Il Detonatore

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L’EDITORIALE – LA CONTROCULTURA DI DESTRA? ORRIBILE COME FRAU BLÜCHER – (di Davide Cavaliere)

Il progressismo avanza come un carrarmato, inarrestabile e travolgente. La sinistra, con un enorme investimento nell’industria culturale, ha conquistato il monopolio del senso comune. Ha realizzato la gramsciana “egemonia culturale”. È un fatto risaputo e ripetuto fino alla nausea. Ciò è avvenuto anche perché la destra ha disertato il campo della cultura, soprattutto in Italia. Le “cultural wars” sono un fenomeno americano, qua non c’è stata alcuna battaglia, ma solo la sinistra che occupava posizioni e la destra che gliele lasciava.

Da alcuni anni, il variegato mondo della destra, resosi conto dell’errore, ha tentato di recuperare il tempo perduto. Il risultato è stato disastroso. Non si è andati oltre l’esposizione delle salme degli autori canonici del neofascismo – i vari Mishima, Hamsun, Jünger, Céline, Degrelle – né più in là delle candele funebri collocate ai piedi del busto marmoreo del Duce o della nostalgia per i Campi Hobbit. L’unica novità consiste nell’aver dato a tutta la stantia e ammuffita retorica fascistoide una verniciata marxista e rivoluzionaria. Per cui, oggi, è possibile rinvenire dei “camerati” che ricusano i “compagni” di non essere abbastanza “di sinistra”.

La destra alternativa e “culturale” ha riproposto la brodaglia antimodernista delle camicie nere e brune, con un’aggiunta di rosso e verde islamico.

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Come mentore e messia si sono dati un barbuto russo che risponde al nome di Alexander Dugin. Teorico della cosiddetta “Terza Via”, che nulla ha a che fare con Tony Blair, quanto piuttosto con l’idea di Terza Roma in chiave euroasiatica. Dugin è un assemblatore di pezzi di cadaveri ideologici, taglia e cuce insieme tanta roba, Heidegger con Evola, insieme a Marx e Lenin, Marinetti e Gesù Cristo. Non c’è nulla che non concorra a formare il Frankenstein duginiano, salvo i pensatori liberali.

Dugin ha la barba lunga e folta, vorrebbe fondere in se stesso Platone, Dostoevskij e Stalin, ma il risultato è una patacca da gettare nel bidone dell’umido.

Come eroi meno intellettuali e più militari hanno scelto Vladimir Putin e Bashar Assad, ritenuti difensori della cristianità e purificatori dell’Occidente corrotto e “neoliberista”. Anche l’Iran è amato, perché i fasci “nuovi”, come quelli di settant’anni fa, sono sensibili alle genealogie e alla purezza del sangue. Gli iraniani sono “ariani” come gli europei, fratelli di sangue e di stirpe.

I veterofascisti e i neofascisti hanno ancora nelle orecchie le parole di Ardengo Soffici: “L’Americanismo è la peste che avanza volgarizzando, rimbecillendo, imbestialendo il mondo, avvilendo e distruggendo alte, luminose, gloriose civiltà millenarie”. Tutto ciò che arriva dagli Stati Uniti, comprese le novità in campo conservatore, vengono respinte con battute su “Chicago città del maiale”.

L’altro grande collante è l’antisemitismo, declinato più o meno negli stessi termini del “recentissimo” Giovanni Preziosi. Incapaci di andare oltre le vignette di Der Stürmer, perseverano nel presentare gli ebrei e il sionismo come elementi della dissoluzione morale. Sono, ovviamente, incapaci di vedere in Israele un modello di Stato nazionale, dunque continuano a sproloquiare di “finanza ebraica”.

La combinazione di antiamericanismo e antisemitismo conduce la destra “non conforme” verso lidi musulmani. Non vogliono la moschea nel loro quartiere, ma divorano libri sulla tradizione islamica. Il nazista Pio Filippani-Ronconi è il guru di questa versione cameratesca degli hippy sedotti dall’Oriente.

La destra, negli ultimi anni, non è riuscita a far altro che frullare estetismo rivoluzionario, esoterismo, suggestioni da avanguardie del primo Novecento, esotismo e mussolinismo d’accatto. Un pasticcio informe che, non solo non è utile ad affrontare il progressismo imperante, ma che spinge la destra sempre più nella zona del ridicolo e dell’impresentabile. Abbandonare tutto il suddetto ciarpame è, quanto mai, necessario.

 Davide Cavaliere

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