Il Detonatore

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DELL’UTRI, L’ANTIMAFIA E LA TRATTATIVA (di Franco Marino)

La magistratura ha così poca credibilità ai miei occhi che ogni assoluzione e ogni condanna li leggo sul piano politico, non sul piano giudiziario. Dedicherò dunque poco alla vicenda di Dell’Utri che, per come la vedo io, è stato assolto per le medesime ragioni politiche per cui era stato condannato: la sua amicizia con Berlusconi. Quando il Cavaliere rappresentava – o, a posteriori, fingeva di rappresentare – le ragioni di noi liberali, ecco la condanna di Dell’Utri. Oggi che Berlusconi si è piegato alla narrazione dominante, ecco l’assoluzione.
E questa mia sfiducia, ovviamente, non vale solo per i personaggi che sono o sono stati dalla mia parte. Se un domani Travaglio – per fare l’esempio di quanto di più detesto – venisse condannato, magari gioirei perchè significherebbe vedere alla sbarra un personaggio che mi provoca l’orticaria alla sola vista. Ma in quel caso non penserei mai che la magistratura sia divenuta finalmente qualcosa di serio: penserei che Travaglio abbia pestato i piedi di qualcuno. La mia infatti è una sfiducia totale, ideologica. Che tocca anche i personaggi a me sgraditi. I quali nel giorno in cui finiscono nel mirino dei giudici, per me diventano vittime. Poi certo, in quel caso continuerei a non andarci a cena.
Ben più importante è chiarire un punto, quello delle accuse di mafia, che rappresenta forse il vero pericolo per la sovranità politica del paese. A partire dai cosiddetti reati associativi.

Una legge è giusta quando identifica con chiarezza le responsabilità della persona che si vuole imputare. Se Dell’Utri fosse stato condannato per reati in cui è palese la sua responsabilità sia come mandante che come accusatore, ci sarebbe poco da dire. Ma se già sulla cosiddetta “associazione mafiosa” sussistono moltissimi dubbi da parte dei giuristi di tutto il mondo – secondo i quali la giustizia italiana è degna più dei paesi sottosviluppati che di una potenza industriale – e se Strasburgo ha già dichiarato il suo dissenso nei confronti del ridicolo “concorso esterno in associazione mafiosa” – come se si potesse “mafiare a giorni alterni” – figurarsi come si possa accettare l’idea che aver trattato con i mafiosi possa costituire una particolare tipologia di reato. Che non esiste nel codice penale. Semplicemente.

Del resto, il concetto stesso di trattativa andrebbe visto sul piano politico e non morale. Che lo Stato possa aver trattato con la mafia è possibilissimo. Che Berlusconi fosse più o meno consapevole delle “particolari amicizie” del suo fraterno amico, anche. Che Berlusconi e alcuni vertici della politica italiana possano aver trattato con Cosa Nostra, pure. E sebbene sia da minorati mentali pensare che il Cavaliere sia il mandante della morte di Falcone e Borsellino come qualcuno ha tentato di insinuare, che gli alti vertici degli equilibri politici possano essere scesi a patti con la mafia non è affatto da escludere. Ma il vero punto di fondo è: una trattativa era davvero così sbagliata ed evitabile?
Mettiamola così. Siamo nel 1992-1993 e l’Italia si vede saltare per aria, per inchieste giudiziarie o per agguati mafiosi, i protagonisti più importanti della Prima Repubblica. Si vede uccidere poliziotti e magistrati. Vede sorgere separatismi in ogni dove, tutti in odore di mafia. Vede minacciato il proprio patrimonio artistico. E’ del tutto strano che i vertici politici, sentendo di non avere la forza per contrastare quest’onda, abbiano trattato con quelli mafiosi? Siamo sicuri che la mafia fosse il vero referente e che ai politici italiani non sia giunta notizia di infiltrazioni straniere nel sistema italiano, tali da consigliare una trattativa?
Se a queste domande non si può rispondere, è sciocco dirsi a priori contro una trattativa con i mafiosi perchè le pose gladiatorie è possibile permettersele solo quando si è consapevoli della propria forza. E in quel periodo, l’Italia era un paese debole alla ricerca di nuovi equilibri che, si dice, si raggiunsero col bipolarismo che, vere o meno che fossero quelle insinuazioni, in effetti pose fine alle stragi. Ma che, di fatto, durante la trattativa, erano ormai saltati, assieme ai vecchi referenti.

Sia quel che sia, la sensazione è che oggi l’antimafia sia più un’arma di pressione politica che di serio combattimento del fenomeno mafioso. Nell’era del covid poi, abbiamo scoperto che la vera mafia, a volte, può essere perfino quello stato che tanto dice di volerla combattere.
L’assoluzione di Dell’Utri è un evento totalmente irrilevante come lo sarebbe stato la sua condanna. Nessuna persona di buonsenso crede che una sentenza definisca la natura di agnellino o di lupo cattivo di un uomo politico. Politica e morale non vanno di pari passo anche se Magistratura Democratica e il Fatto Quotidiano sembrano non volerlo proprio capire.
Ma soprattutto, nessuna persona di buonsenso crede ancora nella serietà della magistratura italiana.

FRANCO MARINO
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2 commenti su “DELL’UTRI, L’ANTIMAFIA E LA TRATTATIVA (di Franco Marino)

  1. È stato come tradurre una ormai attempata sensazione carsica: “Hanno assolto Dell’Utri per lo stesso motivo per cui l’avevano condannato: Berlusconi.”

  2. Che la magistratura fosse per così dire inquinata bisognerebbe partire da molto lontano,ancora oltre di ciò che pensa la gente comune…il connubio stato mafia fiorisce proprio con gli inizi della prima Repubblica per poi trasformarsi in quell’orribile carrozzone di mattatoio politicogiudiziario sotto gli occhi di tutti..e l’atteggiamento dell’inquilino del Quirinale dopo i clamorosi scandali ne è la palese controprova…
    Il futuro??? Per eliminare la gramigna c’è solo un modo!!!!!!

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