Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

LE CENSURE SOCIAL E LA NECESSITA’ DI UN SOVRANISMO INFORMATICO (di Franco Marino)

Da qualche giorno i miei articoli sul Detonatore hanno visto la propria visibilità crollare. Sarebbe teoricamente presuntuoso da parte mia tributarlo a Facebook. