Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

SE FOSSIMO UN PAESE NORMALE, MA NON LO SIAMO E NON POSSIAMO ESSERLO (di Matteo Fais)

Lo sappiamo tutti che la normalità non esiste o, se esiste, è un po’ come il tempo per Sant’Agostino: se nessuno ci chiede di definirlo, il concetto è chiaro, ma ci sfugge quando ci arrischiamo a esprimerlo. Stabilire, pertanto, cosa sia un Paese normale è sempre cascare nell’autoreferenzialità. Ognuno ha la sua idea in merito.

Scadendo quindi nell’opinione personale – e ammesso che questa possa interessare a qualcuno –, io direi che no, noi non viviamo in una Nazione sana. Innanzitutto perché non la viviamo, ma ne siamo vissuti.

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Faccio un esempio. Dall’altro giorno, il noto liceo classico di Torino, il Cavour, pare aver introdotto nelle sue comunicazioni pubbliche un asterisco, secondo loro “inclusivo”, alla fine delle parole di genere neutro. Quindi, per intenderci, il famoso “Cari tutt*”, o “Gentili, student*”.

Io che, al netto delle mie nevrosi e idiosincrasie, mi reputo una persona normale, sono indotto a insorgere contro tutto ciò. Mi viene da farlo soprattutto perché ritengo l’inclusività un falso problema, o meglio ancora uno specchietto per le allodole usato per distogliere l’attenzione dai problemi reali. Tanto per menzionare il primo che mi viene in mente: molti degli studenti di quel liceo, siano essi etero, gay, trans, o quel che vi pare, un giorno saranno precari, disoccupati o sottopagati. Un asterisco non cambia proprio un cazzo di niente nella loro esistenza.

In quello che io immagino essere un Paese normale, la gente dibatterebbe in modo acceso sulla questione. Chi la pensa come me scenderebbe in piazza a fare casino, a gridare “Non vogliamo essere presi per il culo”. Voi vedete di simili manifestazioni? Non mi pare.

Tutti si comportano come se niente fosse. Per la prima volta, dacché esisto, solo contro il green pass ho finalmente visto qualcuno mobilitarsi – parlo di una mobilitazione seria e non eterodiretta, da figuranti, come nel caso della CGIL. Non importa, adesso, che io sia d’accordo con i manifestanti o meno. È il risveglio delle coscienze che mi interessa, il fatto che qualcuno si rifiuti di pensare che il pass sia semplicemente qualcosa che è stato posto in essere e da utilizzare.

In un Paese normale, il primo atteggiamento di chiunque dovrebbe essere documentarsi intorno a una determinata questione, costruirsi un’opinione e, se lo stato di cose che è stato imposto è considerato sbagliato, reagire.

Invece, gli italiani – ma per quel che ho visto la maggioranza degli europei – tendono a lasciar correre. Anche per quel che riguarda l’asterisco, o la schwa, io so che questi, prima o poi, diventeranno legge. Sarà così, per ignavia, perché nessuno se n’è curato e tutti si sono girati dall’altra parte, o hanno fatto finta di niente – dico, quantomeno, tra coloro che sono contro questi abomini linguistici. È solo questione di tempo, come insegna la teoria della finestra di Overton o quella della rana bollita di Chomsky.

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Sarà pur vero che viviamo in una democrazia rappresentativa e quindi dovremmo lasciar agire i nostri delegati, ma voi vi sentite davvero rappresentati da qualcuno? Purtroppo, nessuno sembra comprendere che tutto ciò che accade, ogni singolo evento, ci chiama in causa in quanto esseri moralmente ed eticamente senzienti. Noi dovremmo agire, non delegare.

Lo so, voi direte che queste parole sono ben poco. Mi spiace, non sono esattamente un capo popolo e, per quanti proclami lanci, non si sposta neppure una pietra. Non mi resta che lasciare questa lettera al mondo, “che mai mi ha risposto”, come disse la Poetessa, sperando che qualcuno provi quello che provo io, cioè la sensazione di non vivere in un Paese normale.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

2 commenti su “SE FOSSIMO UN PAESE NORMALE, MA NON LO SIAMO E NON POSSIAMO ESSERLO (di Matteo Fais)

  1. “ tutto ciò che accade ogni singolo evento, ci chiama in causa in quanto esseri moralmente ed eticamente senzienti. Noi dovremmo agire non delegare.” .. questa frase dice tutto.. grazie .

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