Il Detonatore

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LA LETTERA – VORREI PORTARMI DIETRO LA BOLDRINI, QUANDO VADO A LAVORARE

Caro Matteo,

ti scrivo perché vorrei parlarti di una professione – la mia – che negli ultimi anni è divenuta sempre più pericolosa, nella nostra civilissima e sempre amata Italia. Mi riferisco ai tanto odiati “verificatori di titoli di viaggio”, ovvero i controllori dei mezzi pubblici.

Svolgo da diversi anni questo ruolo, sui pullman urbani ed extraurbani, e una recente polemica, riguardante un collega un po’ troppo nervoso con una passeggera africana, mi ha fatto riflette per lo scandalo che questa ha suscitato presso le anime belle del politically correct, subito pronte a sproloquiare di razzismo e ad altre accuse insensate. Ciò mi ha profondamente indignato.

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Inizio col dirti che sono arrivato a tale mansione dopo svariati anni al volante, come autista. Accettai di buon grado il cambio di incarico propostomi dai superiori perché stanco dei turni e a causa del culo che iniziava, a furia di star seduto, a farmi decisamente male. Ogni tanto mi chiedo chi me l’abbia ha fatto fare. Le condizioni di lavoro sono andate sempre peggiorando.

Di aneddoti vissuti potrei raccontartene a decine, ma non voglio tediarti a lungo. Ciò che ho constatato è una sempre più profonda regressione della nostra millenaria civiltà a uno stato di malato imbarbarimento. Nel giro di pochi mesi, ho rischiato un processo per percosse su un egiziano che, “esasperato” dalle mie pressioni – favorirmi un documento per la compilazione della sanzione amministrativa, la multa –, ha ben pensato di simulare un pestaggio rompendosi la testa da solo sui vetri e le sbarre poggia mani, procurandosi ferite alla testa. Fortunatamente, la testimonianza di due passeggeri mi ha completamente scagionato. Per non parlare di quella volta che ho beccato un reietto, con i pantaloni abbassati, intento a trastullarsi il membro. Oppure, di tutte le spiacevoli occasioni in cui mi capita di dover far fronte a baby gang di Maghrebini di seconda, terza generazione che il ticket di viaggio non sono intenzionati a corrisponderlo neanche per il cazzo.

Recentemente, ho dovuto gentilmente accompagnare fuori dal mezzo, a calci e pugni, un ubriacone violento. Sai qual è stata la mia più grossa preoccupazione? Che qualcuno, tra le persone presenti, mi avesse filmato con uno smartphone – ottimo strumento per decontestualizzare e manipolare gli avvenimenti. Già mi immaginavo la mia testa stritolata dalla fredda gogna dei benpensanti di Sinistra. Per qualche giorno, ho controllato ansiosamente le notizie di cronaca locale nella speranza che nessuno avesse denunciato quanto accaduto. Fortunatamente i telefonini sono rimasti al loro posto, in tasca. Già, perché sappiamo come funziona la legge in questo strano Paese. Prima devi beccarti una coltellata, poi, se ti rimangono le forze, puoi difenderti, senza però eccedere naturalmente. Ma io sono ancora uno di quelli che preferisce un brutto processo a un bel funerale.

In questi anni ho sviluppato un sesto senso particolare, mi basta un’occhiata a bordo e capisco già se c’è uno pericoloso, sono le facce stesse a parlare. Fare questo lavoro richiede una bella dose di pazienza e coraggio, occorre anche gentilezza e nervi saldi.

Nonostante ciò, chi svolge questa professione non è esente da luoghi comuni. Uno dei più odiosi è quello che sostiene, da parte nostra, la tendenza a soprassedere alle irregolarità degli stranieri. Cazzate! Non potrei guardarmi in faccia, al mattino, dopo aver fatto un verbale a una anziana autoctona ed aver fatto finta di niente con il nigeriano di 2 metri. La verità è che a volte ha più senso obbligare lo straniero di turno, sprovvisto di titolo di viaggio, a pagare il biglietto, perché la sanzione comminatagli non verrebbe mai versata. Oltretutto sono poco propensi a fornire documenti e, delle volte, ne sono proprio sprovvisti. In casi come questi, è necessario l’intervento delle forze dell’ordine per l’identificazione e ciò comporta ritardi e perdite di tempo per gli altri viaggiatori.

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Quanto mi piacerebbe portarmi la cara Boldrini appresso e mostrarle il famoso stile di vita da lei tanto decantato. Certo, fare discorsi dall’alto delle belle torri d’Avorio è facile, ma presto sarà la costa d’Avorio a salire da loro. Ne sono certo, manca poco. Poi, non farneticheranno più. Quelli come me lo sanno bene. Io sono l’uomo della strada, quello che la realtà sociale la vive in prima persona. Non ho nessun potere di polizia, nessun giubbetto in kevlar, nessuna Beretta o tonfa. Possiedo unicamente uno spray urticante, acquistato da me, ma prima di usarlo devo pensarci dieci volte. Non voglio fare del vittimismo, mi pagano per fare quel che faccio – sempre troppo poco. Auspico unicamente che polemiche inutili, come quella citata all’inizio di questa lettera, non siano nemmeno prese in considerazione da voi cittadini per bene. Vorrei anche maggior tutela, non inutili polveroni mediatici da chi strumentalizza i fatti per scopi politici.

Grazie per aver accolto il mio sfogo e buon lavoro a tutti i colleghi.

L.M.

2 commenti su “LA LETTERA – VORREI PORTARMI DIETRO LA BOLDRINI, QUANDO VADO A LAVORARE

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