Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – SILVIA ROMANO, LE DONNE AL MARE E IL FEMMINISMO (di Matteo Fais)


Niente è più strano delle donne, oggigiorno. Quanto più avanzano la richiesta, almeno idealmente sacrosanta, di non essere oggettificate, quanto più si presentano nella loro oggettività. Basta fare un giro per strada, o andare in spiaggia. Culi e tette – non tutti fantastici, a onor del vero – esibiti come in un eterno preludio a una colossale gangbang. Il fenomeno è vasto e non conosce distinzione d’età. Unisce ragazzine in fase prepuberale e madri di famiglia prossime alla pensione, insieme a tutte quelle che stanno nel mezzo. 

Il cortocircuito è totale. Come si può chiedere di essere considerate, in prima istanza, come coscienza e non nella propria vistosa materialità, se è quest’ultima a venire esposta alla più pruriginosa indiscrezione? Sarebbe come presentarsi, a un convegno di studiosi di Dante, ostentando la nudità di due bicipiti in acciaio inox, vestendo una canottiera. Potrebbe essere una simpatica provocazione, ma diventerebbe difficile essere presi sul serio anche sciorinando un curriculum decennale di pura passione per il poeta fiorentino. 

In verità, non stupisce che la donna “si mostri”. Banalmente, si potrebbe dire che è una legge di natura, atavica, né buona né cattiva, come il fatto che il pesce più grande mangia il più piccolo. Eppure, ha ragione Sartre, in L’Essere e il Nulla, quando, spiegando la funzione dell’abito, dice che questo mi consente di chiedere all’altro di essere considerato unicamente come coscienza. Lo studioso del precedente esempio, ammesso e non concesso che abbia dei massicci e scolpiti bicipiti da mostrare, indossando una giacca, domanda all’uditorio di essere preso in considerazione, in quel frangente, unicamente come esperto conoscitore dell’opera dantesca e non per la sua avvenenza di maschio.

Stupisce pertanto che dopo decenni, generazioni di femminismo e femministe, le donne, desiderose di imporre il proprio valore umano e intellettuale in società, scelgano poi con tanta leggerezza di mettere in primo piano il fondoschiena invece che qualcosa di più profondo – senza offesa per il fondoschiena, ovviamente. 

In tal senso, pare molto più coerente la neoconvertita all’islam, Silvia Romano, oggi Aisha. La ragazza che tanto ha fatto discutere, dividendo l’opinione pubblica a metà, ha dichiarato: “Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima“. Sostituite la parola “anima“ con “coscienza“, mettete da parte la questione di Dio, e il discorso vi apparirà in tutta la sua sfolgorante chiarezza. Per quanto possa suonare paradossalmente, e sorvolando sul fatto che il velo è probabilmente un’antica imposizione patriarcale di quella religione, in effetti Silvia-Aisha è più in linea con il dettato femminista di una che, in topless e perizoma, si interroga sul perché gli uomini notino di lei soprattutto ciò che mostra, senza pensare in prima istanza alle sue competenze letterarie o scientifiche. Spiace dirlo, ma è proprio così.

Matteo Fais 

4 commenti su “L’EDITORIALE – SILVIA ROMANO, LE DONNE AL MARE E IL FEMMINISMO (di Matteo Fais)

  1. Io non ho vissuto il ‘ 68, ero troppo piccola, ma ne ho sempre sentito parlare e ho letto poi testi che lo presentavano come un movimento rivoluzionario, in cui la donna non voleva più essere schiava neanche del suo pudore.Essere mezza nuda o vestita con lunghi gonnoni per lei era la stessa cosa , era la sua essenza che andava conservata e protetta,il fatto di essere donna con le cosce al vento e non per questo preoccuparsi o meno dei desideri pruriginosi che poteva suscitare nel maschio.La donna non deve preoccuparsi di essere seducente, perché non dovrebbe esserlo? La donna deve preoccuparsi di essere un essere umano senziente con tutte le proprie libertà.quindi perché Matteo Fais si stupisce del fatto che al mare sia ” mezza nuda” ? La donna è in primis persona e come tale va rispettata se l’ uomo non sa controllarsi e risponde solo ai suoi istinti sono problemi che deve superare lui in quanto uomo_persona.
    La donna vale a prescindere mio caro Fais.

  2. Una società che condanna la donna in bikini per esaltare la femmina casta e coperta, è una società islamista, patriarcale, maschilista. Negli anni 60 la minigonna era simbolo di emancipazione e libertà, oggi pare sia uno scandalo. Stiamo regredendo di un secolo, e lo stiamo facendo con “l’effetto rana”: ci troveremo privi di libertà senza sapere come e perché.

  3. A parte il fatto, banalissimo, ma non per lei evidente, che le donne scoprono i loro glutei al mare e non quando rispettano,, da accademiche, su Dante o anche sul maschilismo di persone come lei. Detto questo non disconosco da femminista ante litteram che i modelli estetici e ( non solo estetici) proposti dalla società in cui viviamo non siano rispettosi del corpo delle donne che, ieri come oggi, viene mercificato, oggettivato ma raramente rispettato. E i modelli,si sa, vengono interiorizzati grazie alla fiorentissima ndustria della moda che sa come orientare i gusti sia delle donne che degli uomini. Anche questi ultimi oggi si depilano, passano ore e ore in palestra per farsi la tartaruga da esibire al mare in queste calde giornate agostane e non disdegnano creme antirughe e non sono meno vanitosi delle donne. Ma l’attenzione, ovviamente, specie quando si tratta di giudicare, cade sulle donne impudiche provocanti e cosa si può fare di meglio per denigrarle? Portare ad esempio Silvia Romano che in pieno disturbo post traumatico, continua ad indossare la divisa di Scabab coperta dalla testa ai piedi, come vogliono i mussulmani più involuti, per non disturbare con i loro corpi, le menti eccelse come la sua che passano la vita a pensare a Dante. Io credo che abbiamo molti mussulmani anche tra noi e mi dispiace annoverare anche lei.
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