Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

IL LENTO PARRICIDIO QUOTIDIANO (di Franco Marino)

Ho amato profondamente mio padre e mia madre proprio per la loro peculiare diversità. Mio padre era il divieto, espresso se necessario anche a cazzottoni, l’ultimo datomi a sessant’anni suonati quando, durante una discussione, mi diede uno scappellotto alle spalle e io gli dissi stupidamente “Alle spalle mi picchi?”. Risposta: un montante in pieno viso che mi fece cadere bocconi a terra col mio metro e ottantacinque e quintale abbondante di peso. Ma la guida non era solo cazzotti, ovviamente. Era l’esempio, la rettitudine, la costanza, la tenacia, il rispetto delle regole. Tutte cose che appartengono al campo maschile perchè è la natura del maschio quella di essere fermo su un punto. Mia madre era la confidente, dolce, affettuosa, premurosa, di forte personalità certo. Ma che non ha mai preteso che mio padre dovesse darmi la tetta per allattarmi. E che ascoltava paziente i miei numerosi turbamenti amorosi.
Papà era la guida, retta, forte, sicura. Talmente forte da non smarrirsi nemmeno quando la demenza si era impossessata del suo corpo. Fino all’ultimo, la sua stretta di mano era vigorosa e mi faceva sentire che, da qualche parte, lui c’era ancora. Mamma era la dolcezza, la creatività, il punto di vista laterale, terzo, sfumato, il suggerimento di buonsenso, la buona parola.
La Murgia di mio padre avrebbe detto che era affetto da mascolinità tossica e che mia madre era antiquata.

Quando ero bambino, la mia più grande paura era quella di perdere i miei genitori. Divenuto un adolescente turbolento e dunque, secondo il più classico degli schemi della sociologia giovanilistica, ribelle e incazzoso – ma non per questo, meno affezionato ai miei – la mia più grande paura era quella di perdere la testa per un attimo e fare una sciocchezza di cui mi sarei pentito per sempre, casomai vedendoli esalare l’ultimo respiro davanti ai miei occhi, sentendo urlare di dolore e di paura quelle persone che mi avevano dato la vita, che mi avevano amato e protetto. Quelli del resto furono gli anni dei grandi parricidi che assursero al (dis)onore della cronaca, dalla strage familiare di Pietro Maso all’omicidio della madre e del fratellino di Erika De Nardo. Eventi che, anche a causa del bombardamento sistematico dei media, entrarono nelle case degli italiani, provocando il comprensibile sconcerto in chiunque avesse un minimo di sentimento per i propri genitori. Con il parricidio di Avellino, di Aldo Gioia, ad opera della figlia e del fidanzato, questo orrore torna nei media mainstream dove fior di sociopsicologi si indignano e si scandalizzano, senza chiedersi davvero quanti parricidi vadano in atto ogni giorno, senza che necessariamente si arrivi all’estremo di togliere la vita ai propri familiari.

Diciamoci la verità, la nostra è una società che il padre lo ammazza ogni giorno. Non col coltello come quella sciagurata di Elena Gioia ha fatto con suo padre. Non con le spranghe come Pietro Maso con i suoi genitori. Ma con la convinzione che la paternità sia una figura di cui si può fare anche a meno, tra genitori 1 e genitori 2, mammi, ideologizzazioni omicidiarie sfociate nella ridicola coniatura dell’orrendo femminicidio. Tantevvero che oggi si parla di “patriarcato” con un’accezione negativa e di matriarcato in maniera positiva. Si dimentica che la figura del padre, della sua mascolinità intesa come forza fisica necessaria per ridurre a miti consigli un adolescente riottoso al rispetto delle regole, resta fondamentale per instillare nel bambino prima e nell’adolescente poi la consapevolezza che esiste sempre, nella vita, qualcuno che è più forte di noi e che ci pone dei limiti, non rispettando i quali si va incontro a guai.
Elena Gioia ha ucciso il padre che intendeva estirparla da una relazione, come si è visto a fortiori, tossica e pericolosa liberandosi così del simbolo per eccellenza del divieto, dell’uomo che con la forza fisica del testosterone la obbliga a rispettare un NO.
Ma quel parricidio si è consumato ben prima, in un ambiente ormai intossicato dalla confusione di genere, dove i padri fanno i mammi e vengono castrati sin dall’infanzia da una tossica educazione matriarcale e da un femminismo che ambisce ad espellere il maschio dal consesso civile.

Oggi tutti quanti si scandalizzano per Elena Gioia ma sono tutti parricidi. Lo sono quando ambirebbero a stravolgere la naturale differenziazione sessuale sotto l’arma del ricatto morale sessista. Quando cercano di detestosteronizzare il padre, condannando la sua forza e accusandola di mascolinità tossica. Quando lo riducono a mammella da cui succhiare denari per garantire il tenore di vita di mogli viziate e inacidite, per poi costringerlo a vivere in un automobile dopo avergli portato via tutto. E quando si costringe, con l’orrendo ddl Zan a non parlarne neanche più, sia mai che qualche gay si possa risentire.
Non scandalizzatevi. Elena Gioia ha sì ucciso il padre. Ma i mandanti sono tutti coloro che hanno deciso che la famiglia va distrutta, consumando un lento e quotidiano parricidio.
Non a caso, la giovine aveva anche la bandiera arcobalenata nel profilo. E, va da sè, qualche simpatizzante dell’Arcigay sicuramente troverà qualche scusa per giustificare quanto accaduto mentre, va da sè, se la figliuola fosse stata di Casapound o di Forza Nuova, si sarebbe accusato il sovranismo.
Fino al prossimo parricidio.

FRANCO MARINO

Un commento su “IL LENTO PARRICIDIO QUOTIDIANO (di Franco Marino)

  1. Sono d’accordo nella sostanza.
    Anche se io non ho mai sopportato quando da bambina mio padre ( ma anche mia madre ) mi ha picchiata.
    E per picchiata intendo schiaffi, non cazzottoni.

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