Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

RISPETTARE LE REGOLE? (di Matteo Fais)

La società non può che basarsi sulla repressione. Non ci vuole Freud per capirlo. Senza regole, va tutto a ramengo. L’uomo, fuori da una struttura che lo imbriglia, è un animale pericoloso. Se tu pisci contro la mia porta e io contro la tua, la finiamo a sfilettarci l’un l’altro a pugnalate.

Cionondimeno, c’è un confine, facilmente superabile, tra rispetto, tolleranza, sicurezza e idiozia. All’infante vengono imposti dei limiti, solitamente, ma si cerca anche di spiegargliene la ragione. Gli si dice per esempio che, per quanto spiacevole, è necessario che lui si alzi a una certa ora per arrivare a scuola in tempo, così da essere un giorno un uomo inserito nel tessuto sociale, capace di dare un contributo al mondo intorno a sé.

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Con un adulto, dal quale si presuppone un certo grado di maturità, le cose vanno in modo leggermente differente. Con lui, la libertà va negoziata. È il compito della politica. Non per niente, si dice che i dittatori trattano il popolo come un bambino, anzi peggio, perché si limitano ad imporre, senza mai discutere le proprie istanze.

Quando avviene ciò, persino se si tratta di una prescrizione dagli effetti benefici, è d’obbligo ribellarsi. Una legge mi limita, ma deve avere una sua ratio, giustamente, perché sia rispettata, altrimenti sale il malcontento. Se domani un uomo di Stato dovesse dirci che chiunque faccia cadere la sua ombra sulla strada, mentre cammina, sarà soggetto a una tassa per uso del suolo pubblico, le persone – almeno quelle sane di mente – dovrebbero mandarlo a fare in culo. Perché? Perché la motivazione di tale tassa è debole, se non assurda.

Le regole vanno rispettate e devono esserci, ma quando sono folli vanno combattute e avversate in ogni modo. L’italiano non lo fa quasi mai. Non si capisce, infatti, come possa essere stato etichettato per lungo tempo come anarchico. Da noi, tutti sono ligi alle norme, ma ligi in un modo ottuso. Se domani ci dovessero dire che dobbiamo indossare una mascherina anche per dormire, sono certo che l’80% lo farebbe. Una persona socialmente consapevole, invece, prima di mettere in atto una prescrizione così balzana, ne domanderebbe la ragione, chiederebbe su quali evidenze scientifiche sia fondata.

La democrazia è un sistema faticosissimo, in cui lo scambio tra vertice e base, mediato dalla rappresentanza, deve essere costante. Ci vuole impegno, da parte di tutte le parti in causa, ma non deve esistere l’ipotesi per cui “si fa così perché lo dico io”.

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Per venire a noi, se vogliono il vaccino obbligatorio lo devono richiedere in modo palese e non per via surrettizia. In due parole, si devono assumere la responsabilità delle proprie scelte – li paghiamo per questo. E, se noi chiediamo la dimostrazione che gli effetti avversi sono assolutamente minimi e inferiori a una soglia di guardia, questa ci deve essere fornita. A nulla vale dirci che siamo in emergenza: pure se ci fosse metà della popolazione morta per le strade – e non c’è –, la democrazia non potrebbe essere sospesa. La libertà vale più di qualsiasi sicurezza – o presunta tale.

Pertanto, anche se questo maledetto covid esiste, non può essere comunque usato come arma di ricatto o salvacondotto per atti palesemente antidemocratici che sviliscono il nostro valore di cittadini ed esseri razionali. Possiamo essere obbedienti, ma, come sta dimostrando in questi giorni la cittadinanza riempiendo le piazze di tutta Italia, ciò non avverrà sulla fiducia. Se ci tratterete da stupidi, noi vi faremo la guerra.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. È in libreria il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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