Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA RECENSIONE – IL ROMANZO SARDO SULLA PANDEMIA – ESCE IL NUOVO LIBRO DI SALVATORE NIFFOI (di Matteo Fais)

C’è un posto in Sardegna in cui la realtà è fantasia e la fantasia è incredibilmente verosimile. C’è un Isola che non esiste, tra Baraule e Thilipirches, concreta come non mai. Lì abita l’immaginazione visionaria di Salvatore Niffoi, probabilmente il più famoso scrittore sardo vivente, in un luogo in cui ogni cosa è viva e vive in misteriosa comunione con ciò che la circonda (“Una filigrana naturale di muri a secco e sentieri, un intreccio di steli, grappoli e fiori di ogni colore, un impazzire di peduncoli di ogni misura che si saldavano ai frutti ancora acerbi, un insieme di arabeschi di borragine pelosa come le donne di Sa Predera e bluetta come la fiamma del ciocco di corbezzolo”).

Ed è proprio in quella Barbagia, vera e sognata come l’America Latina di Gabriel García Márquez, che prende forma il romanzo sulla pandemia di Niffoi, Il sogno dello scorpione (Il Maestrale). Curioso caso, proprio come il noir di Peter May, Lockdown, scritto diversi anni prima e rifiutato da tutti gli editori con la motivazione che “una situazione di questo tipo è troppo inverosimile persino per una fiction”, anche il testo dell’autore sardo non è un lavoro d’occasione, messo giù apposta per cavalcare l’onda. Anzi, è quello che si suol chiamare un’opera giovanile, un romanzo rimasto nel cassetto. Certamente, questo era il momento migliore per renderlo pubblico.

Il nuovo romanzo di Salvatore Niffoi, Il sogno dello scorpione, Il Maestrale.

Curioso caso, ma non assurdo per chi è cresciuto a pane e letteratura: l’artista vede e in qualche modo provvede a dirci la verità di ciò che potrebbe essere, senza limitarsi al già dato, alla descrizione dell’esistente. Ed ecco quindi che Niffoi, decenni addietro, immaginava cosa un’epidemia sarebbe potuta essere e le sue ricadute esistenziali sull’umanità. Perché la pandemia unifica il mondo, dalla Sardegna alla Nuova Zelanda. La peculiarità sta ovviamente nel fatto che questo testo, sospeso idealmente tra Cecità di Saramago – meno traumatico, state tranquilli – e il Decamerone di Boccaccio, vede le circostanze dalla prospettiva sempre inusuale dell’Isola.

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Il sogno dello scorpione è la storia di Felle Tamale e Tainella Pistiddu, marito e moglie di un immaginario paesino chiamato Cudina Ruja. Sorpresi in piena notte dalla notizia di un virus che sta mietendo vittime in tutto il globo, decidono, nel tentativo di salvarsi, di nascondersi dentro il nuraghe Malune – non perdete tempo a cercarlo su Google, vi ho già detto che è frutto della fantasia dello scrittore.

Ma perché proprio un nuraghe, vi chiederete voi. “Le mura solide e millenarie del nuraghe Malune hanno visto altre volte girare il mondo all’incontrario, eppure sono ancora là […] sento che per uscire da questa tragedia, ci serve un punto di riferimento e di protezione forte. Non c’è malattia che il tempo non possa sconfiggere. Ci serve qualcosa che per millenni abbia resistito alle epidemie, agli insulti bellici ed ecologici, alle intemperie e alla crudele provvisorietà della vita”. Insomma, è il legame con la tradizione e con le radici che ci salverà.

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E, in questa cornice decameronica e distopica, trova spazio il libro nel libro, ovvero le storie che i due coniugi, per intrattenersi durante la quarantena, si raccontano, episodi densi di magia e tragedia, ironia e passione, fiabe in cui la realtà è trasfigurata ma mai abbandonata in nome di una più facile consolazione.

Eppure – questo sembra essere il senso –, la Storia entro cui stiamo vivendo è fatta di tante narrazioni minori che ci hanno preceduto e ci seguiranno. Raccontarle – sapendole raccontare – salva, preserva, ricordandoci che la vita non può spegnersi così facilmente (“Dovevano inventarsi odi e amori, baciarsi e amarsi con altri volti e altri corpi, incontrarsi in posti sconosciuti dove non erano mai stati. Tutti i libri letti fino a quel giorno potevano diventare cibo per l’anima, perché erano pane ben conservato nella culla della memoria”). Questo perché, come ricorda uno degli eserghi posto in apertura del testo, riprendendo Heidegger, “Il linguaggio è la casa dell’Essere e nella sua dimora abita l’uomo”.

In fondo, vedete, l’unico vero antidoto alla peste che imperversa è già dentro e intorno a noi. Niffoi l’aveva capito prima di tanti virologi da strapazzo.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

Un commento su “LA RECENSIONE – IL ROMANZO SARDO SULLA PANDEMIA – ESCE IL NUOVO LIBRO DI SALVATORE NIFFOI (di Matteo Fais)

  1. La lungimiranza degli editori italiani, che respingono un romanzo sulla pandemia perchè “troppo inverosimile” e poi vanno a cercarsi autori fra i profili facebook e video Youtube con più like è semplicemente magistrale.
    Io resto del parere che surreale sia pubblicare una cosiddetta biografia di un calciatore. Sia perché lui non sa scrivere (e neppure parlare) in italiano, sia perché tutte le persone che dovrebbero leggerlo non leggono libri.

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