Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DOPPIO EDITORIALE – AMERICAN BEAUTY, IL MIGLIOR FILM AMERICANO DEGLI ULTIMI 20 ANNI (di Clara Carluccio e Matteo Fais)

In occasione della messa in onda televisiva di American Beauty, pochi giorni fa, il critico cinematografico di “Libero”, Giorgio Carbone, ha definito la pellicola come il miglior film americano degli ultimi vent’anni. Nella piena condivisione di questa tesi, seguono le riflessioni dei nostri Clara Carluccio e Matteo Fais.

GUARDARE DA VICINO LA BELLEZZA DELL’ORDINARIO (di Clara Carluccio)

A volte, da adolescente, sentivo attrazione verso qualcosa, senza spiegarmene il motivo. American Beauty è senz’altro un film simbolo di questo mistero.

Ai tempi non lo capivo completamente, ma ero affascinata dai personaggi, dai dialoghi, dalla metamorfosi del protagonista. Sentivo che conteneva un grande messaggio, che stavo assorbendo, ma solo al momento giusto, lo avrei compreso. Oggi ascolto quei monologhi fino a commuovermi.

Sulla locandina: un ombelico, il nostro centro, e una rosa, il fiore del percorso mistico. Un invito: look closer, guarda da vicino.

Guardare, cosa?

Morti che camminano, vanno in ufficio, vendono case e curano il giardino. Ricoperti dalla muffa dei costrutti sociali. Repressione, competizione, ostentazione, simulazione. Personalità artificiali, ventriloqui di idee modaiole. Inscenare altezzosità, finta esperienza, finto successo, per placare il terrore di risultare persone qualsiasi, ordinarie. Terminando poi, in un pianto solitario.

A qualcuno succede che, mentre tutto scorre senza più slancio, quando la preoccupazione di sporcare il divano interrompe anche un tentativo di seduzione, arriva lo stordimento di un’infatuazione improvvisa, fuori tempo e irrazionale. Ed è il risveglio. Petali, petali dappertutto. In ogni fantasia e in ogni sogno. Petali di desiderio ossessivo, che quando è vicino ad essere soddisfatto, perde quella forza che annebbiava la visione fino a poco prima. Perché, arrivati alla fine, non è di un’altra avventura fine a sé stessa, che c’è bisogno. Ma di sentire lo stupore e la gratitudine per aver vissuto, nonostante tutto.

Poi, quasi come difetti di fabbricazione, ci sono quelli con il dono del saper già vedere. Quelli isolati dalle compagnie. Il loro sguardo indagatore e intuitivo genera turbamento nella massa omologata. Gli strani, i malati, gli sfigati.

Vedere una danza, una bambina che vuole giocare, anche in un sacchetto di plastica mosso dal vento. “È stata la volta in cui ho capito che c’è tutta una vita dietro ogni cosa, e un’incredibile forza benevola, che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura“. Allontaniamoci dalla periferia, dalla moda, dal sonno, ritroviamo il nostro centro. Sviluppiamo, ora più che mai, uno sguardo profondo.

Chi sa riconoscere la vera bellezza non teme l’ordinarietà. Perché, in fondo, niente e nessuno è ordinario.

Clara Carluccio

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SIAMO TUTTI LESTER BURNHAM – ELOGIO DELL’UOMO MEDIO CHE NON SI ARRENDE ALLA MEDIOCRITÀ (di Matteo Fais)

Che ingresso in scena! “Mi chiamo Lester Burnham. Questo è il mio quartiere, questa è la mia strada, questa è la mia vita. Ho quarantadue anni, fra meno di un anno… sarò morto. Naturalmente io questo ancora non lo so. E in un certo senso sono già morto. Guardatemi, mi faccio una sega sotto la doccia. Questo sarà il culmine della mia giornata. Dopodiché è tutto uno sfacelo”. Micidiale, una bomba atomica che urla nel cielo del mattino, come guardarsi allo specchio e vedersi per la prima volta dopo tanti anni.

La maggior parte di noi non è messo molto meglio. Io no di certo. Prima mi stavo guardando quel video che mi ha mandato – no, non ve lo dico chi. I protagonisti erano le dita, la sua fica, le tette semi scoperte, le mutandine scostate. Mi sono ritrovato tra le mani una poderosa erezione. Le ho pure scritto che avrei voluto sentire il profumo delle sue mutandine. Sì, lo so, tutto questo è un po’ ridicolo, come qualsiasi esistenza vista da vicino. Ma non bisogna aver paura di essere ridicoli, né di guardare da vicino, come suggerisce già il famoso poster del film tra petali di rosa e il pancino lolitiano di Angela Hayes, l’attrice Mena Suvari.

Lester Burnham, il marito frustrato, il padre dall’affetto troppo silenzioso, quello così banale – ma lo sarà davvero? – da fare di tutto per cercare di portarsi a letto la fighetta amica della figlia, quello che la famiglia la crea per poi bombardarla con l’entropia della sua smania di libertà. Che personaggio! Un’altalena che oscilla tra la miseria e lo splendore, tra il male di vivere nel grigiore e la luce accecante di una bellezza appena intravvista nell’apparente monotonia della sua esistenza.

