Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

Disastro programmato della civiltà – Fenomenologia della trap

Tra gli anni Ottanta e i Novanta, a Roma, frequentavo il mondo dei centri sociali. CSOA Forte Prenestino, Ex Snia Viscosa, Corto Circuito, Villaggio Globale, Brancaleone, etc. Avevo visto generi musicali e mode cambiare in maniera vertiginosa. Dal punk, si era passati al dark e poi al rap e all’hip hop, fino a quando non é arrivata la techno e i rave party, che ha messo quasi fine alla storia dei centri sociali autogestiti. Anche le droghe cambiavano in sintonia con la musica: dall’eroina e dall’erba, si era passati alla cocaina, agli acidi, all’ecstasy e infine allo speed. E io, ragazzotto di provincia, come molti della mia generazione, ho cercato di tenermi al passo con i tempi. Lunghe corse in tram, dalla Casa dello Studente del Foro Italico, al Mercatino dell’Usato di Via Sannio, alla ricerca di abiti scuri o viola. Poi, i vestiti acquistati nel negozio Cantieri del Nord di Via del Corso, successivamente trasformato in Energie, e adesso chiuso. Sono passati un po’ di anni da allora e non frequento più i centri sociali. Ora, mi vesto da H&M. Devo ammettere che non sono mai stato fedele a una moda. Le mie scelte estetiche e le mie opinioni sono cambiate come cambiano il tempo e le stagioni. La musica trap intanto è finita per diventare la colonna sonora dei ragazzi durante gli intervalli a scuola.

Nata in America, in Italia spopola con brani prodotti su YouTube, prima ancora di passare dai discografici. A scuola, non si sente altro. Io ero rimasto agli Arcti’c Monkeys, che già mi stavano annoiando, quando un ragazzo a scuola (di sedici anni) ha cominciato a parlarmi di Capoplaza e di Chadia Rodriguez. Prof li conosce? No. Prof, dove vive? In effetti dove vivevo? La trap, ormai, ha invaso il mondo della musica, come negli anni Sessanta Mike Buongiorno invadeva la casa degli italiani. La trap è la musica ideale per gli adolescenti scolarizzati. Piaccia o no, la trap  è un fenomeno di rottura, ma diversamente dal punk, dal rap e dall’hip hop, non vuole rompere con niente: nessuna battaglia, nessuna rivoluzione verso cui puntare, anzi cerca di aggiustare le cose, dicono alcuni. Che cosa? Non è molto chiaro.

Ho ascoltato qualche brano trap seduto in poltrona, come Adorno, in un ormai popolare video degli anni Cinquanta caricato su YouTube, ascoltava un brano di musica moderna dell’allora nascente industria discografica. Il volto dell’anziano filosofo della Dialettica dell’Illuminismo esprimeva smarrimento e malcelato disprezzo, in una sorta di pacata costernazione dinnanzi a un abominio musicale.

Ora mi chiedo: Che fine ha fatto il rap? Che fine ha fatto il gangsta rap?  Le band che si facevano le guerre, che sparavano e si ammazzavano a vicenda. Gente che faceva sul serio. È questa è la  loro eredità?

Pare di sì, a sentire i ragazzi. Non si ascolta più Eminem, Fabri Fibra o Caparezza, ma i trapper. Vediamo chi sono.

La trap non offre, come ideale, l’uguaglianza, la pace sociale, la lotta al razzismo, il diritto delle donne, il diritto delle minoranze, la cura dell’ambiente, la Verità. I trapper sanno benissimo che La Storia é diventata una partita di calcio truccata e loro se la giocano come meglio possono. I trapper italiani sono figli di seconda o di terza generazione di immigrati per metà e per l’altra metà di italiani, che aspirano alla ricchezza e alla fama.

Una cosa che accomuna gli esponenti della trap è il fatto di sentirsi artisti solitari. Il mondo dell’hip-hop era sempre andato in un’altra direzione. Qui, non ci sono più posse, gang, crew, collettivi espressione di centri sociali.

