mutuo soccorso contro ogni forma di statalismo e coercizione è letteralmente poesia per me. Ringrazio di tutto cuore Alex per il riferimento al Partito Libertario di cui sono membro del comitato direttivo.

    Dario Farinola

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