E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI RESISTERE (di Franco Marino)

Mio padre è nato nel 1948 ed è deceduto nel 2020. Mia madre è nata nel 1953 ed è deceduta nel 2011. Settantadue e cinquantotto anni senza nessuna guerra e contrassegnati dai posti fissi che abbondavano. E fatalmente questo ha inciso sulla loro mentalità. La loro convinzione era che io dovessi cercare un posto fisso che mi caratterizzasse dalla culla alla tomba e che dovessi vivere solo di quello. Mio nonno invece, nato nel 1917 e deceduto nel 2003, è nato, purtroppo per lui, abbastanza presto da conoscere e combattere la terribile seconda guerra mondiale e, per mia fortuna, è morto sufficientemente tardi per riuscire a raccontarla ad un nipote non troppo giovane per capirla. E la differenza di mentalità tra lui e mio padre era abissale. Mio padre era sinceramente convinto che il mondo nascesse e finisse a casa sua e nel pubblico impiego. Mio nonno invece, per aver conosciuto gli stenti e la prigionia, sapeva benissimo che la pace e la prosperità non erano affatto scontati ed era molto arrabbiato nel vedere centinaia di migliaia di giovani avere un’idea della pace del tutto stereotipata, basata sull’illusione che bastasse disarmarsi per eliminare la guerra dal DNA umano. Non che mio padre fosse stupido e mio nonno geniale. Semplicemente entrambi erano figli dei propri tempi. E forse erano di temperamento differente. L’educazione, del resto, è fatta dalle esperienze di vita e dal temperamento personale.
Le mie esperienze sono ovviamente di un uomo nato all’inizio degli anni Ottanta ma il mio temperamento è molto più simile a mio nonno. Che non a caso, forse perchè libero professionista, appoggiava il mio netto rifiuto di entrare nel pubblico impiego, ben consapevole che gli stipendifici consociativistici degli anni d’oro, col crollo del Muro di Berlino, sarebbero venuti meno. E forse ben consapevole del fatto che uno come me, dopo aver intascato il terzo stipendio fisso di fila, per non annoiarsi sarebbe finito a sparare revolverate ai bacarozzi.
Non tutti però hanno questo temperamento e molti così si affidano allo spirito della propria epoca, assorbendone le illusioni e credendo che la storia nasca e finisca con loro. Del resto fu questo presupposto a far dire a Fukuyama che la storia era finita.
L’idea che la storia si circoscriva al nostro tempo e dunque non avere il minimo dubbio che si ripetano certi orrori, è una follia dei nostri anni. A volte sembriamo non renderci conto che principi come la libertà e la democrazia, occupano un raggio di anni estremamente ridotto rispetto alla storia umana e che quindi c’è il serio rischio che questi possano facilmente essere accantonati alla minima buona occasione. E nessuno si pone il dubbio che proprio la loro recentezza debba far pensare che essi non solo siano scontati ma che anzi siano un incidente della storia e che non facciano affatto parte del DNA umano.
I diritti non vengono MAI calati dall’alto. Sono sempre una conquista dal basso. Che, come testimoniano le principali rivoluzioni riuscite, vengono certamente guidate dalla borghesia e mai dai sanculotti. Ma la borghesia, nel momento in cui decide di appoggiare una rivoluzione, non è classe dirigente. Lotta per diventarlo. Contro una casta e una classe di nobili che, se fosse per esse, rimarrebbero come sono a vita. Perchè il potere, da sempre, non accetta di dividere con nessuno il proprio bottino. Se ciò accade è perchè si rende conto di non essere sufficientemente forte da gettare la maschera ed imporsi.
Da questo deriva che ogni conquista sociale e civile è sempre figlia di una lotta. Il suffragio universale viene concesso al popolo solo quando al potere appare troppo forte. Laddove il potere non capisce la cosa, come avvenne in Francia, il cambio di regime si conclude con la ghigliottina. Laddove il potere, furbescamente, capisce di non poter vincere, concede qualcosa, salvo poi rinviare i conti col popolo o fregarlo di nascosto.
