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“PUTIN SI COMPORTA COSÌ PERCHÉ QUESTO È CIÒ CHE GLI HA INSEGNATO IL KGB”: ANNA POLITKOVSKAJA CI AVEVA MESSI IN GUARDIA (di Davide Cavaliere)

«Quello che vi è di più terribile nel comunismo è ciò che viene dopo di esso». 
Adam Michnik

Anna Politkovskaja era finita nel dimenticatoio. La guerra in Ucraina ha se non altro riesumato almeno i suoi libri, donandole una seconda vita. La casa editrice Adelphi ha opportunamente ristampato in edizione economica diverse sue opere, tra le quali La Russia di Putin, pubblicata nel 2004, due anni prima del suo inquietante omicidio.

Il saggio non è un’analisi della politica di Putin, ma un racconto della vita «come la si vive oggi in Russia». Il crollo del potere sovietico non ha determinato la fine delle strutture oppressive e repressive; mentre la corruzione, materiale e morale, prodotta dal comunismo, continua a infliggere danni all’economia e agli animi. I processi farsa, la propaganda martellante, i privilegi istituzionalizzati, la repressione violenta dei dissidenti, il disprezzo per la vita del singolo, la tortura, sono tutti elementi che caratterizzano la Russia contemporanea, una Russia neosovietica.

Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi.

La massima espressione dell’autoritarismo russo sono le sue Forze Armate, sulla cui descrizione a lungo si spende la Politkovskaja. Si tratta di un vero e proprio concentrato di brutalità e ottusa barbarie, in cui i soldati semplici, perlopiù ragazzi poveri, vengono sfruttati e maltrattati a morte da ufficiali destinati a rimanere impuniti. I militari non sono uomini, bensì «ingranaggi costretti a realizzare incondizionatamente gli azzardi politici di chi ha preso il potere. Ingranaggi senza alcun diritto, nemmeno quello a una morte dignitosa».

La giornalista si sofferma anche sulle violenze commesse dall’esercito russo in Cecenia: saccheggi, stupri, esecuzioni, rapimenti, compiuti a danno della popolazione civile. Racconta nel dettaglio il caso giudiziario riguardante il colonnello Budanov che, nel 2000, rapì, violentò e uccise la diciassettenne cecena El’za Kungaeva. Solo grazie all’impegno dell’associazione Memorial, recentemente bandita dal regime di Putin, il suddetto colonnello venne condannato a dieci anni per il suo crimine. Caso unico, dato che le procure russe operano in modo da assolvere sempre gli ufficiali.

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La violenza impiegata in Cecenia contro civili innocenti si è riverberata su tutta la società russa: «La stragrande maggioranza di noi ha assolto lo Stato per la sua condotta in Cecenia e ha ignorato cinicamente chi sosteneva che ci si sarebbe ritorta contro, in quanto un governo che già una volta si è comportato in un certo modo non si fermerà di fronte a nulla e metterà alla prova anche la pazienza di chi sta fuori dalla Cecenia».

Nella Russia post-sovietica sono crollati tutti i valori. La popolazione è smarrita e il cinismo si è diffuso in ogni interstizio. Uno scenario desolante: «Negli ultimi anni siamo diventati molto più rozzi. E molto più vili. È una tendenza evidente […] Omicidi? Roba di tutti i giorni… Furti? Che c’è di male! Sciacallaggio? È la norma». È in questa società addormentata dalla propaganda e abbrutita dalla guerra che Putin si è affermato e, con lui, «tutti i nostri pidocchi sovietici».

Ma chi è Putin? «È il dio e il re che dobbiamo temere e venerare. La Russia ha già avuto governanti di questa risma. Ed è finita in tragedia. In un bagno di sangue. In guerre civili». Il petro-zar è il tipico čekista sovietico: «Putin ha dimostrato più volte di non comprendere il concetto stesso di dibattito […] Se Putin si comporta in questo modo non lo fa perché è un tiranno e un despota congenito, ma perché così gli è stato insegnato. Queste sono le categorie che gli ha inculcato il KGB e che lui stesso ritiene ideali, come ha più volte dichiarato».

Lo stile della Politkovskaja è secco e agile, adatto a descrivere una realtà feroce e dura, ogni ornamento sarebbe un insulto alla verità, un inutile crisocalco. Per la quantità delle voci ricorda uno dei massimi scrittori russi, Anton Čechov. La sua attenzione all’individuo, alla singolarità della persona umana, si pone in netto contrasto con l’ideologia di Stato, collettivista e totalitaria. Quando si sofferma sulle guance scavate dalla fame dei militari, sui gesti rassegnati dei civili ceceni, sugli occhi delle madri a cui non dicono come e dove sono morti i loro figli, ci restituisce l’irriducibilità di ogni vita, ripopola di volti un mondo che qualcuno vorrebbe abitato solo da numeri e strumenti.

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«Siamo solo un mezzo, per lui. – scrive dell’autocrate la giornalista – Un mezzo per raggiungere il suo potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente». A pagare il conto di questo modello, personalistico e corrotto, sono stati, tra gli altri, i bambini di Beslan: «Alla periferia di Beslan è stato arato un campo, che è diventato un enorme cimitero con centinaia di tombe. A tutt’oggi mancano all’appello un centinaio di ostaggi, classificati come dispersi. C’è chi dice che siano stati portati via dai terroristi in fuga. Altri pensano che siano stati inceneriti dalle cariche termobariche dei bazooka in dotazione alle squadre speciali».

Il libro si conclude con una visione che appartiene ancora al nostro presente. Putin che avanza, scialbo e rigido, sul tappeto rosso della sala del trono del Cremlino, tra il luccichio degli ori degli zar. Lo circonda un’aura di rivalsa e insolenza, sembra un piccolo Lenin, con il quale condivide il disprezzo per la libertà. Ancora qualche pagina e il saggio si conclude. Ecco, allora, farsi avanti un’altra visione: le porte di un ascensore moscovita si aprono e un proiettile sparato quasi a bruciapelo sfonda il cranio di Anna Politkovskaja. È il 7 ottobre 2006. Il giorno del compleanno di Vladimir Putin. In Russia si muore così. Per aver raccontato la verità. Per questo.

Davide Cavaliere

L’AUTORE 

DAVIDE CAVALIERE è nato a Cuneo, nel 1995. Si è laureato all’Università di Torino. Scrive per le testate online “Caratteri Liberi” e “Corriere Israelitico”. Alcuni suoi interventi sono apparsi anche su “L’Informale” e “Italia-Israele Today”. È fondatore, con Matteo Fais e Franco Marino, del giornale online “Il Detonatore”.

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