Il Detonatore

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LE BELLE CANZONI D’AMORE NON SI SCRIVONO PIÙ PERCHÉ NON SIAMO PIÙ CAPACI DI AMARE

Ve la ricordate quella canzone del 1966, Io ho in mente te? In origine era un pezzo di  Sylvia Fricker, You Were on My Mind, il cui testo italiano era stato scritto dal Maestro assoluto Mogol e portato al successo, qui da noi, da una band oramai dimenticata, l’Equipe 84. Il brano iniziava così: “Apro gli occhi e ti penso/ Ed ho in mente te”. Proviamo, adesso, a metterci nei panni di un giovane di oggi, quando si sveglia. A cosa penserà, a lei? È più probabile che abbia un’erezione ricordandosi di Jane, Kate, o Diana che si fanno fare un #creampie nei video del Backroom Casting Couch o Exploited College Girls. Anche “nel ristorante di Alice” lui può pure pensare a lei e non essere felice, ma sicuramente, frattanto, starà cercando di rimediarne un’altra su Tinder.

Insomma, non è strano che le canzoni d’amore oggigiorno facciano tendenzialmente vomitare: noi non sappiamo più amare. Per scrivere una grandiosa canzone d’amore bisogna amare in modo grandioso, sublime, epico. “Apro gli occhi e ti penso/ Ed ho in mente te” canta gioioso il coro dell’Equipe 84, ma un sentimento assoluto e totalizzante come questo non è più possibile. Noi abbiamo smarrito ogni innocenza. Per i nostri nonni era diverso. Le generazioni degli anni ’50-’60-’70 – forse – conservavano un minimo di purezza, prima di trasformarsi negli anni ’80 e ’90 in un’ecatombe di famiglie divorziate o separate in casa, socialmente devastate e moralmente svuotate.

Come potrà mai un ragazzo, o un ex giovane, pensare con quell’altra famosa canzone “un’ora sola/ ti vorrei/ per dirti quello/ che non sai/ ed in quest’ora/ donerei/la vita mia/ per te”? Persino i suoi genitori, se lui dovesse esprimere malauguratamente, a tavola, un simile pensiero, si metterebbero a ridere. Anche perché davanti si troverebbe il babbo con una sua coetanea rumena di diciott’anni e, la mamma con il “compagno” più giovane di lei di vent’anni, e la sorellina di quattordici, con i pantaloncini a giro passera, che messaggia su WhatsApp col tipo che le fa le ricariche telefoniche in cambio dei pompini. Eppure, l’amore può sussistere solo nel modo in cui è descritto in tanti di quei testi: o è la vita o è la morte. Il resto sono stronzate, un amore compatibile con l’orario di lavoro in smartworking, un “sei come la mia moto/ sei proprio come lei”… Ovvero, sei un oggetto che posso acquistare e portare allo sfasciacarrozze, demolire e cambiare con uno superiore. Del resto, qual è il momento più triste nell’economia della vita umana, se non quello in cui si scopre di poter sopravvivere anche alla fine di una relazione.

Come sempre ha ragione lo scrittore francese Houellebecq, in Estensione del dominio della lotta: “Véronique apparteneva a una generazione sacrificata, come tutti noi. Sicuramente era stata capace d’amore; e avrebbe desiderato esserlo ancora, questo glielo riconosco; ma non era più possibile. Fenomeno raro, artificiale e tardivo, l’amore non può prosperare se non in condizioni mentali speciali e solo eccezionalmente compresenti, e comunque in assoluto contrasto con la libertà di costumi che caratterizza l’epoca moderna. Véronique aveva conosciuto troppe discoteche e troppi amanti; un tale sistema di vita impoverisce l’essere umano e gli infligge danni gravi e sempre irreparabili. L’amore, come innocenza e come capacità di illusione, come attitudine a sintetizzare la totalità dell’altro sesso in un unico essere amato, è già raro che resista a un anno di vagabondaggio sessuale, figuriamoci a due. In realtà, le esperienze sessuali accumulate nel corso dell’adolescenza minano e distruggono rapidamente ogni possibilità di proiezione d’ordine sentimentale e romantico; progressivamente, e molto rapidamente, si diviene tanto capaci d’amore quanto lo è una vecchia ciabatta. E di conseguenza, ovviamente, si finisce per condurre un’esistenza da vecchia ciabatta”.

Parafrasando Flaubert, oggi siamo tutti Véronique. Di conseguenza, nessuno scrive più grandi canzoni d’amore. In compenso, possiamo vivere di nostalgia e reinterpretazioni di vecchi evergreen. La generazione dei nostri genitori aveva Mia Martini, noi abbiamo Giorgia. Se ogni popolo ha la libertà che si merita, per dirla con Mill, è anche vero che ogni generazione ha i cantanti che si merita. Ecco, noi abbiamo Giorgia, Elisa e tanta nostalgia. Il riscatto, però, quello non l’avremo mai. L’amore non è di questo nuovo Millennio.

Matteo Fais

P.S: Nel tentativo di dire la verità, purtroppo, si deve sempre semplificare a colpi di scure. Naturalmente, non tutti i cantanti attuali fanno schifo. Semplicemente, cantano il sentimento nella declinazione preso da questo nei nostri tempi. Si ascoltino, per esempio, a tal proposito i Kaufman e Marianne Mirage

3 commenti su “LE BELLE CANZONI D’AMORE NON SI SCRIVONO PIÙ PERCHÉ NON SIAMO PIÙ CAPACI DI AMARE

  1. Ho provato a scrivere il testo di una canzone sull’onda dell’immaginazione di un amore in tempo di guerra. Un testo semplice, poi musicato. Pensando alla nostalgia di di un amore perduto. Senza stare da una parte o dall’altra della Storia, ma solo raccontando l’amore di una donna in
    “Un ragazzo italiano” ispirato al mio romanzo autobiografico NOVECENTO PARMIGIANO.
    Titti Amoretti .

  2. È una risposta a Matteo Fais, sull’idea che oggi non si scrive più d’amore come un tempo. Non ho di proposito riportato il testo, arrivato finalista al concorso Autori di Mogol e pubblicato. Se dovesse interessare la .la canzone. Contattatemi. Buon lavoro e grazie per l’attenzione. Titti Amoretti
    Pagina Facebook Novecento Parmigiano

  3. Ok fratello, ma quei due che hai citato, soprattutto Kaufman propongono più o meno la stessa pappa degli altri. Lei ha grinta, Kaufman ha la solita vocina da figlio di papà. Non c’è nerbo.

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