In tempi di vacche grasse, il potere sembra non avere fretta nel rimuovere i diritti dei cittadini perchè fin quando il mangiare basta a tutti, non ci sono tensioni sociali. Ma quando il potere inizia a rendersi conto che non c’è cibo per tutti, ha due strade davanti: o rassegnarsi ad essere scalzato da un altro potere oppure sterminare la fazione rivale. Lo stato, infatti, è la fazione militare più forte di un determinato territorio e che voglia sterminare eventuali fazioni avversarie, per quanto spregevole, è del tutto razionale e logico.
La mia personale convinzione è non solo che il Covid costituisca il pretesto per operare una resa dei conti da parte di una classe dirigente che non si è mai rassegnata all’idea che il popolo debba partecipare alla guida del paese. Ma che anzi, il peggio sotto questo aspetto debba ancora arrivare. Perchè indipendentemente da ciò che contenga il vaccino, se sia acqua fresca come scrivono alcuni oppure una terapia genica sterilizzante come scrivono altri, in questo anno e mezzo si sono legittimate delle prassi che si credevano sepolte in un passato appartenente ai libri di storia. Ad essere finiti nel mirino sono le principali conquiste degli ultimi secoli. Il diritto alla proprietà privata, il diritto di parola, il diritto di voto, il diritto ad intraprendere. Diritti che l’umanità si è conquistata lottando, spargendo sangue. La Rivoluzione Francese, considerata la culla della moderna civiltà dei diritti, non è stato un evento pacifico ma un fatto di sangue, violento. Da cui tuttavia è disceso quel timore reverenziale che il potere ha nei confronti del popolo. Da sempre. Anche oggi.
Se il potere non avesse paura del popolo, non si farebbe certo lo scrupolo di raccontargli balle ma gli imporrebbe la propria verità con metodi molto più autoritari di quelli di oggi. Non si porrebbe l’obiettivo di spiegargli la necessarietà del greenpass. Non cercherebbe di rincoglionirlo a tutte le ore del giorno e della notte, scomodando intellettuali e artisti di ogni risma. In Cina dove il potere politico è forte, gode del sostegno della popolazione, dove non c’è stata alcuna cultura dei diritti anche perchè non ce n’è stato bisogno, dal momento che il regime cinese ha tirato fuori dalla povertà settecento milioni di persone. E dove dunque, senza fare ridicole manfrine come la sponsorizzazione dell’omosessualità oppure l’inoculazione di vaccini sterilizzanti, si è detto in buona sostanza ai cittadini: siamo troppi, la libertà di parola e di determinare le classi dirigenti non vogliamo darvela, la vostra proprietà ve la possiamo togliere in qualsiasi momento, basta che lo crediamo utile. O lo accettate o finite impiccati.
Molti sembrano non rendersi conto che lo stato “non è buono”. Non ha a cuore il bene dei suoi protetti. Non offre servizi e protezioni per la bella faccia dei suoi consociati. Lo stato è semplicemente un gruppo di uomini meglio armati di altri gruppi. Il cui core business è garantire la protezione sociale a cui l’uomo, naturaliter, tende. Lo stato si dà arie di ufficialità, pretende di farsi chiamare con la S maiuscola come quel gattone maschio che, quando deve minacciare un rivale, gonfia il pelo. Ma se un domani, arrivasse un gattone più forte e dunque i dissidenti riuscissero a radunare un numero di persone sufficientemente armate, costoro lo rovescerebbero e diventerebbero loro lo stato.
E’ dunque perfettamente razionale che le classi dirigenti che costituiscono il bastione di uno stato, cerchino di sterminare i propri nemici, sterilizzandoli, ammazzandoli. Quando osservo l’azione degli oligarchi più o meno oscuri di questa dittatura, vedo una logica che è chiarissima e che, se fossi dalla loro parte, adopererei anche io: noi siamo i loro avversari e dunque dobbiamo essere sterminati.
