Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – LETTERA A UN AMICO CHE HA TENTATO IL SUICIDIO PER RAGIONI “POLITICHE”(di Matteo Fais)

Caro amico,

non puoi immaginare la sensazione quando ho visto la foto della tua stanza d’ospedale – quelle sbarre alle finestre – e ho sentito la tua voce, solitamente maschia e forte, distorta dai medicinali. Trascinavi le parole e i pensieri con la lentezza di un Sisifo col suo fardello.

Ti ho detto un sacco di stronzate, tipo “ma che cazzo ti è passato per il cervello?”. In verità, capisco bene il tuo gesto. Questo mondo è malato e, in esso, gente come noi non potrà mai sopravviverci. Il tuo atto aveva una valenza politica, era il grande rifiuto.

L’hai ammesso tu stesso, per questo lo dico. Era notte, eri solo e la vita assurda che stiamo conducendo ti è piombata sul petto come un mostro improvvisamente materializzatosi sul soffitto della stanza.

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Io so cosa ti tormenta, perché è ciò che strazia anche me. Non ce la facevi più a vivere in un mondo uscito dai cardini, in cui la gente protesta perché vuole vedersi riconosciuto il diritto a svegliarsi una mattina uomo e la successiva donna, mentre precariato e disoccupazione avanzano senza che nessuno muova un dito. Censura, libertà d’opinione limitata, rapporti umani resi oramai impossibili da un femminismo decerebrato.

Non hai retto. È comprensibile. Ti dirò di più: forse, sei l’ultima delle persone razionali. Chi riesce a sopravvivere con gioia entro questa follia è una persona malata. Noi siamo i sommersi che non possono essere salvati. Solo i peggiori ce la fanno.

Ritrovarsi a trentasei anni, come te, senza famiglia né figli – e, soprattutto, senza la possibilità di farli –, o sapendo che, qualora dovessero capitare, sarebbero solo sottoposti alla propaganda gender imperante, dà un senso di angoscia. No, non è un Paese per persone normali, famiglie tradizionali, coppie senza strambe perversioni.

Giustamente, mi ha confessato tempo addietro che, da anni ormai, non riesci ad avere a che fare con una donna in modo sano, perché quasi nessuna è tale. Su Tinder, ti sei beccato solo squilibrate all’ultimo stadio, gattare, tizie che volevano vivere nel virtuale rifiutando il reale. Per non parlare dei deliri femministi che devi sentire ogni giorno, quelli per cui se una donna lava i piatti bisogna fare una manifestazione nazionale contro il patriarcato. Sfido io che uno apre la finestra e si butta di sotto.

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Credimi, ti capisco, anche perché la penso come Seneca nelle Lettere a Lucilio: “Il saggio vivrà non quanto può ma quanto deve […] Egli bada sempre alla qualità, non alla lunghezza della vita. Se le avversità che gli si presentano sono tante e turbano la sua serenità, si libera e non aspetta di trovarsi alle strette: non appena comincia a sospettare della sorte, considera seriamente se non sia il momento di farla finita […] Non importa morire presto o tardi, ma morire bene o male; morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere male. Giudico, perciò vilissime le parole di quel famoso rodiese, che, gettato dal re in una gabbia e nutrito come una fiera, rispose a uno che gli consigliava di non toccare cibo: ‘Finché c’è vita, c’è speranza’”.

No, amico mio, in questo Occidente moribondo non c’è speranza e una persona normale può conoscere solo una disperazione che deve sempre cercare di tenere a bada, finché questa non lo consuma con un cancro o qualcosa di simile. Ma se, a questo punto, restituire il biglietto d’imbarco potrebbe sembrare l’unica via, io ti dico che ne resta ancora un’altra inesplorata. Se proprio abbiamo scelto di morire rifiutando la viltà dei più, possiamo al contempo dare una possibilità alla lotta più estrema, alla rivolta esistenziale più radicale. Chi non ha paura del plotone d’esecuzione può farlo. Sabotare questo sistema è l’unica via. Non avremmo un gruppo che ci segua, come nel Fight Club, ma dobbiamo tentare. Se siamo soli, con davanti una fila nemica pronta a fare fuoco e sappiamo di non avere scampo, non resta che uscire allo scoperto e incendiare l’aria di pallottole, con un unico obiettivo: portarci dietro, all’inferno, il maggior numero di bastardi possibile.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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