SELVAGGIA LUCARELLI E’ UN FALSO PROBLEMA (di Franco Marino)

Finora il fenomeno di Selvaggia Lucarelli è stato esplorato da più punti di vista, secondo me quelli più superficiali, legati alla persona, al suo tipo di comportamenti. O anche quello legato alle sue opinioni. Contro di lei è nato anche un blog dove si fanno le pulci alla sua vita e alla sua carriera. Un’iniziativa che personalmente non mi sento di approvare per gli stessi motivi per cui non approvo lei: non ha il minimo senso attaccarsi alla sua vita privata, di cui ognuno conserva i propri scheletri nell’armadio, come fa lei attaccandosi spesso a quella di chi è oggetto delle sue critiche. Come non ha senso appellarsi al fatto che per tanti anni, senza avere alcun titolo (salvo aver acquisito, recentemente, quello di pubblicista) abbia scritto sui giornali. In un paese sano, l’Ordine dei Giornalisti andrebbe abolito domani. Un obbrobrio che abbiamo, con queste caratteristiche, solo noi in Italia e che per giunta fu ideato da quello stesso fascismo contro cui lei stessa si scaglia.
La Lucarelli, in realtà, è un falso problema. Lei è solo l’ariete di un meccanismo che parte da lontano e che porta tantissimi lettori a seguire lei e altri suoi colleghi, facendoli divenire popolari. Chi l’ha aggredita (che poi in realtà non ha aggredito lei ma la telecamera) evidentemente non si rende conto che anche se un giorno, per assurdo – e speriamo di no, non tanto perché non vogliamo essere accusati di istigazione a delinquere ma perché sarebbe un gesto totalmente controproducente e sbagliato – qualcuno le facesse seriamente del male, nascerebbe immediatamente un’altra Lucarelli che ne erediterebbe il posto. Infatti la giornalista di Civitavecchia non è che l’ennesima riproduzione del cosiddetto “criticismo”, un fenomeno che nasce da lontano e che specialmente con l’avvento dei social, è letteralmente esploso. Quel meccanismo per cui un’opera che non rientrerebbe minimamente nei parametri oggettivi, positivi o negativi, attraverso i quali valutarla o la cui soggettività richiederebbe che venisse compensata da una competenza specifica, viene invece apprezzata o disprezzata, prevalendo sui canoni oggettivi. Quando questo fenomeno diviene sistematico e incoraggiato dalle istituzioni, abbiamo il nuovo tirante della tirannia non ufficiale ma in verità ufficiosissima che forma opinioni sbagliate e costruisce carriere immeritevoli. Ottenendo come risultato quello di soggettivare la qualità artistica, rendendola incomprensibile.
Spiego. Supponiamo, per esempio che io domani decidessi di scrivere un libro, che peraltro è un’idea che ho in carniere già da un po’. Il parametro oggettivo con cui valutarlo è uno solo: se vende più o meno delle spese necessarie per produrlo. Se, in sostanza, per promuoverlo spendessi 2000 euro e ne guadagnassi 5000, potremo considerarlo un successo. Se però per guadagnare quei 5000 ne spendessi 10000, sarebbe un flop. E non è un discorso di natura commerciale. Se guadagni più di quel che spendi per produrre un’opera, questo significa che i tuoi sforzi sono stati compensati dall’apprezzamento dei lettori. Fin qui tutto bene, finché non arriva il critico. Il quale vi spiega perché dovreste comprare il mio libro e perché no, frapponendosi nel vostro meccanismo decisionale.
Occorre chiarire che non sto dicendo che la critica sia dispensabile, anzi. Un ottimo e onesto critico permette ad un lettore che si addentra in un universo a lui sconosciuto, di non buttare tempo e soldi in qualcosa di poco qualitativo. Ma questo meccanismo, per rimanere proficuo, produttivo, serio, necessita di due cose: una competenza provata e specifica del critico e la volontà del lettore di non adagiarsi sulle competenze acquisite grazie al critico, il quale a sua volta dovrebbe anche contribuire ad accrescere lo spirito critico del lettore.
Questo, nel mondo ideale.
