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“ANCHE L’OPERA D’ARTE EROTICA POSSIEDE SANTITÀ”: BUON COMPLEANNO EGON SCHIELE, ANCHE OGGI SARESTI VITTIMA DI CENSURA (di Chiara Volpe)

“Un solo grido d’angoscia sale dal nostro tempo. Anche l’arte urla nelle tenebre, chiama soccorso, invoca lo spirito: è l’Espressionismo“. Così scriveva il critico Hermann Bahr, nel 1916. In queste poche righe, egli traccia le caratteristiche salienti di una rinnovata volontà: una esasperata ricerca di comunicazione, di espressione interiore, che urla la propria verità.

Sono i primi anni del Novecento, il clima culturale del tempo è segnato da elementi di rottura come la lettura e l’assimilazione delle opere di Nietzsche, L’interpretazione dei sogni di Freud che inaugura un filone di ricerca e una nuova prospettiva interpretativa, l’attenzione ai valori dell’emozione e dell’istinto contrapposti alla miopia della ragione. Tutte queste tendenze attecchiscono soprattutto in Germania, Francia, Belgio e Austria.

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Tulln, cittadina nei pressi di Vienna, il 12 giugno del 1890, dà i natali a Egon Schiele (di cui, oggi, ricorre l’anniversario), uno dei grandi protagonisti del primo Espressionismo austriaco, pittore e poeta tormentato e maledetto, che nella sua vita conosce lo scandalo così come il successo – per le medesime ragioni.

Nonostante la sua breve vita, produce 340 dipinti, sperimentazioni fotografiche, 2800 tra acquerelli e disegni, nonché opere letterarie – principalmente poesie. Schiele poeta è meno noto rispetto alla sua figura di pittore, ma la forte individualità, intensa e fuori dall’ordinario, colpisce e fa riflettere allo stesso modo, sia in letteratura che su tela.

Entra a far parte dell’Accademia di belle Arti nel 1906, studia disegno e pittura, ma abbandona la scuola per creare liberamente, sentendosi incatenato da regole troppo rigide, verso un cammino volto ad esplorare tutte le suggestioni dell’inconscio e della propria esasperata e spasimante sensibilità.

Cerca i suoi modelli al di fuori, si lega ad artisti a lui vicini, sperimenta stili e tecniche d’avanguardia decisamente anti-accademiche, porta con sé in giro il cavalletto e il taccuino come scortando l’arte al di là dei suoi confini tradizionali.

Nei ritratti ed autoritratti trasforma la creazione pervadendola di tensione, nei soggetti bloccati in pose innaturali ricerca la più cruenta e crudele dimensione dell’eros, nei corpi nudi sia maschili che femminili il suo tormentato e un nuovo ideale del tutto anti-classico di bellezza.

Il temperamento, per nulla consono alla morale comune, gli procura l’accusa di aver circuito una minorenne. Prosciolto, viene poi condannato per aver esposto opere giudicate “pornografiche” in luoghi pubblici.

In realtà, fu solo incompreso e alienato da una società borghese bigotta che lo allontanava perché non allineato a canoni specifici. “Anche l’opera d’arte erotica possiede santità”, sosteneva, come “ho in me risorse immediate per inventare, scoprire, con mezzi che sento nel mio intimo […] sento una luce che brilla dal mio intimo all’infinito. Sono talmente ricco da essere costretto a dilapidare ciò che è in me”. Ancora oggi, il me too, che vorrebbe e in parte riesce a censurare Balthus, lo accuserebbe in concorso con i puritani del suo tempo.

Quella scintilla, che sente dentro, è ispirazione non solo in pittura, ma anche in versi, ponendo in tal modo le basi per una vera rivoluzione e innovazione anche del pensiero. Nella fitta corrispondenza con amici artisti, è forte in lui la necessità di una “nuova arte” (Neuekunstgruppe), opposizione alla tradizione che intrappola e inedita rivolta al sentimento. Da qui, la raccolta di poesie che Egon pubblica sulla rivista Aktion, come “pittore di parole”.

La sua poetica del brutto, inteso come bello degradato, scandaloso ma non di minor valore, ci presenta il dramma dell’artista che non smette mai di guardarsi dentro, per scoprire e dialogare con l’animo fin nel profondo, ma soprattutto l’importante consapevolezza di cui ci rende tutti testimoni: l’arte non deve essere mero passatempo della borghesia, ma rappresentazione dei moti e degli spasimi corrosivi dell’intimità fisica e interiore di ognuno di noi, in una perfetta equazione tra dentro e fuori.

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Tale perfetta ed equilibrata armonia di matematica perversione si manifesta anche nei suoi componimenti, che mettono in evidenza la capacità di questo artista di creare un tipo di poesia visiva, di forte impatto emotivo: “La ragazza venne/trovai il suo viso/il suo inconscio/le sue mani da lavoro/in lei amai tutto/Ho dovuto raffigurarla“. O, ancora, “Io sono per me e per quelli ai quali la morbosa sitibonda smania d’esser liberi tutto a mio avviso effonde/amo la morte e amo la vita“. La descrizione dei paesaggi tetri e malinconici: “Ho voluto ascoltare la sera respirare fresca/gli alberi neri di temporale/i ruvidi passi di contadini/le campagne echeggianti lontano/La città eretta stava davanti a me fredda nell’acqua“. E l’intensità dell’amore che rapisce e deruba: “Adesso mi cerchi/vuoi indietro che cosa/quegli attimi che ho immortalato/l’amore rubato/l’inizio la fine il labile, muto e triste confine/tra quello che sono e quello che tu non mi hai dato“.

La malinconia, la carnalità, la curiosità verso ciò che è ritenuto amorale, fanno di Schiele un sovversivo, in grado di scuotere fortemente più con la potenza che attraverso la provocazione.

Chiara Volpe

L’AUTRICE

Chiara Volpe nasce a Palermo, nel 1981. Laureata in Storia dell’Arte, ha svolto diverse attività presso la Soprintendenza per i Beni Culturali di Caltanissetta, città in cui vive. Ha lavorato per una casa d’Aste di Palermo, ha insegnato Arte, non trascurando mai la sua più grande passione per la pittura su tela, portando anche in mostra le sue opere. Attualmente, collabora anche con il giornale online Zarabazà.

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