Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LA LETTERA – “NON SPOSATEVI. IN OCCIDENTE, È UNA FOLLIA”

Caro Matteo,

sono rimasto molto colpito dal tuo editoriale controcorrente riguardante la ricorrenza di San Valentino (https://ildetonatore.it//2021/02/14/editoriale-corale-buon-san-valentino-di-cosa-parliamo-quando-parliamo-damore-a-cura-di-matteo-fais/). Mi calza a pennello, considerato che sono sull’orlo di una ormai certa separazione.

Mi presento: sono un giovane uomo di 35 anni, del Nord Italia, ho due figli e lavoro da quando avevo 16 anni. Conobbi quella che, al momento, formalmente, è ancora mia moglie dieci anni fa. Lei aveva allora 17 anni, io otto in più. Mi parve bellissima – lo era. Risultava anche molto sveglia e più matura di quanto la sua età potesse far pensare. Fu proprio questo a colmare il gap anagrafico tra noi. Proveniva da una famiglia di brave persone, dedite al lavoro. I suoi genitori divorziarono quando lei era ancora bambina.

Insomma, mi innamorai di questa giovane e fresca ragazza, dopo essere uscito da una storia precedente durata quattro anni. Vivevo da solo, in un’altro comune. Ero già totalmente indipendente. Con lei, stavamo spesso insieme e, nei weekend, si trasferiva da me con il benestare dei suoi genitori che, nel mentre, mi avevano conosciuto e a cui piacqui particolarmente – in definitiva, si fidavano di me.

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Furono anni belli, spensierati. La amavo come niente altro al mondo e volevo una famiglia con lei che, peraltro, amava tanto i bambini. Così, al suo ventunesimo compleanno, decidemmo di sposarci. Io ero prossimo ai 30 e desideravo fortemente diventare padre. I genitori attempati mi hanno sempre messo tristezza, quindi non volevo perdere altro tempo. Avevo tutte le carte in regola: alle follie giovanili avevo detto addio da un pezzo, il mio lavoro era stabile e ben retribuito. Non mi restava che costruire il nido con lei, l’amore della mia vita. Così facemmo.

Pochissime settimane dopo la felice notizia della gravidanza, iniziai a notare un profondo cambiamento nel suo carattere. Era divenuta emotiva e con me non manifestava più l’affetto di prima. Nulla di grave, mi dissi, anzi. Pensavo: tutto normale, saranno gli ormoni. Il diventare donna e madre deve essere un cambiamento epocale nella vita di una giovane ragazza degli anni 2000. Così mi adattai a questa nuova versione della mia “fidanzata” neomamma.

Dopo la nascita del nostro primo figlio, le cose si assestarono su un nuovo equilibrio, anche se di quella giovane e fresca ragazza, che non vedeva l’ora di fare l’amore con me, era rimasto poco o niente. E non sto parlando di una semplice e normale declassazione. Sono ben conscio che sia normale passare in secondo piano rispetto ai propri figli e lo ritengo giusto. Ma quella che mi ritrovavo davanti era proprio una persona diversa dalla donna che avevo conosciuto.

Non badai più di tanto a questo, memore delle chiacchiere fatte con i colleghi riguardo alla metamorfosi che subisce una dopo la gravidanza. E, poi, ero troppo contento e fiero del nostro primogenito maschio. Il calore del focolare domestico mi faceva dimenticare tutto.

I nostri primi dissidi verterono su questioni banali, quali l’inaccettabile stato della casa che in teoria lei avrebbe dovuto gestire dati i miei impegni. Ero reduce da cinque anni di vita autonoma, dunque abituato all’ordine e alla pulizia. Non sono mai stato maniacale, però non sopporto il caos. Passarono tre anni, durante i quali ci assestammo, ritrovando un po’ di complicità e affetto reciproco. Ma sono costretto a ribadire che lei era profondamente cambiata e il suo interesse verso di me decisamente scemato. Io, però, continuavo a figurarmi che tutto ciò rientrasse ancora nei parametri della normalità.

Il sesso, o fare l’amore che dir si voglia, era diventato raro. Se tutto andava bene, due volte al mese. Arrivai così ad accusare una vera e propria carenza affettiva da parte di mia moglie e la tradì. Niente di trascendentale, solo un paio di scopate fatte più per bisogno fisiologico che per altro. Immaginavo di dovermi sentire uno schifo, dopo aver commesso adulterio, ma così non fu e archiviai nella mia coscienza l’accaduto come una scappatella insignificante.

Arrivò il secondo genito – con mia grande gioia, un’altro maschio. A quel punto, però, la gestione delle faccende domestiche precipitò. Nel frattempo, convolammo a nozze religiose. Lei ci teneva e anche le nostre famiglie – pure io, a dirla tutta. Mi confessai e promisi di non fare più “cazzate”. Capii che mia moglie era portata solo per fare la madre dei miei figli. Con loro era bravissima, paziente, li capiva, dimostrando un innato istinto materno nonostante la giovane età. Al contempo, però, non era capace di fare la moglie per suo marito. Non mi supportava in nulla. Era venuto a mancare il dialogo, la condivisione. Io ero solo il rompipalle dell’ordine e quello che doveva pagare la totalità delle spese, visto che lei aveva un’occupazione part time.

Divenni scontroso e verbalmente aggressivo. Ero perennemente nervoso e stressato. Lei non mi era di nessun conforto. Il mio tempo libero si perdeva dietro le faccende domestiche che lei trascurava deliberatamente. Ma cosa avrei dovuto fare, lasciarla per la sua pigrizia? Era fatta così. Avevo giurato fedeltà e amore incondizionato davanti a Dio. Non potevo venir meno a tanto. Così pensavo, fino a che iniziai sempre più spesso a “guardarmi in giro”, complice la mia professione che mi porta a conoscere parecchie persone anche di sesso opposto.

Arrivò il vero e proprio tradimento. Non riuscivo più a sopportare l’astinenza di affetto, di calore e di interesse che avrebbe invece dovuto darmi la madre dei miei figli. Il mio umore peggiorò, presi diversi chili. Dopo un’autoanalisi capii che avevo un malessere esistenziale dovuto al fatto che mia moglie non mi amava come desideravo. Immaginavo che a un marito, per essere amato, bastasse lavorare in maniera indefessa, non avere alcun vizio, fare il proprio dovere. Supponevo che, per avere una moglie devota come lo fu mia madre per mio padre, io facessi tutto il necessario. I miei genitori sono sempre stati per me un autentico e irripetibile esempio di amore coniugale. 

Non volevo gettare la spugna per niente al mondo, da bravo conservatore reazionario quale sono. Non vedo di buon occhio le famiglie di separati e tanto meno quelle allargate. Sapevo bene quali sono i danni sociali del divorzio e quelli emotivi arrecati ai figli. E, poi, la paura del fallimento e della solitudine erano troppo per me. Se questa era la mia croce, l’avrei portata.

Ma qualcosa dentro me stava cambiando… Ad esempio, non vedevo più con occhio schifato le peripezie fedigrafe di un collega, un traditore seriale. Anzi, empatizzavo pienamente con lui. Lo capivo. Il rapporto matrimoniale si era fatto sempre più teso. Decidemmo di comune accordo di rivolgerci a uno psicoterapeuta, ma gli effetti benefici delle sedute furono in realtà solo delle tregue. Io ero sempre più alterato, lei sempre più distante. Nei momenti di calma, non voleva neanche farsi sfiorare da me. Oltretutto, sospettava da tempo che rivolgessi attenzioni a terze persone.

Finimmo così in un circolo vizioso. Io ero arrabbiato perché non riscontravo collaborazione nella vita quotidiana e domestica, lei si chiudeva. Diventavo sempre più frustrato per questa situazione che speravo si sbrogliasse da sé, magari col tempo. Lei marcava sempre più le distanze, fino ad arrivare al punto di voler dormire in un’altra stanza.