Nel mondo reale, il critico è spesso agganciato più o meno esplicitamente alle caravane del potere politico o finanziario. O più banalmente, come forse nel caso della Lucarelli, un personaggio alla ricerca di una platea che gli consenta di vendere le proprie opere o la propria immagine. Col lettore che spesso gli appalta il proprio spirito critico senza minimamente chiedersi se sia davvero competente in ciò che scrive.
Inoltre, se un argomento è tecnico e per impossibilità materiale di essere onniscienti, dobbiamo usufruire di qualcosa che non conosciamo, il critico è fondamentale. Ma quando il meccanismo diviene sistematico, fino all’inflazione, esso è il sintomo (ma qualche volta anche la causa) di un’ignoranza divenuta virale. E con essa di una caratteristica tipica di molti ignoranti: parlare di cose che non si sanno, diventare ipercritici nei confronti dell’operato altrui, che lo si consumi o lo si osservi, senza naturalmente mai provare di saper fare meglio. Qualcosa che non ha certo origine dalla Lucarelli. Perché da Sgarbi in poi, divenuto famoso quando la nostra frequentava il Liceo Classico Guglielmotti (quindi non ancora pronta per essere colpevole di qualcosa) sono stati sdoganati, nell’aere dell’agorà, atteggiamenti che un tempo sarebbero valsi la cacciata da qualsiasi dibattito e che oggi sono considerati assolutamente normali. E che hanno convinto la Lucarelli che il massimo della gratificazione morale sia poter ogni giorno affossare un’opera o il personaggio che la produce, senza aver dato alcuna dimostrazione che si potesse e sapesse fare meglio.
E sia chiaro che il problema non è, in sé, criticare. Il diritto di opinione e di critica è garantito dalla Costituzione. Il punto è che ragioni di opportunità e di buonsenso imporrebbero che la critica in primo luogo fosse educata e adeguatamente motivata. E in secondo luogo, che venisse da critici che hanno dimostrato qualcosa sul campo. Curiosamente, più l’opinione viene da un tecnico del mestiere, più questi, come critico, sarà umile e compìto. Questo vorrà pur dire qualcosa.
In altre parole, se la Lucarelli leggesse questo articolo e dicesse che non è scritto bene o che non scrivo bene io, la cosa avrebbe un senso. In fin dei conti stiamo parlando di una buona scrittrice, che secondo me non ha prodotto capolavori della letteratura (e penso che nemmeno lei abbia la pretesa di considerarli tali) ma libri che si possono comunque leggere. Viceversa, nel momento in cui, dopo un’esibizione di un ballerino a Ballando con le Stelle, inveisce critiche senza senso contro il poveretto di turno, salvo poi querelarlo se questo gli risponde per le rime, il tutto senza aver mai avuto una carriera come ballerina, oppure si lancia in giudizi politici trancianti contro chiunque non la pensi come lei, a quel punto deve pure mettere in conto che molti si infastidiscano. Fino ad arrivare agli estremi di gesti inconsulti, censurabilissimi ma che denunciano chiaramente un fatto: la Lucarelli tende a produrre con una certa facilità reazioni che si sarebbero potute evitare se invece si fosse scelto un altro linguaggio linguistico. E che con altri non si producono.
Perché lo fa? Perché purtroppo molti suoi lettori vogliono questo. Se i critici raggiungono il successo, parlando con sicumera di cose di cui non hanno una provata competenza, il motivo risiede in un basso livello di educazione generale, associato ad una profonda ignoranza. Che non è soltanto contenutistica, è anche logica. Anche per colpa della “guerra al complottismo” che non si limita a denunciare le falsità dell’antisistema ma si estende anche al palese tentativo di disattivare lo spirito critico dell’individuo, in luogo della preconfezionata pappa del pensiero unico. Rendendolo dunque schiavo del conformismo criticistico.
