Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – LEGGERE ORIANA FALLACI A SCUOLA? MAGARI! – LA PROPOSTA DELLA LEGA COMMENTATA DA MATTEO FAIS

Valorizzare un essere umano solo perché ha un buco in mezzo alle gambe che conduce, a mezzo di un canale sordido e umido, a un utero, è da dementi, cioè da sinistri. Riconoscere a una creatura incidentalmente nata femmina i suoi meriti è dovere e onestà intellettuale.

No, non esistono donne abili in quanto donne. Anzi, francamente, la maggior parte non servono a un cazzo – proprio come gli uomini –, o servono unicamente al cazzo. Anche per questo, distinguere tra scrittrici e scrittori, giornaliste o giornalisti, è pura idiozia. Esiste solo gente che sa scrivere e altra destinata a riempire lavatrici o fare bricolage nel tempo libero.

Oriana Fallaci – i cui libri la Lega vorrebbe imporre come lettura scolastica obbligatoria –, per intenderci, non era una giornalista e scrittrice, ma semplicemente una penna superiore, toccata da una grazia normalmente irraggiungibile. La sua prosa scorre tersa, lineare e diretta come uno sparo in pieno volto. E ogni sua sentenza è un uomo morto, disteso esangue a terra; un proiettile che incide la carta, ma sa muovere a pietà.

Ho amato molto la Fallaci – che io, tra me e me, chiamo confidenzialmente Oriana. L’ho letta – non tutta – con l’avida curiosità di chi cerca di imparare a ogni costo dai grandi. L’ho apprezzata sul piano umano, perché non si è mai fatta schermo del fatto di essere donna per farsi apprezzare o rendersi inattaccabile. Ma, più di tutto, è stato scorrendo le sue pagine che ho capito di avere a che fare con una vera e propria maga della scrittura.

Tutto per me è cominciato con il suo testo forse più famoso, Lettera a un bambino mai nato: “Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata”. Sono rimasto fulminato. Una scossa da molti megavolt ha agitato i miei sensi. In quelle poche righe dell’incipit c’era la verità del vissuto, espresso senza infingimenti e bizantinismi – “niente trucchi da quattro soldi”, avrebbe detto Raymond Carver . Chi sa realmente usare la penna non necessita di nascondersi dietro periodi fumosi, espressioni roboanti, avvitamenti mortali delle righe. Lei non ne aveva bisogno. La sua grandezza era forza e semplicità, ritmo serrato della punteggiatura, violenza del sentimento che diviene ostinata determinazione nel mettere giù i periodi. Non c’è proprio niente da nascondere, solo da urlare fuori dai denti, trovando il coraggio di una parola universalmente comprensibile.

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Poi, parallelamente, dovendomi cimentare a mia volta nell’impresa, ho apprezzato anche l’Oriana delle riviste, che io ho letto successivamente, nelle raccolte dei suoi vecchi articoli. È a lei che debbo se qualche volta ho portato a casa una buona intervista. La sua lezione è stata fondamentale, impagabile. La mia preferita è quella che vede come antagonista Giulio Andreotti. Inutile dirlo, è stata una sfida tra titani. E che ritratto dell’Onorevole più oscuro d’Italia: “Se ne stava tutto inghiottito in se stesso, con la testa affogata dentro la camicia, e sembrava un malatino che si protegge da uno scroscio di pioggia rannicchiandosi sotto l’ombrello, o una tartaruga che si affaccia timidamente dal guscio. A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza. L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arrotolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso modesto e pieno di concretezza. Il suo humour era sottile, perfido come bucature di spillo. Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampillavano sangue e ti facevano male”.

Magari una così la insegnassero a scuola! Forse qualcuno, tra i banchi, smetterebbe di annoiarsi. Forse qualcun altro capirebbe cosa vuol dire scrivere, aggredire la pagina bianca per vincere la resistenza della realtà a farsi concretizzare in parole dense della sua atrocità.

Ma Oriana non ci arriverà mai in quelle aule sorde e grigie, malgrado l’ottima proposta della Lega. Lei era indipendente, libera, mai organica troppo per la nostra masnada di insegnati-burocrati. Che poi – scusate la battuta –, ma ve l’immaginate come si sentirebbe un ragazzino spaventatissimo per il covid al pensiero di una giovane ragazza che girava, impavida e non curante, tra pallottole, morti e ammazzati, fra una guerra e l’altra, in giro per il mondo? No, Oriana non è da antologia scolastica. Al Sistema servono impauriti e senza palle, animaletti da lockdown. Del resto, una scrittrice con i coglioni, probabilmente, non farebbe per i giovani d’oggi.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. Da ottobre, è nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

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