COSA CI INSEGNA LA VICENDA DEI PORTUALI DI TRIESTE (di Franco Marino)

Da molto tempo ho smesso di fare le pulci alla dissidenza. Si tratta normalmente di un esercizio frustrante e imprudente, al pari di contestare un capoultrà mentre urla slogan contro la squadra avversaria. Se il capo dice che Giulietta era una donna di facili costumi oppure il Vesuvio è troppo pigro nei confronti dei napoletani, il tifoso ha due possibilità: o si adegua oppure se ne va. Se poi vuole farsi strada nel mondo ultrà, non deve limitarsi a pregare il risveglio del Vesuvio. Deve proprio dire che i napoletani devono morire, possibilmente tutti di AIDS. Solo in quel momento, ha qualche speranza di emergere.
Faccio un po’ di scongiuri nell’ipotesi che qualcuno mi prendesse in parola.
E tuttavia, per la vicenda dei portuali, ho voluto fare un’eccezione. Ci ho voluto credere, facendo violenza a me stesso. Anche perché vedevo tutte le persone a me care e vicine crederci e sinceramente di fare il tricheco parlante mi ero stancato. Mi sono voluto immergere nell’entusiasmo generale, ho voluto credere in un rigurgito di coscienza da parte di una cittadinanza che davvero avesse preso coscienza dei propri diritti ma soprattutto di un imprescindibile dovere morale: quello di ribellarsi a chi, mentre urlava contro il fascismo, instaurava una delle più pericolose dittature della storia dell’umanità. Alla fine abbiamo capito che era tutto un bluff ma che c’è una cosa che il sistema teme più di tutto il resto: che qualcuno vi si metta di traverso e si opponga.
La manifestazione di Trieste così ci porge una realtà dolceamara: la dolcezza è che c’è tanta voglia di ribellione e l’amarezza è che questa voglia è disorganizzata. E che esistono tanti agenti provocatori pronti a prendere un leaderino, usarlo, cooptarlo, fargli mille promesse, col che questi all’improvviso ceda e si dimentichi le ragioni della sua lotta.
Ma tutto questo ci dice una cosa che da queste pagine scriviamo sin dal nostro primo vagito: non si uscirà mai da questo infernale meccanismo fin quando non ci uniremo in un solo popolo e saremo pronti a tutto pur di ribellarci.
Trieste, le autostrade, le manifestazioni, sono tutte cose belle, vitali. Ma non bastano. E’ il momento di costruire un movimento unito, verticistico. Solo così noi potremo cacciare i barbari che hanno invaso il nostro paese, violentando secoli di conquiste sociali e civili, vulnerando fin dal profondo le basi del vivere civile.
Non se ne andranno con le buone.
FRANCO MARINO
Perfettamente d’accordo…..coi criminali bisogna usare le loro stesse armi….
Eh già… è il momento dei salamini viaggianti beretta…
Anch’io ho voluto crederci. Soprattutto perché era l’ultima speranza in una soluzione “pacifica”.
Però sono anche consapevole che la vera soluzione non lo sarà.
È stato bello sperare, per qualche ora😞
Ci ho creduto anch’io, la delusione è forte, ma almeno è servita per capire che siamo veramente tanti a volere riconquistare la libertà che ci è stata tolta