Chi pensa che questo sia “troppo brutto per essere vero”, che la democrazia e la libertà vadano di pari passo con la pace e la non violenza e che certi tristi fenomeni umani (la shoah, le tirannie) appartengano alla preistoria, non ha letto nulla della storia. Che peraltro vede massacri molto più orrendi della Shoah. E quindi non conoscerà nemmeno quello che disse, tanti ma tanti anni fa un presidente degli Stati Uniti, Jefferson: “L’albero della libertà deve essere rinvigorito di tanto in tanto con il sangue dei patrioti e dei tiranni. Esso ne rappresenta il concime naturale”.
La democrazia e la libertà sono il frutto dell’indisponibilità dei cittadini a far requisire i propri diritti. In quanto tale non va di pari passo con la pace e la moderazione ma esattamente con l’esatto opposto: con la necessità, di tanto in tanto, di fare morti e feriti.
L’albero della libertà in Italia sta pericolosamente appassendo. La soluzione per rinvigorirlo non ve la sto dicendo io. Ce la suggerisce Jefferson.
Se vogliamo vivere in un paese libero e democratico, è il momento di lottare, di rischiare quanto abbiamo di nostro, di abbandonare ogni progetto di vita, di rinviare i nostri sogni, di affrontare i nostri incubi. Oppure di abbandonarci alla nostra fine.
E non illudetevi. Stavolta non viene nessuno a liberarci. Non fosse altro perchè i tiranni di oggi sono i liberatori di ieri. E sul mercato non si vedono liberatori disposti a rischiare milioni di morti per garantirci una sopravvivenza al di sopra dei nostri e dunque dei loro mezzi.
Quanto sta accadendo è solo il conto di ottant’anni di immotivata prosperità e pace, garantita dalla finanza americana che oggi ha interesse a farsi da parte. E no, la Russia e la Cina non hanno interesse a salvarci o perlomeno non al prezzo stabilito da noi.
E’ arrivato il momento della resistenza. E possiamo farcela soltanto da soli.
FRANCO MARINO
Questo articolo dovrebbero studiarlo a scuola, impararlo a memoria, parola per parola, come si fa con la preghiera. Chissà che ripetendo all’infinito, qualcuno non arriverebbe a capirlo?
Speriamo di essere ancora in tempo 😞
Complimenti, gran bell’articolo.
L’unica cosa che io sento di poter fare, singolarmente, è resistere.
Per commetare il concetto che hai espresso, mi sento di citare Maritain:
” … Il bene comune del corpo politico richiede un lavoro di autorità e di potere della società politica e perciò un organo speciale dotato del supremo potere, per il bene della giustizia e della legge. Lo Stato è questo supremo organo politico. Ma lo Stato non è nè un tutto, nè un soggetto di diritto, nè una persona. E’ parte del corpo politico, e come tale, inferiore al corpo politico in quanto tutto, subordinato a lui, e al servizio del bene comune. Il bene comune della società politica è lo scopo finale dello Stato e vien prima dello scopo immediato dello Stato, che è il mantenimento dell’ordine pubblico. Il primo dovere dello Stato riguarda la giustizia, che dovrebbe essere esercitata solo come un’ordinata supervisione del corpo politico, giusto nelle sue intime strutture. Infine il corpo politico deve controllare lo Stato, che però ha le sue funzioni nel governo nelle sue stesse parti. In cima alla piramide di tutte le strutture particolari dell’autorità che, in una società democratica, dovrebbe prender forma nel corpo politico dal sotto in su, lo Stato gode della suprema autorità di supervisione. Lo Stato riceve questa autorità suprema dal corpo politico, cioè dal popolo”.
(2) -Maritain J.: L’uomo e lo Stato, pag.29-.