Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA RELIGIONE DEL LEVIATANO AI TEMPI DELLA DITTATURA SANITARIA (di Franco Marino)

Su come molti atei in realtà non abbiano mandato in soffitta la mentalità religiosa, ho già scritto. Già citare qualcuno non viene considerato elegante, se poi si cita anche se stessi, si corre il rischio di farsi ridere appresso. Il lettore di fronte a “come ho già scritto in altre circostanze” è autorizzato a rispondere “A chi?” e ridere della vanità dell’autore. E poi, se i miei lettori si accorgessero che i miei articoli si ripetono in successione, anche a stimarmi, dopo un po’ chiuderebbero la pagina: l’orgasmo di leggere un articolista che la pensa come noi dura giustappunto il tempo dell’orgasmo. Poi si vogliono nuove emozioni, posto che i miei articoli siano all’altezza di provocarle. Ma se cito di nuovo questa mia convinzione è perchè essa si aggancia perfettamente a ciò di cui vorrei parlare.

Un ateo, come ho già scritto (ok, non lo faccio più, scusatemi) anche quando non crede in Dio, non per questo smette di credere a cose assolutamente non dimostrate e non dimostrabili. Quella che più fa sorridere è l’idea che lo stato sia sempre interessato al bene degli individui. Perchè è forse quella che non solo di dimostrazioni ne contiene di meno ma, anzi, andando a ritroso della storia, più di tutte si avvicina al falso. Naturalmente, dal momento che non esiste alcuna evidenza della cosa, a maggior ragione il concetto di stato viene ammantato di un armamentario di simbolismi il cui scopo è unicamente quello di intimidire i cittadini, ponendoli in soggezione di fronte al Leviatano. Cioè di fatto ad un’entità incorporea o, per meglio dire, la cui corporeità risiede nella disponibilità di un singolo cittadino di sacrificare, dinnanzi ad esso, la propria individualità. Lo si definisce con la S maiuscola, si usa la C maiuscola per definire la Costituzione, del presidente si dice che è il Presidente Della Repubblica, con le prime lettere in maiuscolo. Ma chi non ha una visione religiosa dello stato, lo vede per quel che è. Un male necessario. Un prodotto della natura umana. Un’azienda il cui core business è fornire attraverso il pagamento delle tasse, la protezione a cittadini altrimenti incapaci di difendersi da soli. E dunque, essendo quella azienda divenuta stato, quella che quel core business lo soddisfa in meglio: perchè è il gruppo di persone che ha più uomini o perchè sono i più forti o i meglio armati, perchè assicura meglio i servigi che ne giustificano l’esistenza.
Naturalmente, non sempre un gruppo è forte a sufficienza da ridurre a soggezione tutti gli altri e quello è il momento in cui sorge una guerra civile oppure si verificano rivoluzioni, cambiamenti violenti di regime. Che si verificano perchè i gruppi che si scontrano raramente condividono i medesimi valori e la pensano allo stesso modo.

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Se si depura la propria concezione dello stato da ogni idealismo, si riesce anche a percepirne la sua necessarietà. Del resto, l’uomo è un animale sociale. In quanto tale, diversamente dal gatto che è in grado di procacciarsi da solo il suo topo e dunque scaccia ogni maschio si possa avvicinare, l’uomo ha bisogno di tessere dei legami per sopravvivere. E fin qui siamo tutti d’accordo. Siamo anche d’accordo che lo stato deve esistere, in qualche forma. Ma da qui a trasformare questo banale dato sociologico in una continua salmodia dello stato, è qualcosa che francamente si fa fatica a sopportare. Uno stato non ha niente di morale ma molto di pratico. Non è il frutto di un accordo a tavolino tra le parti come scriveva Di Pietro in un suo insulso bignamino sulla costituzione ma è anzi l’esatto opposto: il prodotto di un conflitto in cui c’è un vincitore che in quanto tale “detta legge”. E che, va da sè, farà di tutto per mantenere il proprio potere perchè se non lo facesse, un altro gruppo con altri valori, lo soppianterà.
Si capisce già da questo che lo stato – e si badi bene, non potrebbe essere altrimenti – non è interessato ai suoi cittadini per loro ma per sè stesso. In quanto tale, se per garantire la propria sopravvivenza deve uccidere alcuni cittadini, lo farà. Come è già successo quando, per seguire i deliri espansionistici di qualche sovrano, lo stato non ha esitato a mandare a morte milioni di persone in questa o quell’altra guerra.
Se emergeranno gruppi con valori diversi da quelli contenuti nello statuto, lo stato li perseguiterà fino a ridurli ai minimi termini. E dunque il cittadino deve diffidare dello stato nella medesima misura che lo porta a riconoscerne la necessarietà. Proprio per questo è anche inevitabile, naturale, umano, che il cittadino si guardi attorno e cerchi altri gruppi.


