Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

GLI ITALIANI CHE NON VOGLIONO FARE LA RIVOLUZIONE (di Franco Marino)

Tutte le volte che pongo la questione che questa non sia una situazione da cui se ne esce con le buone, mi vengono poste numerose obiezioni.
Stare a rimembrarle tutte non ha molto senso. Alcune sono emerite buffonate, altre sono serie. Contengono errori logici piuttosto evidenti ma quantomeno vale la pena sviscerarle.

Così in pole position mi interessa sviscerarne due.
La prima è “Sì ok, ma chi è che la organizza?”. E la domanda non ha ovviamente senso. Intanto perchè se c’è davvero qualcuno che sta preparando qualcosa, non viene certo a dircelo nè lo scrive sui social, rischiando di essere schedato e poi magari arrestato e sommariamente sospettato di eversione.
Oltretutto, se anche non ci fosse nessuno, questo non toglierebbe valore alla constatazione che da questa situazione non se ne esca con le buone. Non è che poichè non c’è nessuno, allora magicamente i mali che ci affliggono, diventano rose e fiori. Se un brutto giorno vi diagnosticano un cancro, voi saprete che l’unica speranza di guarire definitivamente è che le cellule cancerose vengano distrutte tutte quante ma soprattutto che, onde evitare recidive, vengano eliminate anche le cause che le ha fatte impazzire. Ma se non trovate il modo di debellarlo, non per questo diventa meno vero il dato di fondo: dal cancro si guarisce solo se vengono eliminate quelle cellule. E la causa della loro formazione. Non è che l’assenza di una cura magicamente trasformi quelle cellule da malate a sane.

Così è inutile che ad ogni post voi mi diciate: “Ma allora cosa si fa?”. E’ una domanda inutile alla quale non ho risposta (e se la avessi, certo non la direi a voi) e che comunque non cambia il dato di fondo. Da questa situazione non se ne esce con le buone.
La seconda è: “Gli italiani sono un popolo di qui e di là, disuniti blablabla, che non hanno mai fatto nella loro vita una rivoluzione chiuppete chiappete”. Premesso che non esiste il gene della “ribellione” e che non è che esista nel DNA il gene dell’italianità, dire che gli italiani non siano capaci di fare una rivoluzione è, anch’essa, un’obiezione senza senso. La Russia prima di Lenin non aveva conosciuto nessuna rivoluzione. Prima della rivoluzione del 1917, i russi si erano sorbiti senza fiatare ben trecento anni di zarato Romanov (e prima dei Romanov, cinquecento anni di dinastia Rjurik) e se avessero dato retta a coloro che a quei tempi dicevano: “Voi russi non vi ribellate mai, non siete fatti per la rivoluzione”, a quest’ora ci sarebbero ancora i Romanov. E d’altra parte, la rivoluzione che costituì gli Stati Uniti non sarebbe mai nata se i tanti inglesi che dalla madrepatria erano confluiti nel continente americano, avessero continuato a pagare imperterriti le tasse agli inglesi. Nessuno avrebbe mai immaginato, all’epoca, che un gruppo di ex-galeotti avrebbe mai costituito quella che un giorno sarebbe divenuta la prima potenza economica e militare del mondo. Qualcuno ebbe l’iniziativa di accendere la miccia e lo fece.
Di conseguenza, per forza di cose la rivoluzione è un evento nuovo che rompe gli schemi col passato e che crea qualcosa di letteralmente nuovo e di sconosciuto, anche perchè se chi volesse rovesciare uno status quo fosse effettivamente conosciuto, sarebbe stato già arrestato e magari ammazzato.

Chiarito ciò, cosa manca agli italiani per ribellarsi? Una serie di cose.
La prima è la consapevolezza che ciò sia necessario.
Quello dell’Europa è un bradisismo verso l’abisso. Il nostro continente, e l’Italia in primis, sembrano accettabilmente prosperi, accettabilmente potenti, accettabilmente democratici. Ma sempre meno. Dicono che una rana, in una pentola d’acqua fredda, si lasci bollire se si fa salire la temperatura a poco a poco. Sono sicuro che è una fandonia: non appena la rana avrà caldo, salterà via. Ma è vero il principio: se un fenomeno è troppo lento, di fatto diviene impercettibile. Chi direbbe, guardando la lancetta delle ore, che essa è in continuo movimento?
Così gli italiani sono come rane che stanno vedendo la propria acqua diventare sempre più bollente, ma in maniera non percettibile, così da non accorgersi del fenomeno in sè. Occorre solo che si rendano conto che, per dirla con Putin, “quando la rissa è inevitabile, bisogna colpire per primi”. Manca negli italiani la consapevolezza dell’inevitabilità della rissa.

La seconda è un leader.
Qualcuno per duecento anni ha illuso la gente che la divinizzazione acritica della democrazia mutasse l’architettura del sistema nervoso umano. Ma basterebbe guardare la politica per capire che tutti gli elettori cercano un leader e che anzi un vero condottiero è la fortuna di un gruppo politico. Così il problema non è che gli italiani non vogliano fare la rivoluzione ma che manca qualcuno che si assuma la responsabilità di fare quei passi necessari. Oppure c’è ma si sta muovendo sottobanco. Ma una volta che questo leader salterà fuori, troverà migliaia se non milioni di persone a seguirlo perchè E’ COSI’ CHE FUNZIONA L’ARCHITETTURA DEL SISTEMA NERVOSO UMANO. C’è un enorme capitale di odio sparso in tutta Europa che aspetta soltanto di essere investito. E quando la situazione è di questo tipo, è solo questione di tempo prima che arrivi qualcuno provvisto di visione, spregiudicatezza, brutalità, in grado di capitalizzarlo. E di trascinare tanti odiatori.

E no, fare la lotta all’odio non serve a nulla, è come fare la lotta alla tachipirina.
Elimina i sintomi della febbre ma non la malattia.

FRANCO MARINO

Un commento su “GLI ITALIANI CHE NON VOGLIONO FARE LA RIVOLUZIONE (di Franco Marino)

  1. Nel tuo scritto ci sono tante verità che condivido. Ma esiste una variante che non è stata presa in considerazione. Basta un niente per accendere la miccia della protesta senza nessuna programmazione. La rivolta di Napoli contro i tedeschi e un esempio, si le quattro giornate. La città aveva subito di tutto senza reagire dava l’impressione che dormisse, poi uccisero un ragazzo uno scugnizzo e Napoli all’improvviso si trasformò in una pentola a pressione che esplose cacciando i tedeschi. Per concludere alla napoletano ” A CORD SI STA’ PE’ SE SPEZZA’

Rispondi a alfredo nappa Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *