Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

INVITO AL POLITICAMENTE SCORRETTO PER SALVARCI DAI PROGRESSISTI (di Matteo Fais)

Coloro che sono più sensibili alla terminologia “politicamente scorretta” non sono i neri che comunemente abitano il ghetto, gli immigrati asiatici, le donne vittime di abusi o i disabili, ma una minoranza di attivisti, molti dei quali non appartengono ad alcun dei gruppi “oppressi”, ma provengono semmai dagli strati privilegiati della società (Theodore Kaczynski, La società industriale e il suo futuro (trad. mia).

Qui, tra “e” rovesciate – scevà o schwa che dir si voglia -, ci stiamo seriamente rincoglionendo. Bisogna essere inclusivi, dire architettA in luogo di architetto, facendo ridere anche i polli, magistratA per magistrato, non scrivere “Ciao a tutti” ma “Ciao a tutt*”, pena sentirsi degli ignobili peccatori. Finirà che il marito si indignerà, non perché ha beccato la moglie con 3 uomini addosso, uno per buco – e tralascio l’eventualità delle mani, per decenza -, ma perché questa gridava, a uno dei partecipanti all’orgia, “Fottimi, negro”. Immagino il cuckone che non si sega guardandola, solo perché non sopporta che la moglie si soddisfi con pensieri di vago stampo razzista.

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Ecco, prendiamo proprio la parola incriminata, “negro”. Apriti cielo, se qualcuno la proferisce, anche senza gridarla come l’ipotetica signora, ma con voce dolce e sommessa. Da galera! Eppure, andando alla voce in questione, sulla Treccani, così si legge: “négro (letter. ant. nigro) agg. e s. m. (f. -a) [lat. nĭger -gra -grum; v. nero1]. – 1. agg. Forma ant. o letter. per nero: In Mongibello a la focina negra (Dante); Vedova, sconsolata, in vesta negra (Petrarca); Sotto due negri e sottilissimi archi Son duo negri occhi (Ariosto); anche nel sign. fig. di triste, tetro: sogni et penser’ negri Mi dànno assalto (Petrarca); s’asside Su l’alte prue la negra cura (Leopardi)”. Ma, dunque, non si può più riferire, per non offendere nessuno, un passo di Dante o un verso del Petrarca? Ma andate a fanculo! Sì, bisogna ricominciare anche a usare il sonoro vaffanculo, senza distinzioni di genere, con il medesimo afflato rabbioso, che si tratti di un grandissimo stronzo, o di una inqualificabile troia… E sì, pure il termine “troia” è da riesumare, anche se qualche intellettuale – o intellettualA – femminista lo vorrebbe far rimuovere dal vocabolario.

Ma torniamo alla parola “negro”, sempre dalla pagina della Treccani: “Nell’uso attuale, negro (corrisp. all’angloamer. nigger) è avvertito o usato con valore spreg., sicché in ogni accezione riferibile alle popolazioni di colore e alle loro culture gli si preferisce nero (analogam. a quanto avvenuto in Paesi in cui la questione razziale era particolarmente viva)”. Voglio dire, ma chi l’ha stabilito che, adesso, il suo valore è dispregiativo? Per me, si tratta della mia lingua e si può usare senza timore di offendere nessuno. Se non vi sta bene, pazienza. Il negro va liberato da questo rispetto a-priori, garantito per senso di colpa dell’uomo occidentale. Non va offeso a prescindere ma, se è uguale a me, può essere un pezzo di merda, proprio come me.

Sul serio, è fondamentale che, almeno nella vita quotidiana, parlando con la gente, visto che sui social si viene bannati d’ufficio, ci si imponga di tornare a una lingua verace, senza filtri imposti dalla Sinistra del politicamente corretto. La lotta contro la cancel culture si svolge anche sul campo di battaglia linguistico. I progressisti hanno instillato in noi una folle e immotivata paura delle parole. Oramai, abbiamo timore di aprire bocca, come di maneggiare i cristalli in casa d’altri. Bisogna assolutamente rinsavire e imporsi, come quando si è preda di un incubo, un risveglio forzato.

La Murgia e tutta la sua marmaglia di accoliti e leccapiedi non mancano ogni giorno di tornare sulle stronzate che ormai costituiscono il loro feudo intellettuale. Se lasciamo loro spazio, se permettiamo che parlino impunemente, prima o poi, striscianti come un cancro localizzato che si sviluppa in metastasi, infetterano la lingua nazionale.

Se quelli sono pazzi alla ricerca del potere a mezzo di queste scemenze lessicali, noi dobbiamo violentemente rompere loro le uova nel paniere, far capire che siamo contro a un livello radicale. La nostra nuova trincea è fatta anche di parole, lettere, consonanti e vocali. Altrimenti, si finisce nella situazione assurda per cui, se una ministrA leva a tutti gli italiani la pensione – perché credete che mettano sempre una donna a fare le porcherie legislative? -, a passare dalla parte del torto è chi scende in piazza e grida il suo nome associandolo all’epiteto di “puttana”.

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No, no, non bisogna farsi fregare. Si ha semmai da scandalizzare i benpensanti con questa scelta iconoclasta. Al linguaggio contrito e castigato del borghese di Sinistra, bisogna opporre la violenza liberatoria della parola proletaria che non guarda in faccia nessuno e non conosce autorità, ma afferma la propria volontà di liberazione senza remore. La vittoria sul nemico passa anche dal rifiuto del suo linguaggio, delle sue scevà o schwa, dei suoi termini igienizzati e ripuliti come le mani dei covidioti maniacalmente lucidate con l’igienizzante. Noi ci caghiamo sul loro mondo petaloso e lo dissolviamo nel piscio. Cacciamo a calci in culo le maestrine politicamente corrette con la penna rossa. Rovesciamo il linguaggio verso la sua origine ancestrale che dice pane al pane e vino al vino. E basta al controllo che la Nuova Sinistra vorrebbe imporre su ogni aspetto dell’Essere, dal versante linguistico a quello sanitario.

Le parole sono bombe, si dice spesso. Bene, facciamole esplodere e anche i nuovi censori salteranno in aria. 

Matteo Fais 

Canale Telegram di Matteo Fais: https://t.me/matteofais

Chat WhatsApp di Matteo Fais: +393453199734

L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.


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