Nel momento in cui si fuoriesce dall’inganno, si respira a pieni polmoni come se si fosse usciti da un paese dominato dal socialismo reale. Ma la libertà non è per tutti. L’uomo che smette di credere in Dio, non fuoriesce solo da una disciplina e da un insieme di regole. Esce anche da qualcosa che dà un senso alla sua vita. Al tempo stesso, chi esce dalla religione del Leviatano, esce da una serie di bugie, di opprimenti convinzioni imposte con tutta la forza di cui esso dispone. Ma esce anche dal conforto che può dare solo l’adesione ad un conformismo. Si smette di credere che lo stato pensi al bene dei cittadini e ci si accorge che il suo unico scopo è la conservazione dello status quo. Non si pensa più che lo stato voglia proteggere i suoi cittadini da un virus ma ci si chiede quanto il desiderio spasmodico di vaccinare in massa per proteggere la collettività, sia compatibile con le giornaliere campagne di riduzione della popolazione e con gli allarmi sul fatto che l’INPS non abbia più soldi, chè anzi questo virus costituisce un’occasione d’oro per risolvere o quantomeno attenuare entrambi questi problemi.
La logica e la razionalità autorizzano i dubbi più atroci perchè le contraddizioni sono palesi.

Uscendo dalla dimensione religiosa dello stato, si trova stupido chi ripone cieca fiducia negli altoparlanti attraverso i quali, sotto forma di intrattenimento, informazione, infotainment, il Leviatano tenta di spargere il suo seme. Il credente della religione Stato non consente alcuna eterodossia nel prossimo. Se anche solo osa guardarsi altrove, subito i sacerdoti della politica gli ricordano che il Leviatano è il signore dio suo e che non avrà altro dio all’infuori di esso.
A quel punto, come nelle religioni tradizionalmente intese, l’umanità si divide in due: chi è abituato a non credere in nulla, non crederà neanche nel Leviatano. Chi crede, deciderà di recitare giornalmente la propria professione di fede. Crede in un solo dio, stato onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. E dunque ritenendo che bisogna “eliminare la mela marcia, affinché non infetti le altre mele del cesto”, eliminerà tutti quelli che mettono in discussione il dogma del potere dominante.

A quel punto, quelli che invece vogliono continuare a credere nel Leviatano, casomai mentre offendono Cristo e coloro che ci credono, continuano a recitare la propria quotidiana professione di fede nel Dio Stato. Non in chiesa ma sui social. Non davanti ad un prete ma davanti a Burioni. Chi è interiormente libero, decide di lottare per un altro stato e di dichiarare guerra a quello dominante.
E’ tutta questione di indole. Ad ognuno la sua.

FRANCO MARINO

Un commento su “LA RELIGIONE DEL LEVIATANO AI TEMPI DELLA DITTATURA SANITARIA (di Franco Marino)

  1. Non ricordo chi lo disse, ma sono perfettamente d’accordo: pagare le tasse è immorale. Lo è poiché lo stato utilizza il nostro denaro in maniera per l’appunto immorale. A me per esempio non sta bene che il mio denaro venga speso per fare tamponi e acquistare milioni di dosi di vaccino, non mi sta bene che esso venga elargito ai giornali per fare propaganda da una parte e censurare dall’altra. Non mi sta bene che venga utilizzato per “salvare” le banche. Potrei andare avanti a lungo con questa lista.
    Come tutte le religioni, anche quello verso lo stato ha bisogno di mantenere nell’ignoranza e nella paura i suoi credenti e di guidarli come un gregge di pecore.
    Non per niente Gesù non chiedeva alle persone di credere, no, diceva loro di avere fede, di trovare la fede dentro di sé, che è cosa ben diversa. La fede ce l’hai o non ce l’hai (dentro di te), un credo lo puoi costruire a piacimento, è un qualcosa di esterno rispetto alla persona e come tale non richiede alcuno sforzo attivo da parte di chi lo subisce (passivamente).

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