Le interpretazioni si sprecano e il film è di quelli sfuggenti. Vuole dire, ma non esprimere mai un solo concetto in una forma inequivocabile. Ogni scena potrebbe essere vista da mille prospettive, tutte abbracciate e tutte possibili. Ogni personaggio è così nella pellicola, un concentrato di contraddizioni, da lui che schifa la moglie e poi tenta di sedurla rischiando di macchiare di birra il divano, alla figlia che auspica addirittura la morte del padre, visto come incarnazione dell’uomo ridicolo, salvo poi dire che “anche io avrei bisogno di un po’ di struttura, cazzo, di disciplina”. Il tutto in puro spirito americano. Come dice il loro Dante, il poeta Walt Whitman: “Mi contraddico? Sì, è perché contengo moltitudini”.

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Come si fa a ogni modo a non amarli e non compatirli, al contempo, tutti questi personaggi. Non potrebbe essere altrimenti, a meno di non essere troppo duri anche con sé stessi. Non saremo americani, ma siamo simili un po’ a tutti loro. Piangiamo di nascosto e coltiviamo insicurezze dietro un’ostentata baldanza, per poi farci una sega al riparo da occhi indiscreti ed evitando lo specchio subito dopo. Il sogno di Lester è in parte anche il nostro. Fuggire dalla modestia in cui siamo impantanati. Mandare a fare in culo il capo ufficio, sedurre e risultare seducenti, non perdere la giovinezza e, in un mondo competitivo e senza scampo, presentarci al colloquio per un posto di lavoro dicendo “cerco il minor cumulo possibile di responsabilità”. Spesso, tanto ardore si sostanzia unicamente nel fare esercizi con i pesi nel proprio garage – oh Dio, ho appena trovato un’ulteriore affinità tra me e lui –, nel sognare di rivoluzionare la nostra vita ascoltando a tutto volume i Pink Floyd – delle volte, così, a occhi chiusi, con la musica alta, una rivoluzione avviene davvero, anche se nessuno, tranne noi, lo saprà mai.

Lester sogna, fantastica un mondo diverso da quello che si è trovato intorno e che l’ha fagocitato. Senza strumenti reali per poterci riuscire, ma lui ci prova con tutto sé stesso a vivere davvero. E nel far ciò, per quanto comune lui possa sembrare, è bellissimo e dolce, commovente come tutto ciò che, destinato a morire, comunque non si arrende.

Matteo Fais

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

4 commenti su “DOPPIO EDITORIALE – AMERICAN BEAUTY, IL MIGLIOR FILM AMERICANO DEGLI ULTIMI 20 ANNI (di Clara Carluccio e Matteo Fais)

  1. Scusi Clara ma la bellezza di Fais per esempio sarebbe quella di avere erezioni con i video osceni che gli manda le sue tr**? Non c’è articolo che non si vanta di quanti rapporti sessuali ha avuto, quante amanti ha avuto lui contemporaneamente salvo poi concludere con apparenti discorsi di quanto questa socetà va male. Dicono che è reazionario ma reazionario dove! Vorrei proprio sentire cosa ha da dire una donna che scrive per un uomo come questo. Grazie. Vergogna del genere femminile! Dovrebbe battersi contro uomini come questo invece ci lavora pure insieme! Ripeto, vergogna!!!

    1. Gentilissima, guardi che non mi vanto di un bel niente. Se lei leggesse gli articoli, togliendosi le lenti della misandria, comprenderebbe che io mi stavo prendendo per i fondelli da solo. Stavo dicendo: guardatemi,sono anch’io misero come Lester. Per il resto, mi permetta, io posso avere tutte le erezioni che voglio – o ha, per caso, deciso lei di darmi un tetto massimo?
      Non ho capito, poi, perché Clara dovrebbe lottare contro di me che non le faccio assolutamente niente di male, anzi la lodo per ogni magnifica riga che scrive. A ogni buon conto, le do un consiglio: non ci legga, se non siamo di suo gradimento. Chi la obbliga? Cordialmente, Matteo Fais.

      1. Esattamente è quello che ho capito anche io, per non saper leggere e nemmeno scrivere, posso considerarlo un passo avanti?

    2. Lo stile di Matteo è spinto, questo è il suo marchio di fabbrica, e se spesso ci sta a pennello, visti gli argomenti (la risposta alla femminista tossica Battaglia era da antologia); a volte, invece, trovo che personalmente avrei evitato. Io, però. Da qui a farne una questione etica e una battaglia morale ce ne vuole, e per la precisione ci vuole l’isterismo ideologico femminista che tracima come bava alla bocca di povere donne fanatizzate che farebbero bene a prendersi un calmante e vedere la vera vergogna. Ossia il loro prepotente e abusato presenzialismo nello scassare i maroni ovunque, e soprattutto in luoghi in cui è la loro presenza ad essere davvero fuori luogo, come ad esempio questa pagina. Poi qualcuno mi spiegherà in cosa una sessualità (etero) esuberante e una certa satiriasi siano in contraddizione con la visione reazionaria del mondo. Di sicuro sono molto più in stridente contraddizione con la forma mentis progressista, ormai immersa in una distopia in cui l’omosessualità è normale, i transessuali sono donne e la frigida misandria femminista è la vera dimensione della donna.

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