Nella trap a dominare è l’aspetto egocentrico, l’affermazione di sé, del proprio successo, del saperci fare con le ragazze e di saper fare soldi, tanti soldi, che è un modo per riscattare le origini di periferia nei grossi centri urbani. I trapper  nei loro video ostentano Rolex, capi firmati e macchine fuoriserie. Quello che conta è avercela fatta.

Con la trap la produzione di un disco è alla portata di tutti, basta un computer e un microfono autotune. Poi, muovi le braccia come se fossi affetto dal morbo di Parkinson e il gioco é fatto. YouTube permette di caricare un video con la propria musica e diffonderla. Il successo arriva con le visualizzazioni e l’idolatria di milioni di follower. A quel punto intervengono le case discografiche.

Con la trap si può intravedere sullo sfondo la figura dell’artista maledetto della hit da classifica, il burattino che pur esponendo in piena luce la propria abiezione e la propria natura di emarginato finisce per essere pienamente reintegrato all’interno della società in un secondo momento, come è già successo a molti rapper e a diversi punk della prima ora con il fatidico “secondo album”.

Negli anni Sessanta Adorno criticava Joan Baez e le sue canzoni contro la guerra del Vietnam. Per lui la musica di ispirazione politica rappresentava quanto di più intollerabile vi sia, giacché essa nel medesimo istante in cui denuncia un orrore (che si tratti della guerra, dell’emarginazione, della violenza di genere e via dicendo), o invoca la rivolta, rende tali elementi vendibili, mercificando la struttura sociale e conferendole il carattere di bene di consumo. L’unico risultato artistico accettabile consisterebbe in un progresso, o in qualche tipo di avanzamento riferisce, sempre Adorno in Dialettica Negativa, della dottrina filosofica secondo la quale ogni progresso sarebbe, a sua volta, dipendente da una totale negazione di mezzi e dei materiali impiegati, da chi ci ha preceduto, senza alcun margine di compromesso o di sintesi (vedi il pisciatoio di Duchamp).

Qualcuno ha definito la trap una combinazione di testo, musica e performance. Una buona combinazione di questi elementi concorre al successo. Tuttavia, nessun trapper, nemmeno al più sprovveduto, è negato un po’ di gloria in rete. La loro forza è di essere totalmente ignoranti. Non sentono minimamente il bisogno di istruirsi. A cosa può servire qualche nozione in più, se hanno già tutto? Anzi, sono decisamente intenzionati a non apprendere nulla. Chi può criticarli? Io non me la sento. Anzi, a essere sincero, oltre a un po’ di ammirazione, sotto sotto provo anche dell’invidia. Piacerebbe pure a me stare con una tipa con il culo su una Tesla, perchè io come trapper sono fuori target. Non sono più né così giovane né così incolto. 

I testi delle canzoni trap sono considerati nichilistici, cupi e minacciosi, hanno una visione tragica della vita. “Da piccolo sono morto e nessuno se ne accorto…” ripete ossessivamente il testo di una delle canzoni più cliccate. A loro non frega niente delle virtù morali e intellettuali dei loro colleghi sanremesi o dei talent. La loro droga ideale si chiama Maria, ma non disdegnano farina, vaniglia, bianca e roba simile. La polizia è sempre nei loro testi, in cui trapela un’insofferenza e un odio profondo nei confronti dell’ordine costituito. I loro testi parlano di vita di strada, esperienze di crimine, violenza urbana. Le parole ricordano vagamente il canto di un muezzin particolarmente ispirato che snocciola i luoghi comuni dello slang più suburbano oppure le poesie del Giovanni Pascoli più sperimentale, che a molti tocca ancora studiare a scuola, prima di abbandonarla.

