Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – OSCURE PRESENZE PUBBLICITARIE (di Davide Cavaliere)

In molti avranno notato l’aumento di neri o meticci nelle pubblicità. Gli africani sono ovunque, nelle réclame di Amazon, in quelle di Zalando, di Head & Shoulders, di Ikea, dell’Enel e in molte altre. 

Ora, secondo i dati Istat, al 1° gennaio 2019, dei 5,2 milioni di stranieri residenti in Italia, solo il 21,7 percento ha la cittadinanza di un paese africano. Si tratta di circa 1 milione e 140mila persone, pari all’1,8 percento della popolazione che vive in modo stabile sul territorio nazionale.

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Stando ai suddetti numeri, gli africani, nelle pubblicità, sono sovrarappresentati. Non solo rispetto agli italiani, ma anche alle altre comunità di immigrati. La maggioranza degli stranieri proviene da Romania e Albania, che rappresentano i due gruppi più consistenti sullo Stivale.

Ma perché tutta questa umanità di colore nella pubblicità? Semplice: sono un simbolo. Il nero, l’africano, – soprattutto se musulmano – incarna il diverso per eccellenza, l’oppresso, la Vittima con la maiuscola, ovvero l’universale vittimistico.

Per gli ansiosi e paranoici antirazzisti – quinta colonna dell’Islam radicale –, ogni nero è un ex schiavo di fronte al quale ogni bianco “strutturalmente razzista” si deve prostrare. Nell’odierno supermercato del piagnisteo, nel quale tutte le minoranze rivendicano il loro olocausto, il nero rimane l’oppresso più nobile e stimabile.

Sebbene l’ossessione antirazzista proclami l’inesistenza delle razze – salvo accusare quella bianca di ogni misfatto e tessere l’elogio dei neri per il solo fatto di essere tali – non può tollerare che una réclame sia monocroma.

Il militante della colorazione mondiale deve imporre la presenza dei neri, anche dove non sono nemmeno una minoranza rilevante. Lo straniero “di colore” è, nella teleologia progressista, il nostro “futuro”. Più l’immigrato è nero, più odora di esotismo, di tropici e tende nel deserto, più è “buono” per natura, di “tendenza”, da “accogliere” poiché la sua presenza è per noi bianchi corrotti una “opportunità” – per usare una parola cara agli anemici mentali del “pensiero positivo”.

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Ecco, allora, che il Nero – da scrivere sempre con la maiuscola, come richiede l’Associated Press – viene calato quotidianamente nei nostri salotti, come se non fosse sufficiente vederlo tutti i giorni bivaccare per strada.

Gli antirazzisti stanno fabbricando, in modo surrettizio, la loro distopia razziale. Attraverso l’iniezione di stranieri di colore nelle pubblicità tentano di legittimare un’altra iniezione, quella fatale di immigrati in carne e ossa nelle nazioni europee. I teleschermi invasi da africani mirano a far abbassare il nostro livello di guardia, ad abituarci a una presenza sempre più massiccia e distruttiva di extraeuropei – dei quali il nero è l’ambasciatore. La pubblicità progresso antirazzista ha solo questo scopo: ratificare la colonizzazione dell’Europa.

Davide Cavaliere

L’AUTORE

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais, del giornale online “Il Detonatore”. 


5 commenti su “L’EDITORIALE – OSCURE PRESENZE PUBBLICITARIE (di Davide Cavaliere)

  1. Finalmente qualcuno parla di una, per me plateale, forma di condizionamento utilizzata dai propagandisti dei ‘padroni ‘ globali.
    Nelle pubblicità comparse con colorazione scuro pallida, ma rigorosamente con capelli corvini e ricciuti, recitano la parte dei consumatori ‘normali’.
    Purtroppo questa è solo la punta dell’iceberg del progetto di annientamento del senso della realtà’ e quindi dell’identità degli occidentali. Aggiungerei la presenza costante e prevalente di persone di colore in ogni servizio della (dis)informazione televisiva soprattutto quella riguardante la forza lavoratrice.

  2. E’ un trucco talmente rozzo e scoperto che ha smesso di funzionare già da un pezzo.
    Ci pensano gli amici africani del mondo reale (un po’ diverso da quello degli spot) a ricordare a tutti come funziona da quelle parti, e ormai pure da queste.

    Inoltre non mi preoccuperei neppure del pericolo culturale corso dall’Europa (la quale, ricordiamo, è una “mera espressione geografica”). Quando una cultura è forte, radicata e adatta(bile) ai tempi, non c’è invasione che possa cancellarla: si diceva che Roma avesse vinto Atene ma Atene l’aveva conquistata (per forza, i latini erano ancora buzzurri e i greci secoli avanti – con tutto ciò che comporta).
    Certo che se l’europeo medio, già suddito americano, si converte al pensiero debole della piattaforma sociale lasciandosi dominare come un vegetale dalle élite finanziarie (una banda di sadici smidollati allevati a caviale e voli aerei, ma circondati da milizie ufficiali), be’, quasi quasi l’Islam finirebbe per essere un progresso. Ma dopo 600 anni, una volta “pareggiato il calendario”, pure i nuovi musulmani europei si rammollirebbero, e dunque i cinesi… sempre che i cinesi non arrivino prima, s’intende. In Africa l’hanno già fatto, vediamo che succede.

    Personalmente comincerò a preoccuparmi quando il maschio delle pubblicità (non del sushi) avrà gli occhi a mandorla.

  3. Non solo, fateci caso.. È sempre un uomo Nero con una bianca, un po come pare strano che la maggioranza delle donne abbiano un cane di sesso maschile..

    Sostengo anche io che il vero problema abbia gli occhi a mandorla, ma prima si deve sostituire l’uomo etero bianco con quello Nero, poi sarà più semplice, per i cinesi, in un paese meticcio senza ormai radici e valori italici ormai estinti, avere facilità di conquista.

    1. Mi pare ovvio che la metafora sia quella dell’Africa che sottomette l’Europa, altrimenti sarebbe il contrario e guai al solo ipotizzarlo, anche come metafora. È una tendenza che ho notato da anni, e che viene ribadita su tutti gli schermi. Una silenziosa, tenace strategia della sottomissione.

  4. Chapeau, signor Cavaliere. Una tendenza sempre più massiccia, vera strategia per assuefarci alla sottomissione, e che ovviamente verrà negata con la bile alla bocca dalle voci bianche dell’antirazzismo militante, le stesse che negano l’essitenza delle razze ma che si riempiono la bocca con “bianchi” e “neri” tutta la santa giornata. Aggiungerei la meschina criminalizzazione della parola “negro” che, a rigore, è ancora oggi presente nel dizionario della lingua italiana senza alcun connotato deteriore, ma che provoca censure e ban ad ogni comparsa pubblica (il sottoscritto non conta più le sospensioni da quella fogna di Facebook a causa di questo solo motivo).

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