Il Detonatore

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LA LETTERA – LA METROPOLI, TRA AMORI EFFIMERI E LIBERTÀ INCONSISTENTI (di Ignazio Posadinu)

UNA MISANTROPICA PREMESSA

Sono un asociale, un misantropo, un solitario, uno a cui la vicinanza e la compagnia di altri esseri umani risulta quasi sempre d’imbarazzo, un piccolo trauma. Non mi ritrovo quasi con nessuno e credo che la cosa sia reciproca. D’altronde, con quelli che sono i miei interessi (la storia medievale e la fantascienza degli anni d’oro, le campagne napoleoniche e la letteratura russa letta in lingua originale) e il mio modo maniacale di perseguirli, metto a disagio le persone, solitamente del tutto disinteressate. Sono un alieno e ciò ha condizionato la maggior parte delle mie esperienze di vita.

Tutto questo affinché sia chiaro che la mia descrizione della vita nelle metropoli e delle solitudini rurali risente di questa mia natura. Se il lettore comune si troverà in disaccordo, non se ne preoccupi troppo: sarebbe più grave il contrario.

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SEMPRE CARO MI FU L’ANONIMATO, DOPO IL PAESELLO

Intanto, va detto che vivere in una metropoli ha i suoi lati positivi. Ad esempio, ha del confortante poter entrare nell’anonimato che le folle di una grande città come Londra, Parigi o Mosca offrono a chi proviene da paeselli in cui tutti conoscono tutti e ne parlano pure, spesso a sproposito. È un aspetto che aiuta enormemente chi voglia lasciarsi alle spalle un passato che non ama. Permette di ricominciare a vivere con il vantaggio di una nuova verginità. Sapere che chiunque conoscerai non verrà ammorbato da quanto gli sarà riferito dai compaesani, non appena prenderà a frequentarti, alleggerisce il cuore.

D’altro canto, la tendenza a passarti accanto senza guardarti negli occhi, che si nota soprattutto nelle città anglosassoni, è qualcosa di estraniante. Camminate lungo una grande arteria del centro cittadino di sabato pomeriggio, mettiamo a Londra, e sarà facile che cinquantamila persone vi sfiorino senza neppure guardarvi negli occhi. Dico questo delle “metropoli anglosassoni” perché in posti come Parigi, o Mosca, è ancora possibile che qualcuno, magari rappresentante dell’altro sesso, vi osservi, e sostenga persino lo sguardo, arrivando – inaudito! – a rivolgervi la parola.

Il secondo aspetto della bellezza di questo inferno è, appunto, la vita sessuale che, in una grande città, è decisamente più movimentata di quella della provincia profonda italiana. E questo, per un maschio medio italiano esteticamente nella norma, è un motivo fra quelli trainanti, quando giunge il momento di decidere se emigrare o meno. Motivo assolutamente misconosciuto e accuratamente nascosto nelle cronache ufficiali che parlano in modo fuorviante unicamente di fuga di cervelli, generazione Erasmus e via declinando.

Quando un ragazzo appena entrato nella maggiore età si ritrova senza alcun vincolo affettivo, e senza la prospettiva di acquisirne, l’idea di essere meno solo all’estero è fra le più allettanti. Personalmente, da giovane degli anni ’90, posso garantire che la vita sessuale dei ventenni di allora – parlo sempre di maschi – non esisteva, se non per due categorie che andavano per la maggiore: il belloccio figlio di papà e il belloccio delinquente. Dico “andavano”, ma dovrei dire che vanno ancora alla grande, forse pure più di allora, visti casi come quello dei fratelli Bianchi, idoli di gran parte del pubblico femminile prima e ancor più dopo essere stati accusati di omicidio – fra l’altro, in circostanze abiette. Quando poi le due categorie coincidono, i favori del gentil sesso divengono assoluti. A un normaloide di provincia non resta che la solitudine con serate fotocopia in compagnie maschili che, col passare degli anni, divengono depressive, in attesa di raccattare ciò che rimane dell’offerta femminile, a un’età ormai più che matura, o l’emigrazione.

L’emorragia di talenti e forza lavoro oltrefrontiera è anche un effetto dei guasti che l’ideologia femminista, nella sua degenerazione più recente, ha causato e sempre più causerà a questo disgraziatissimo Paese. Siamo passati dal bigottismo cattolico alla promiscuità più sfrenata, ma sempre a vantaggio di pochi fortunati – esteticamente ed economicamente –, tagliando fuori tutti gli altri. Come mai, mi si dirà, in ambiti nord-europei, dove la stessa ideologia femminista ha attecchito prima e con più forza che da noi, le donne avrebbero maglie più larghe per un giovane italiano di poca esperienza? Semplicemente, lì le femmine non hanno sollevato i propri standard estetici a pretese irrealistiche come in Italia.