Un giorno di un periodo particolarmente deprimente, mi chiese la separazione. Mi disse che non provava più amore per me, che non ce la faceva, che si sentiva oppressa dal sottoscritto. Voglio precisare che ho la mia dose di colpe. Sono stato verbalmente aggressivo, anche se non le ho mai usato violenza a livello fisico, neanche nelle situazioni più esasperate.

Il mondo, comunque, mi stava cadendo addosso. Per la prima volta, realizzai che stava succedendo anche a me. Mi sarei separato. Cercai di farla ragionare, di concedermi del tempo. Provai pure a smussare alcuni angoli del mio carattere troppo duri. Mi impegnai, ma non servii a nulla. La mia immagine ai suoi occhi era totalmente compromessa. Lei non era più in grado di amarmi. Me ne feci una ragione. Sapevo che, statistiche alla mano, i figli di divorziati come lei hanno grandi probabilità di finire a loro volta per ripetere le gesta genitoriali. Non credevo più nei miracoli e, a dirla tutta, non la amavo più neppure io. Amavo l’immagine che avevo di noi, di una bella e dinamica famiglia giovane, senza problemi economici o di altro genere. Ma, così non era. Io ero cambiato e lei a sua volta.

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Nel frattempo, a onor del vero, perfino la società era mutata. Cosa voglio dire con questo? Le giovani donne di oggi sono vittime di un’immagine dell’amore troppo idealizzata. Sitcom, social, canzoni sdolcinate alla Tiziano Ferro, libri di Moccia hanno fatto credere che l’amore sia bello, romantico e cool. Niente affatto! L’amore è un sacrificio immenso che la società attuale non è assolutamente in grado di sopportare. Oramai, temo esista solo una reciproca convenienza mascherata di buoni sentimenti. Quando questa viene a mancare, oppure si trova di meglio, si trasloca. L’amore come lo hanno conosciuto i nostri genitori, anzi i nostri nonni, non esiste più. Non può esistere. Devozione, visione comune, abnegazione sono scomparse perché si pensa che stare assieme debba essere necessariamente e per forza bello. Andatelo a chiedere alle vecchie generazioni se è così. Non voglio dire che si debba sopportare qualsiasi cosa tra le mura domestiche, ma le crisi odierne erano impensabili fino a cinquanta o sessant’anni anni fa. Ci si conosceva a quindici anni e si rimaneva insieme fino alla morte. Mi viene da ridere a pensare che, adesso, invece, a quindici anni hanno preso più falli che altro. La società occidentale non ha gli strumenti per credere in nulla, a meno che non sia una strampalata idea di libertà progressista basata sull’egoismo – figuriamoci se l’amore più autentico può trovarvi spazio.

Per chiudere, direi che oggi come oggi va assolutamente evitato il matrimonio e il mettere al mondo dei figli. Da maschi, non ci resta se non coltivare noi stessi. Ritorniamo a scoprire l’amicizia virile, la mascolinità, l’avventura, le passioni. Non caghiamole le donne, non paghiamo più un cazzo per loro, non portiamocele dietro in moto, non coinvolgiamole nelle “cose” che ci riguardano. Chissà che magari queste bambine viziate tornino ad ammirarci come una dama del Medioevo ammirava il suo cavaliere.

Con affetto

L.M 

12 commenti su “LA LETTERA – “NON SPOSATEVI. IN OCCIDENTE, È UNA FOLLIA”

    1. Caro Guido, noi speriamo solo che sia un blog portato avanti con intelligenza e libertà. Se ha delle critiche da muoverci, che siano circostanziate almeno, perché quello che ha scritto non vuol dire assolutamente niente.

