ALITALIA SPECCHIO DELL’ITALIA (di Franco Marino)

Se credessi di avere la ricetta per risanare Alitalia, non scriverei sul Detonatore e forse neanche sul Corriere della Sera. Sarei nominato manager plenipotenziario di quella compagnia aerea, avrei stipendi milionari – come quelli che l’hanno gestita – e il mio nome sarebbe su tutti i giornali. Dato che non è certo questo il caso, parlare con sicumera di una questione così delicata, suonerebbe ridicolo.
Ma se si rimane sul generale e non si ambisce a discettare di un ambito, quello del trasporto aereo, in cui non si è preparati, si possono comunque fare osservazioni che quantomeno contribuiscano a fare chiarezza non sul perché ci siamo giocati la compagnia di bandiera – che poi si potrebbe estendere al perché ci siamo giocati la più grande acciaieria d’Europa, la più grande azienda informatica del mondo e via discorrendo – ma su ciò che rende impossibile oggi fare impresa in Italia.
Così, bisogna partire dai fondamentali. Alitalia da decenni spendeva molto più di quello che incassava. In queste condizioni, un’azienda o ricapitalizza con risorse esterne che compensino le perdite oppure tecnicamente è fallita. Fin quando la compagnia di bandiera ha avuto alle spalle uno stato che poteva ripianare i suoi debiti con i soldi dell’erario – cioè dei cittadini – Alitalia sopravviveva. Nel momento in cui, l’ingresso nell’UE ha vietato gli aiuti di stato – ma le tasse sono rimaste invariate – sono iniziati i problemi, peraltro comuni ad ogni azienda di stato che diventa, presto o tardi, la mangiatoia dei politici.
Alitalia è, infatti, l’ennesima vittima della grave e contagiosa malattia del sistema italiano: lo statalismo. Lo stato è un pessimo amministratore perché non ragiona come un privato che se non ha soldi chiude e dunque si illude sempre di coprire le proprie inefficienze con il grande pozzo di San Patrizio che sono i soldi degli italiani. Viceversa, quando un’azienda è autenticamente privata, rende conto solo a se stessa e agli azionisti dei propri conti e dunque farà scelte solo funzionali al mantenimento della propria forza economica. Assumerà i dipendenti che le serve e non nani e ballerine della politica, praticherà politiche compatibili col proprio interesse e non con i disegni di questo o di quel politico, insomma lavorerà per mantenersi e prosperare. Se, viceversa, deve sottostare ai ricatti della politica, non può più badare alla tenuta dei propri conti ma solo a logiche extra-aziendali.
Naturalmente, la perdita di Alitalia è, oltre che un colpo al cuore di noi patrioti, anche un danno di incalcolabile portata, e sono pienamente d’accordo con chi dice che i danni per il sistema dei trasporti italiani saranno enormi. Ma questo sfortunatamente non cambia la sostanza dei fatti. Anche la perdita della mia automobile mi impedirebbe di fare tutte quelle cose che io oggi posso agevolmente fare grazie alla mia macchina. Ma fin quando sono in grado di pagare l’assicurazione, la tassa di circolazione, la benzina, il pedaggio autostradale, posso permettermi l’automobile. Quando le mie spese superano le entrate, la devo vendere e andare a piedi. Perché non basta comprare un bene, bisogna anche mantenerlo. Come quei fessi che prima si svenano per comprare un appartamento di lusso, una macchina fuoriserie, poi si accorgono che non hanno i soldi per la benzina, per le tasse et cetera.
Il punto dunque è come mettersi nelle condizioni di potersi permettere una compagnia di bandiera. Apparirebbe presuntuoso se io dicessi come potremmo rifare, nello specifico, Alitalia. Ma in un paese che spesso smarrisce le basi più elementari del buonsenso, già se fissassimo un po’ di princìpi, avremmo fatto dei passi avanti
Punto primo: bisogna destatalizzare quanto più possibile il paese, insegnando ai cittadini a chiedere meno da uno stato e fare da soli quanto più possibile. Ma per essere credibili, non bisogna soltanto offrire ai cittadini gli svantaggi di questo modello ma anche e soprattutto i vantaggi: una tassazione molto ridotta, una burocrazia non asfissiante che non faccia venir meno la volontà di intraprendere, di creare nuove imprese.
Punto secondo: le imprese vanno sciolte da ogni responsabilità sociale. Se una compagnia aerea non ha i soldi per sostentarsi, o è in grado di potenziare gli utili o deve tagliare i costi. E se farlo significa mandare in mezzo ad una strada migliaia di persone, deve poterlo fare. Le conseguenze sociali, in un mercato davvero libero, non esistono perché quei dipendenti troverebbero subito un nuovo lavoro perché di compagnie aeree non ce ne sarà una sola ma di più. E per un’Alitalia che fallisce, ci sarà un’altra compagnia italiana che subentra. Allo stato spetterebbe l’unico compito di proteggere il mercato italiano dalla concorrenza straniera. Per il resto, lascerebbe mani libere ai privati.
Ma questo comporterebbe un radicale cambio di mentalità. Gli italiani dovrebbero iniziare a trattare un imprenditore non come un benefattore che regala soldi ai lavoratori ma come capo di un’azienda che vuole conseguire utili e massimizzare i profitti. Con i lavoratori che, in un mercato ricco di alternative, potrebbero “ricattare” l’azienda, facendole intendere che ce n’è sempre un’altra pronta ad assumerli a migliori condizioni. Esattamente come avviene nel ramo dell’informatica dove lo stato – vuoi per ignoranza, vuoi per altri motivi – non è mai riuscito a penetrare, dove funzionano solo le logiche dell’armonizzazione degli interessi privati, e dove il fornitore taccagno e il programmatore esoso vengono subito fatti fuori da un mercato che non tollera cialtroni.
E allora forse un giorno non avremo più soltanto una grande compagnia aerea italiana ma un vastissimo distretto industriale. Perché la vera domanda non è “Ci possiamo permettere una compagnia di bandiera” bensì “In questo paese ci possiamo permettere di fare impresa?”. E se a questa domanda la risposta è no, noi non possiamo permetterci nulla, altro che volare con la bandierina tricolore.
Alitalia è solo lo specchio di un problema più profondo. Sul perché lo specchio si sia rotto, è il benvenuto qualsiasi dirigente dell’Alitalia che voglia delucidarci. Ma sul problema più profondo, la malattia è nota e non occorre essere stati manager di quella grande azienda.
Basta essere italiani e conoscere i propri polli. E usare la cara vecchia tavola pitagorica che non tradisce mai.
FRANCO MARINO
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FRANCO MARINO
In questo bellissimo pezzo hai centrato ogni aspetto del (dei) problema. Nulla da aggiungere se non che condivido ogni parola