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SCONFITTI, MA NE USCIREMO, PERCHÉ QUESTO REGIME È INCOMPATIBILE CON L’UOMO (di Sergio Flore)

Quando “ne usciremo”? Il Governo e i suoi lacchè non ne parlano mai, se non in termini estremamente astratti, vaghi e indefiniti. Con attenzione certosina si è voluto eliminare dal discorso l’elemento più importante: abbiamo un parametro oggettivo che può indicare la fine della pandemia? Abbiamo un reale obiettivo? Puntiamo ai zero morti? Zero contagi? A non superare una certa soglia di occupazione delle terapie intensive? Non si sa, nessuno lo sa nessuno. La risposta implicita, dunque, è solo una: ne usciremo quando il Governo lo deciderà. Questo, chiunque abbia più di due neuroni in testa, l’ha capito da tempo. 

Ma esistono dei limiti oggettivi a un sistema politico basato sull’emergenza perenne? Per quanto tempo ancora può realisticamente durare? Guardo alla storia del ’900. Guardo a Est. È esistito uno Stato totalitario nato, vissuto e morto in base a una situazione emergenziale: contro la reazione, contro i trotzkisti, contro i fascisti, contro gli occidentali, contro i dissidenti. Una società in cui censura e corruzione erano la norma a tutti i livelli. Dove la povertà non esisteva: bastava non parlarne. E, quando se ne parlava, i fallimenti dell’industria e dell’agricoltura venivano imputati all’azione di misteriosi agenti sabotatori, nemici invisibili. 

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In questa società, che diceva di aver fatto dell’uguaglianza il suo valore supremo, gli operai vivevano in appartamenti comuni assegnati da un mastodontico sistema burocratico, mentre i dirigenti del partito trascorrevano segretamente le estati nelle loro dacie di campagna. E, nascosto agli occhi del popolo – mai dimenticarlo -, esisteva una galassia di campi di concentramento e lavoro forzato la cui brutalità eclissava la schiavitù del mondo antico. 

Ciliegina sulla torta, il Governo di questo Paese, materialista e ateo, aveva abolito Dio, il Natale, e le festività religiose. Insomma, tutte quelle poche cose gratuite che possono dare un briciolo di serenità al cuore degli uomini. 

Si può tranquillamente affermare che l’Unione Sovietica fosse qualcosa di molto simile alla realizzazione dell’inferno sulla terra. La vera base di questo mastodontico esperimento politico e umano non era la paura, né la violenza. La base del sistema sovietico era la menzogna, incoraggiata, imposta, istituzionalizzata. Questo immenso regno di squallore e ingiustizia veniva dipinto ai suoi stessi cittadini come il paradiso della classe operaia. L’URSS era un modello, un faro per le nazioni. Il mondo, vittima dell’oscurantismo reazionario e delle ingiustizie del capitalismo, invidiava il cittadino sovietico, che aveva invece la fortuna e il privilegio di vivere nella società ideale. 

Sì, aveva ragione il gigante Solženicyn: era la menzogna più grottesca, spacciata per verità ufficiale, che faceva da base all’intero sistema. Mentivano tutti e non si poteva non farlo. Chi diceva la verità – per quanto questa fosse tangibile nel quotidiano – veniva dato per pazzo, per poi essere curato con l’isolamento dalla società dei sani. A volte con l’esclusione sociale, a volte con il processo-farsa, a volte con il gulag. Si può dire che una generazione sia nata, vissuta e morta accettando una verità ufficiale inesistente, illusoria e creata nell’immaginario collettivo dalla propaganda:  L’Unione Sovietica è esistita per quasi settant’anni.

Che dire di noi italiani? Ci aspettano settant’anni di miseria? Forse no. Forse esiste uno spiraglio. Esiste una speranza paradossale: noi stiamo peggio. La società che giorno dopo giorno sta prendendo forma davanti ai nostri occhi è per certi aspetti peggiore di quella sovietica, o di qualsiasi altro totalitarismo moderno, per un semplice motivo: è incompatibile con l’Uomo. Questo bizzarro bipede pensante, dubbioso, che porta con sé migliaia di virus, che inquina l’ambiente dal primo giorno, che pretende di festeggiare, socializzare, lavorare, “assembrarsi”, non è compatibile con la cosiddetta nuova normalità, green, paranoica e autoritaria. L’uomo o questa nuova società: uno dei due dovrà cedere. 

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Tra l’altro, nella loro lucida follia, le ideologie novecentesche potevano ammaliare le masse con una visione positiva: l’uguaglianza degli uomini, la gloria della nazione, la prosperità del popolo. Qui, oggi, non c’è nulla di tutto questo: miseria e tristezza eterne, perché “non si può fare altrimenti”, perchè “tanto ci chiudono di nuovo tutti”, perché questa è la “nuova normalità”. 

C’è il bastone ma non c’è la carota. Sopravvivenza, ricatto, rassegnazione, obbedienza: questa non è roba sulla quale si può costruire alcunché di duraturo. Il sistema è una tigre di carta. Viene in mente Berlino nella primavera del ‘45, sotto le bombe dei russi. A settimane dalla sconfitta e dal crollo del Regime c’era la fucilazione per chi negava la vittoria finale del Fuhrer. Il mito, allora, era quello del Reich Millenario – la ‘nuova normalità’ dell’epoca. Durò meno di 12 anni. Chi credette, alla fine dovette fare i conti con la verità: la guerra era perduta – attorno c’erano solo macerie.

Sergio Flore

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