La Lucarelli non è certo l’iniziatrice di questo disfacimento. Contribuisce senza dubbio a diffonderlo. Ma ha preso avvio il giorno in cui – tutta questa roba inizia negli anni Ottanta, quando la Lucarelli era piccola – si sono sdoganati atteggiamenti che in altre ere sarebbero valse la cacciata a pedate da qualsiasi dibattito pubblico, almeno televisivo. E non di scarso rilievo è stato il declino dell’istituzione scuola. Che, quando era qualcosa di immensamente più serio di oggi, non avrebbe mai permesso ad un allievo di assumere certi atteggiamenti. A quei tempi, si poteva avere un rendimento eccellente ma se si aveva un voto basso in condotta, si veniva bocciati senza appello.
Non voglio certo tornare alle atmosfere compassate delle tribune politiche degli anni Cinquanta quando un giovanissimo e sbarbato Scalfari, levatosi in piedi come un docile scolaretto, poneva domande con fare compito ad un sussiegoso e professorale Aldo Moro, comodamente seduto. Vorrei solo il ripristino di alcune regole di educazione e buonsenso. Rivolgersi alle persone che critichiamo con educazione, magari indicando come si farebbe al loro posto. Non interrompere mai chi sta esponendo il suo pensiero (se sai che va per le lunghe, non lo inviti alle tue trasmissioni). Fare un maggiore uso di condizionali, di “a mio modesto parere” o di “secondo me”. Perché le regole dell’educazione non servono a rendere una società vuotamente formale e ipocrita. Ma a rendere la convivenza più serena e civile. E una società nella quale chi critica, per giunta senza aver dimostrato competenze, è molto più prestigioso e seguito di chi fa, diventa una stanza ospedaliera sterilizzata dove nessuno produce più nulla. Limitandosi a criticare altre stanze ospedaliere sterilizzate. In un grande rumore di fondo la cui somma è lo zero assoluto.
Dopodiché, nel diminuire l’importanza della Lucarelli come icona di nemico pubblico dei dissidenti, non mi sfugge certo l’inquietante timore che molti hanno delle sue reazioni, manco fosse la regina di Inghilterra. Di cui certo non mi lascia indifferente la propensione nel capovolgere i ruoli delle sue tenzoni dialettiche, trasformandosi da provocatrice a vittima. Né le provocazioni che ogni giorno rivolge a quelli che lei etichetta come “novax”, salvo poi stupirsi che qualcuno reagisca in maniera scomposta. Semplicemente, la cosa che non si capisce è che lei dà quel che i lettori le chiedono. Sgarbi una volta lo ammise tranquillamente: io sono così perché sennò non mi si fila nessuno. La Lucarelli, se fosse diversa (e secondo me, dal vivo è molto diversa dalla sua immagine pubblica) non avrebbe raggiunto i milioni di follower che ha. Se puntasse davvero a migliorare i lettori che la leggono, non userebbe quei toni, non si rivolgerebbe in quel modo alle persone oggetto della sua critica, non userebbe quel sarcasmo che spesso profonde nei suoi articoli e nei suoi post. Solo che a quel punto verrebbe rapidamente fatta fuori dallo stesso sistema che le ha consentito di diventare famosa. Come verrebbe fatto fuori Burioni se cercasse un dialogo con i non vaccinati.
Perché l’obiettivo dei tutori del sistema tirannico, travestito da democrazia, è quello di trasformare i cittadini in militanti del pensiero unico. Da blandire con carezze e intimidire con sferzate mirate a vulnerarne l’autostima. “Se la pensi come noi, sei gradito, altrimenti non sei degno di godere dei tuoi diritti”
Il problema, come al solito, siamo noi lettori. Noi che fabbrichiamo carriere che meriterebbero invece umili approdi. Che condanniamo al silenzio chi invece ha cose belle e importanti da dire ma, nel temere di essere ferito sul piano personale da persone completamente prive di empatia, preferisce astenersi. Che non cacciamo mai dai posti di potere ufficiali e ufficiosi chi ambisce a renderci schiavi morali e, tra poco, anche materiali.
FRANCO MARINO
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FRANCO MARINO
La Lucarelli non è diversa dai tanti, troppi, bulli che ho conosciuto. Ha gli stessi atteggiamenti, le stesse vittime e la stessa platea. Personalmente, ho risolto il problema diventando più cattiva di loro e ridicolizzandoli agli occhi della loro stessa platea. Magari non è il metodo più corretto, ma è sicuramente il più efficace.