Il lato oscuro di tutto ciò è che se le donne, in contesti emancipati, hanno poche remore a godersela con i più diversi partner, ne hanno invece parecchie a legarsi stabilmente, almeno sinché non giungono ad un’età in cui vengono surclassate dagli esemplari più giovani e iniziano a scoprire la glacialità di un appartamento vuoto. Generalmente, troppo tardi.

IN CITTÀ C’È TUTTO, MA MANCA QUALCOSA

E poi, in città c’è tutto – non si tratta solo di una frase fatta. Per chi, come me, aveva sofferto e pianto lacrime di sangue per anni data impossibilità di recarsi al cinema, a teatro, a un concerto di classica, o anche solo perdersi in mezzo ai libri di un mercato o un quartiere di librerie a buon mercato, per certi versi, vivere a tempo pieno in una metropoli era come riscoprire l’Eden. Al mio paese, non solo non c’era né cinema, né teatro, né una libreria, ma pesava su di me una certa idiota mentalità regressiva secondo la quale a fare le cose da soli si è scemi. Quindi, se fossi andato al cinema a vedere un film che mi piaceva – escludendo quindi i cinepanettoni, a cui avrei preferito una colonscopia –, o a teatro, o ad un concerto – orrore! – di classica, sarei stato considerato ancora più anormale di quanto non fossi. E quindi, subendo questa pressione psicologica, rinunciavo. Ma altrove, in metropoli in cui chiunque fa il cazzo che vuole, spesso e volentieri da solo, mi sono ritrovato libero di passare le serate a cercare libri fra banconi infiniti, assistere a film uno dietro l’altro, ascoltare musica, il tutto decidendo da solo, facendo a volte conoscenze occasionali e venendo, una volta, persino rimorchiato. Tutte cose impensabili nell’ambito provinciale, almeno quindici-vent’anni fa.

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IL PERCHÉ DI UN RITORNO

A questo punto, domanderete: e, allora, perché sei tornato?

Tutti questi aspetti positivi, sul lungo termine, si tramutano nel loro opposto. Dopo anni ad accumulare nuove conoscenze, nessuna delle quali offre un’amicizia profonda e degna di questo nome; a scopare con numerose partner anche esteticamente apprezzabili, nessuna delle quali disposta a rinunciare alla propria libertà ed emancipazione per costruire insieme una prospettiva solida di vita; ad affondare nel consumo fino alla compulsione, ci si guarda attorno e si vede il deserto umano che quel tipo di vita lascia. La terra bruciata, la desolazione di esistere senza un senso.

Ma come la mettiamo col fatto che un numero impressionante di persone vive in contesti urbani e, anzi, questo numero è la maggioranza della popolazione mondiale, ed è destinato solo ad aumentare? Rispondo che questa non è una ragione, né decide la questione a favore di questo genere di vita. Le metropoli, sin dall’inizio della civiltà, sono state sempre poche, poste a notevole distanza l’una dall’altra, e giustificate dal ruolo di capitale o di centro commerciale importante. Attualmente, si accrescono per inerzia. Raccolgono popolazione dalle campagne perché sono già grandi e si suppone che tutti possano vivervi meglio – e per “meglio” quasi tutti intendono, in genere, farci i soldi. Così divengono ammassi tumorali di cemento e asfalto in cui proliferano le attività ridondanti, inutili o autoreferenziali, come il commercio di beni superflui, gli accessori degli stessi, gli studi legali nati per dirimere le situazioni create dallo stesso terreno sociale in cui agiscono, quando pure non le aggravano.

Un tempo, sulle mappe nazionali, per indicare le metropoli bastava un pallino o un quadratino. Oggi, la loro estensione ricopre province e regioni. Ricordo un articolo di trent’anni fa che celebrava l’unificazione di un territorio urbano esteso da Boston a Filadelfia, ossia grande quanto il Portogallo. È normale viaggiare per una città estesa quanto una nazione? A me pare materia per una distopia fantascientifica. Ora è realtà, ed è andata ben oltre la costa orientale degli USA. In Cina, l’area urbana attorno a Shangai è ben più ampia e popolosa di quella e si accresce ogni anno. Questo non è naturale ed è frutto di un movimento vertiginoso che, come tutti i fenomeni che crescono senza più controllo, avrà la sua fine in un crollo verticale altrettanto brusco. Viverlo non sarà né indolore né bello, soprattutto standovi all’interno.

Alla fine, la vita urbana in una metropoli soffre proprio di questo: l’innaturalità. Essa è il carattere della modernità, che con le perversioni va a braccetto, quando non le genera – o ne è a sua volta generata.

Ecco perché ho trovato preferibile un ritorno alla campagna. È doloroso, a volte, ma non ho rimpianti. Indietro non si torna. Perché, se andare alla scoperta del mondo da giovani è seguire un istinto, continuare dopo certe esperienze, per di più in età matura, sarebbe follia. E lo sarebbe anche in un mondo che ha fatto della follia la propria legge.

Ignazio Posadinu

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