Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

GLI ANTIFASCISTI DI OGGI SONO SOLO DEI CODARDI IGNORANTI (di Franco Marino)

A margine della polemica su Erdogan che ha detto “Voi italiani avete avuto Mussolini, noi Erdogan lo abbiamo eletto”, qualcuno ha cominciato di nuovo a strumentalizzare il dibattito su Mussolini, riversando i consueti meme a testa in giù, battute, minuti di odio e insomma tutto il campionario di codardia dell’universo antifà, composto da gente che di fronte alla Buonanima si sarebbe cacata sotto.


Credo sia stato Svetonio a narrare che Silla, avendo già rinunciato al potere, al culmine della sua carriera politica peraltro sorprendendo tutti – forse per via del cancro che lo porterà alla morte l’anno dopo – incontrò un cittadino romano che, avendolo visto per strada, gli rimprove­rò non so più che, con toni molto aspri e arroganza. L’ex-dittatore, per tutta rispo­sta, senza scomporsi, si limitò a chiedergli se avrebbe avuto il coraggio di rinfac­ciargli quelle stesse cose quando egli era al vertice del potere.
Memori di questo insegnamento, si dovrebbe sempre cercare di non avere remore nel denunciare torti ed errori dei grandi, avendo nel contempo la dovuta generosità di non infierire su chi è caduto dall’alto.
Qualcosa del genere viene da pensare quando si vedono in circolo tantissimi antifascisti che fanno processione di antifascismo in assenza di fascisti.
Narrava un grande giornalista napoletano che il giorno della morte di Berlinguer, Craxi pianse. I due erano nemici, si odiavano.
Personalmente, da anti-antifascista, ho pur tuttavia sempre avuto rispetto per partigiani e brigatisti: quelli veri ovviamente, quelli che rischiarono concretamente la pelle. Ciò deriva da quella marzialità che posseggo nel mio DNA mi porta ad avere rispetto per chi, pur godendo della mia inimicizia, va in campagna e si mette a sparare, insomma rischia la pelle e le palle.
Questa è una cosa che ho ereditato dal mio nonno fascista. Non la fraternizzazione ma il rispetto dell’avversario, della sua marzialità, quel qualcosa che prova chiunque sia abituato a combattere qualche guerra: l’avversario si odia, si cerca di fare di tutto per eliminarlo ma alla fine non si può non provare un moto di rispetto per chi è diviso in tutto tra noi, tranne che nella determinazione di fare di tutto per vincere la sua personale battaglia.
Questo rispetto viene inevitabilmente meno per gli antifascisti a chiacchiere, per i leoni da tastiera, per quelli che a parole farebbero le barricate contro un eventuale ritorno del fascismo mentre, statene certi, se il fascismo tornasse davvero, sarebbero i primi a mettersi in fila.
Su Twitter, avamposto del radicalscicchismo, ormai è un delirio: branchi di iene antifasciste che sputano sui cadaveri di vittime delle foibe, mettendole in un unico calderone con i fascisti, profili patinati di apparenti benpensanti che sembra quasi di vedere in loro il curriculum dei fratelli Rosselli e di Gramsci e che invece sono solo palloni gonfiati capaci solo di sbrodolare un mieloso umanitarismo, dietro il quale si nascondono solo ributtanti vigliaccherie.
A costoro si dovrebbe ricordare che la miserabile umanità che li tratteggia e li caratterizza, costituisce ad oggi il vero terreno fertile su cui prolifereranno i totalitarismi di domani, ma è tutto inutile.
Di fronte al Mussolini e al Silla dei tempi di massimo fulgore, gli antifà sarebbero stati capaci solo di abbassare lo sguardo, per poi sputargli addosso come l’anonimo cittadino romano, cosa che poi effettivamente avvenne a Piazzale Loreto o all’Hotel Raphael contro Craxi. Personaggi discussi, controversi ma che sono i veri leoni del loro tempo, perlomeno rispetto a chi sputerà e lancerà monetine sui loro corpi appesi.
Per costoro, azzeccato ci pare un famoso e suggestivo proverbio arabo “Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani, credendo di aver raggiunto la vittoria. Ma i leoni rimangono leoni, i cani rimangono cani”.
Con tutto il rispetto per i cani veri, si capisce.


E Mussolini, piaccia o meno, da qualsiasi punto di vista si voglia guardarlo, è stato un leone, un gigante della storia italiana.
Che sia stato tale, lo dimostra il fatto che da settantasei anni il popolo italiano non riesce a liberarsi del suo fantasma e a storicizzare un periodo che, piaccia o meno, c’è stato e non si può cancellare né esaltando acriticamente chi di quella fase storica fu protagonista né adoperando la strategia della censura stramaledicente propria del farisaico e autoritario pensiero unico atlantista.
Quando un popolo, dopo quasi cento anni, ancora si divide su Mussolini, ciò accade solo per una ragione: perché ha lasciato un segno indelebile.
Poi, che questa fase storica sia stata foriera di cose belle (Treccani, riforme sociali, bonifiche, costruzione di case) e cose molto meno belle (leggi razziali, dittatura), è documentato.
Ma soprattutto se lo confrontiamo con i nani del secondo Dopoguerra – salvo un paio di giganti – non possiamo non notare come le classi dirigenti siano precipitate a livelli infimi.
Ieri avevamo Mussolini, Gentile, Balbo, Bottai.
Oggi Di Maio e Letta.
O tempora o mores

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