Alcuni trapper millantano di spacciare o ammazzare qualcuno, solo perché gli hanno guardato la sorella o parlato male della famiglia. Ma sono tutte esperienze estreme che nessuno di loro ha mai vissuto, ma solo scritte o immaginate. E a proposito di “famiglia”, negli anni Ottanta, quando arrivai a Roma e la squadra locale vinceva lo scudetto, i ragazzi di periferia che andavano allo stadio a vedere la partita erano tutti più o meno di sinistra, con i Fedayn incappucciati come gli autonomi da cui avevano ripreso anche il gesto della P38, la curva Sud univa stadio e musica punk. Oggi sembra tutto cambiato. Gli stessi ragazzi di fede romanista che il lunedì mattina tornano a scuola e si mettono a parlare di calcio in maniera infervorata, sono passati dalla fascinazione per la guerriglia comunista degli anni Ottanta all’apologia del gladiatore, dalle falci e martello e delle svastiche. Sulle braccia e sulle gambe portano tatuati, in forme più o meno arzigogolate o tribali, tutti i nomi dei “congiunti”, accanto a celtiche e croci di svariate forme e dimensioni. Guai a chi parla male della “famiglia”. Ho chiesto a un ragazzo (di sedici anni) perché? Perché quei tatuaggi? Come perché prof? Sono i miei familiari, trappa il sedicenne, my mother braccio destro, my father sinistro, my sister coscia destra, my brother sinistra,  piccolino sul polpaccio, Rolex a sinistra.

Si assiste così a un mutamento che non sembra soltanto antropologico, ma anche genetico, una tensione verso qualcosa, una versione dell’umano oltre la soglia del sopportabile, che certamente se non porta a una festa, porterà a una vendetta.

I casi più vistosi di trapper italiani sono: Sfera Ebbasta, Gue Pequegno, FSK satellite, Ghali, Young Signorino Laioung, che ha fatto una magnifica cover di Je so pazzo di Pino Daniele, e l’ultimo fenomeno, Achille Lauro, che è riuscito ad arrivare a Sanremo, e sebbene il suo pezzo non abbia vinto, ha spopolato divenendo uno dei brani più ascoltati.

Se una volta la figura del rapper evocava miserevoli condizioni marginali di bande di periferie che si facevano le guerre,  per gli spazi e per lo spaccio, adesso il trapper è il gaudente sovrano di un regno patinato e fashion (anche se vive in una borgata), tutto brand, figa, droghe griffate e soldi. E questo regno lo domina, lo tiene in pugno. Ma ho il sospetto che la loro esibizione sia tutta una montatura, che anziché vagheggiare una via d’uscita da una realtà percepita come ingrata, quella realtà la celebrino. Perché è l’unica realtà su cui possono vantare diritti. Dopo il Disagio della Civiltà assistiamo al Disastro programmato della civiltà. La psicopatologia quotidiana come metodo e come gioco. Sono dell’avviso che la trap, come è avvenuto per gli altri generi musicali, divorerà sé stessa, ma da tale movimento autofagico deriverà la musica del futuro. Forse, come afferma qualcuno, questa accelerazione sul versante tecnologico spingerà il mondo verso un futuro più moderno, verso una risoluzione dei conflitti sociali? Perché non crederci? Cosa abbiamo da perdere? Del resto, questi ragazzi reclamano il deserto rimasto inaridito dal “No Future” originario gridato dai punk. “Se voi al futuro avete rinunciato, allora il futuro è nostro” sembrano dire questi eredi che non rispondono più ai motivi per cui sono stati programmati. Come dargli torto? 

Io so che i fugaci fremiti di questo “sogno” non si esauriranno mai, perché – anche se hai delle responsabilità, una famiglia, dei bambini da accudire – il sogno di vivere senza regole fasulle, di rifiutare il concetto di diventare un ideale, il compagno senza macchia asservito al pensiero di gruppo, il sogno di essere un individuo e non solo parte di una qualche tribù sopravvivrà sempre.

Giuseppe Casa

4 commenti su “Disastro programmato della civiltà – Fenomenologia della trap

  1. Ottima analisi dell’ennesimo fenomeno musicale che ci affligge da qualche tempo e che passerà come una meteora senza lasciare alcuna traccia. Musica cacofonica, testi di un banale e retorico sconfortante.

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