    1. Signora, se lei pensa questo, è meglio che vada in cura da uno psicoterapeuta per un disturbo paranoide. Con affetto, Matteo Fais

  1. Le esperienze personali, come questa, sono interessanti in quanti tali. Tuttavia, pur apprezzando e riconoscendo il valore dell’interpretazione individuale rispetto ad alcune dinamiche che si credono generalizzabili, devo dire che l’idealizzazione di una fantomatica “età dell’oro”, per quanto riguarda i nuclei famigliari, lascia il tempo che trova. È fin troppo evidente che chi ricorre a questi modelli lo fa assumendo comr riferimento il suo modello di famiglia nucleare, che è tipico della nostra contemporaneità ma non di quella dei nostri antenati. Non vi è poi mai una riflessione sulla qualità delle relazioni e sulla qualità del vissuto personale di quelle relazioni. Il focus è sempre sulla durata, ma la durata di un rapporto può non significare proprio nulla. Lo stesso concetto di amore viene inoltre narrato come immutabile, spesso come un concetto destoricizzato…che non è. L’amore è un costrutto anche culturale. Comprendo la necessità di cercare modelli nella storia, ma le motivazioni relazionali vanno trovate soprattutto in se stessi e non negli altri attraverso schemi e modelli a noi più o meno congeniali. Una Educazione affettiva risulta a mio parere essenziale

  2. Ma anche no.
    Il fallimento del proprio matrimonio ( triste, ma può capitare ) preso a pretesto per attaccare la donna attuale, anzi le bambine viziate. Come no
    Con affetto, Marcella

  3. Triste ed ennesima conferma della Redpill. E che le donne commentino banalmente tirando in mezzo la misoginia (e nulla dicono sulla figura della lei che è comunque il 50% della situazione problematica illustrata) ne è la controprova. Strano ancora non sia comparso alcun riferimento al patriarcato.
    Comunque la degenerazione della malattia mentale chiamata “femminismo” sta scadendo nel parossismo. Il riflesso che porta a vedere misoginia là dove un uomo e padre parla con rammarico del fallimento del proprio matrimonio fa impallidire quello che in URSS portava a definire “nemico del popolo” chi raccontava barzellette politiche.

  4. Un uomo e un padre parla con rammarico del suo matrimonio, facendo della sua esperienza un pretesto per mettere all’indice le donne tutte: questo non lo aggiungiamo?
    ” Ai maschi non resta che coltivare se stessi” ” Non caghiamole le donne, non paghiamo più un cazzo per loro ” E la precisazione sull’Occidente, poi, è impagabile e fa capire tutto. Il modello da seguire in ambito familiare sarebbe il modello Islam , magari? E allora sì che sposarsi sarebbe una follia. Per le donne, però.
    PS: giusto per precisare, non sono né femminista, né maschilista. Sono per i diritti umani.

    1. Lei scrive di essere dalla parte dei diritti umani, ma il suo commento ne viola uno su tutti: la libertà di pensiero.
      Non aggiungo altro, preferisco “coltivare me stesso” piuttosto che perdere ulteriore tempo con la sua slealtà intellettuale.

      1. Avere libertà di pensiero non significa che dobbiamo sottostare ad un pensiero unico.
        Io non vieto ad altri di pensarla come vogliono ( sarebbe anche impossibile tra l’altro ), e non vedo il problema se dico la mia.

  5. Quando le donne italiane riconosceranno i danni sociali prodotti dalla loro cosiddetta emancipazione sarà sempre troppo tardi. Ad iniziare dalla deresponsabilizzazione assoluta, che punta il dito contro il maschio sempre e comunque e depura da ogni ombra il ruolo della donna, per nascita vittima del “patriarcato”.

    1. Certo, von Moltke: noi Italiane siamo delle viziate finto-emancipate perché magari dalla vita pretendiamo un po’ in più che fare la moglie e la madre e la donna di casa.
      A scanso di equivoci, anch’io sono per il rispetto dei ruoli fra uomo e donna, non credendo che maschio e femmina siano uguali. Non sono però per un ritorno alla società anni 30, a quanto pare modello a cui si ispirano molti.

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