Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

GLI ARTISTI DI REGIME CI MOSTRANO LA PERICOLOSITA’ DELLA LEGGE ZAN-SCALFAROTTO (di Franco Marino)

Chiunque aderisca sovente ad offerte commerciali, si abitua a scovarne le insidie nascoste dietro un testo seducente. Quando per esempio ingolositi dalla prospettiva di un Internet veloce, leggiamo “fino a 1 gbit”, siamo indotti a pensare che effettivamente avremo 1 gbit di connessione. In realtà “fino a” significa che quello è il limite massimo. Un quantitativo che non ci verrà mai dato. Non venendo chiarito quale sia il limite minimo, il malcapitato si ritrova a pagare di più per una connessione magari peggiore di quella precedente, anche se non lo saprà mai con certezza. Non meglio va a quei novizi del web che, quando dobbiamo decidere su quale compagnia di hosting appoggiare i propri siti, vengono sedotti da offerte di “traffico illimitato”. Meraviglioso, pensa il novizio, potrò ospitare Facebook sul mio spazio pagandolo qualche euro al mese. Sfortunatamente, illimitato non significa infinito, ma solo che non viene stabilito un limite fisso. Che viene fissato, in maniera del tutto discrezionale, dal provider che a quel punto disabilitandogli il sito quando supererà un certo carico, lo indurrà a passare ad un server dedicato, mettendo mani al portafoglio. Come è anche ovvio, dato che la connettività e le risorse non sono infinite.

Queste considerazioni ci portano al decreto Zan-Scalfarotto che, ad una lettura superficiale, non presenta nulla di scandaloso. Si può rimanere perplessi sapendo che in un recente passato è stata depenalizzata l’ingiuria – dunque anche gli insulti omofobici – che chiariva come qualsiasi tipo di insulto fosse punibile penalmente ma questo è un altro discorso. L’idea di punire l’omofobia troverebbe d’accordo chiunque appartenga al consesso delle persone considerabili come civili. E non solo. La legge contiene persino una clausola di salvaguardia dell’articolo 21 della costituzione che in teoria lascia aperta la possibilità di criticare l’ideologia LGBTQ e di sostenere la difesa della cosiddetta famiglia naturale. Il testo infatti, rassicurano i suoi sostenitori, punisce semplicemente chiunque si renda protagonista di odio e discriminazioni. Dando ad intendere che sia facilissimo identificare le azioni in possesso di questi prerequisiti. E fin qui la cosa sembrerebbe di buonsenso, se non fosse che, come si suol dire, il diavolo si nasconde nei dettagli.

Una norma è ben scritta quando chiarisce i comportamenti da sanzionare e li rende facilmente identificabili. Se io chiamo qualcuno “ricchione” o costituisco un gruppo dove aizzo tutti a pestare omosessuali, siamo di fronte ad una palese notitia criminis. Tolto questo estremo, il concetto di discriminazione è assai poco chiaro perchè basandosi sulla presunzione della vittima, che potrebbe essere fallace o mendace, infila il sospetto offensore in un imbuto da incubo.
Se io, per dire, avessi un albergo, fossi omofobo e decidessi di non accogliere una coppia gay, di fatto commetterei una discriminazione. Ma non andrò loro a dire che non li ho accolti perchè gay ma perchè magari le stanze sono occupate. In quel caso, la coppia gay, se venisse a sapere che la mia era una scusa, potrebbe accusarmi di averli discriminati. Ma neanche quello basterebbe. Occorrerebbe anche provare che io li abbia discriminati per omofobia, cosa non scontata. Avrei potuto discriminarli perchè magari mi erano antipatici o perchè puzzavano.
Al tempo stesso, chiarito quanto sopra, dietro la formale salvaguardia della libertà di opinione, resta sempre il giudice a decidere quando un’opinione su tematiche LGBTQ sia lecita e quando discriminatoria. Con tutti i rischi del caso.

E questo cambia tutto.
La conferma la stiamo vedendo nel dibattito di questi giorni e nelle ultime dichiarazioni di Mahmood il quale, testualmente, definendo omofobo chiunque – e nella lista si annoverano anche giuristi non legati a nessun partito – si opponga a questa norma, ne chiarisce anche i pericoli che potrebbero derivare se qualcuno proferisse affermazioni non gradite alla comunità LGBTQ.
La Lega e Fratelli d’Italia hanno fornito le proprie motivazioni sul perchè questa norma non va approvata. Si possono condividere o non condividere.
Pillon, che non si è mai reso protagonista di alcuna dichiarazione omofobica, razzista o fascista – vi sfido a trovarla – tuttavia a più riprese si ritrova accusato di omofobia, razzismo e fascismo. Perchè la legge Zan – Scalfarotto in questione non chiarisce COSA sia discriminatorio, riservando così alla magistratura un’ampia discrezionalità, con tutti i pericoli del caso, compreso che la civile critica venga elevata a discriminazione ed equiparasse chiunque se ne rendesse artefice ad omofobo tout court. Mettendo così le fondamenta per un processo che ha ben poco di giuridico e tanto di politico.

Mahmood, Elodie, Fedez e tutti quelli che in questi anni hanno inveito contro chiunque – gay compresi – non si sottomettesse ai diktat della comunità LGBTQ ci danno un motivo più che sufficiente per bocciare la norma Zan – Scalfarotto. Non è questione di essere omofobi ma di permettere che in questo paese si possa dire che un gay sia stronzo, che l’idea che un bambino non debba avere il padre e la madre o che sia sottoposto a pressioni affinchè non abbia una chiara identificazione di genere, sia aberrante e che chi se ne renda artefice sia un malato di mente, senza che qualcuno ci possa accusare di omofobia.
Che è poi quel che diceva Beppe Grillo quando, da pregevole comico, rilasciò una massima destinata a rimanere immortale: “Il razzismo finirà quando potremo dire che ci sono neri stronzi come i bianchi” 
L’omofobia finirà quando, senza per questo temere un processo penale, potremo dire che ci sono gay stronzi come gli eterosessuali.

FRANCO MARINO

2 commenti su “GLI ARTISTI DI REGIME CI MOSTRANO LA PERICOLOSITA’ DELLA LEGGE ZAN-SCALFAROTTO (di Franco Marino)

  1. Sempre daccordissimo con Franco Marino al 99.999999%.
    Non vorrei però che sia stato quel 0,000001% di dissenso, che per altro era una semplicissima puntualizzazione di pensiero su alcuni stereotipi riguardante i dipendenti pubblici, ad impedirmi di poter commentare i suoi post su Facebook….
    Pazienza, leggo e condivido sempre con piacere.
    Un caro saluto.

    1. “Stereotipi riguardanti i dipendenti pubblici”.
      Breve riflessione: il parassitismo della dipendenza pubblica, fra le altre peculiarità tipiche di questa laida categoria, non è uno stereotipo, ma un dato di fatto.
      Se non ne è convinto la prego di aprire una partita iva oppure di farsi assumere (se mai ci riuscirà) come dipendente privato. Il giorno dopo andrebbe dallo psicologo, non perché nell’ambito del privato si lavora molto, ma semplicemente perché si lavora.
      Non esistono stereotipi sui dipendenti pubblici, è tutto vero: fannulloni, imboscati e rosiconi, non se ne salva uno.

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