TOTO’ RIINA FOR PRESIDENT: IL CASO DELLA VENTURA IN CALABRIA (di Franco Marino)
Ho un’avversione totale e completa verso Grillo. Ma se ritenessi che il linciaggio morale e giudiziario che sta subendo sia giusto, quei lettori che conoscono le mie posizioni di principio sul tema avrebbero il diritto di disprezzarmi. Dal momento che questo non è il mio caso, che ho scritto a più riprese che vicenda relativa al figlio del popolare comico genovese fa acqua da tutte le parti; dal momento che le prefiche dello scandalismo moralfemministico si sono subito schierate contro di lui; dal momento che è stata strumentalizzata sul piano politico, ho la quasi certezza che il figlio di Grillo sia innocente.
E tuttavia, non è certo di lui che voglio parlare ma della Ventura, candidata di PD e Movimento 5 Stelle in Calabria, che è stata praticamente costretta a ritirare la sua candidatura per un’interdittiva dell’Antimafia, relativa ad alcune aziende di famiglia. Sulla sua persona non c’è alcun’indagine ufficiale ma ciò nonostante è stata costretta a ritirarsi.
Provando un’autentica orticaria per tutto quel che riguarda questi due partiti, dovrei esultare. E invece registro con profondo fastidio l’inserimento a gamba tesa di una lobby che non risponde a nessuno del proprio operato e che detta l’agenda della politica, oltre che trovare ridicole le ironie di un centrodestra che in Lombardia non ha ancora un candidato.
E’ il principio che conta: non deve essere l’Antimafia e, in generale, nessun potere a mettersi di traverso alla scelta di un cittadino di votare chi vuole.
Il che introduce la domanda: ma così non si rischia che si candidino mafiosi e camorristi?
Che autorizza una risposta molto plastica ancorchè icastica: chissenefrega.

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Quando avevo ancora il mio vecchio blog (2010) e fu ufficializzata la candidatura di De Magistris a sindaco di Napoli, dissi che tra l’ex-magistrato e Totò Riina avrei votato senza esitazione per il capo dei corleonesi. Fui sottoposto ad un autentico linciaggio, quelli erano gli anni in cui il delirio antimafioso proliferava indisturbato e in quell’occasione un’esponente del PD, una cretina totale, mi mise di fatto nelle condizioni di chiudere il blog, asserendo che io facessi “giornalismo abusivo” e che con quell’articolo io violassi la Costituzione. Che, tra le altre cose, all’art.21 dice che l’Ordine dei Giornalisti è incostituzionale.
Ma la mia non era una provocazione fine a se stessa. Se il popolo tra Gesù e Barabba vuole Barabba, è inutile stare a sfogliare i codici o aggredire un insignificante blogger.
Fra l’altro, la “questione morale” è anche contraddittoria. Pur ammettendo che il popolo si scandalizzi per gli episodi di collusione mafiosa e che desideri avere politici assolutamente al di sopra di ogni sospetto, chi gli vieta di non votare i candidati “condannabili” e di votarne altri lodevoli sotto ogni aspetto? E se i moralisti temono che invece altri optino per quei candidati che loro mai voterebbero, con quale diritto pensano di vietarglielo? Il voto non è forse libero? La Costituzione non dice forse che “la sovranità appartiene al popolo”?
Tanto per ricordare quanto diversa possa essere la politica dal diritto, chi non troverebbe indegno di qualunque carica un condannato a morte? Ebbene, la storia ci fornisce l’esempio di un condannato a morte con sentenza definitiva che, sfuggito all’esecuzione, fece carriera in politica. Si chiamava Charles De Gaulle. E andando indietro nella storia, un uomo crocifisso è il cardine di una religione millenaria mentre un altro condannato a bere la cicuta, il cardine della filosofia moderna.
L’idea che la morale o il diritto debbano interferire nella vita politica e nella qualità intellettuale di un personaggio è frutto di ignoranza e bigottismo. Per la morale, si ignora la lezione di Machiavelli, per il diritto si ignora la lezione di Montesquieu. In democrazia, il metro di tutto è la volontà popolare. E di fatto nulla impedisce che un uomo pessimo, a titolo personale o perfino morale, addirittura un delinquente, possa essere un ottimo governante e come tale essere giudicato dal popolo. Oppure un grande artista e un pregevolissimo intellettuale. Luigi XIV e Luigi XV furono tutt’altro che modelli di moralità, soprattutto in campo sessuale. Ma proprio il secondo era chiamato il “Bien-aimé”, potremmo tradurre “l’amatissimo”. Mentre a Luigi XVI, un brav’uomo, fu tagliata la testa.
Pasolini era un uomo moralmente assai discutibile ma è stato il più grande intellettuale italiano del dopoguerra.
Naturalmente con tutto questo non si vuol dire che il politico sia autorizzato a commettere, prima o durante la sua attività, tutti i reati che vuole nè che la Ventura sia De Gaulle, Gesù o Socrate. Nè tantomeno che sia auspicabile che al potere vada un mafioso.
Si intende soltanto che il popolo deve essere libero di scegliere i propri candidati senza renderne a nessuno se non al popolo stesso. Di sicuro non a lobby che si attivano senza che vi sia uno straccio di notitia criminis, dal momento che la Ventura non risulta indagata per alcun reato.
Se il popolo vuole, deve essere libero di votare anche Totò Riina. Che certo, era quel che era, ma sicuramente sarebbe stato un candidato molto più capace di Di Maio.
La qualità di un uomo non si riduce alla sua fedina penale. Ma soprattutto, la sovranità appartiene, sempre e comunque, al popolo.
Lo dice la Costituzione di cui tanti en plein air si riempiono la bocca per poi, a telecamere spente, adoperarla per usi igienici.
FRANCO MARINO
Ah povera costituzione!!! Sconosciuta, dimenticata e strumentalizzata all’ennesima potenza da chi dovrebbe soltanto difenderla!!!!!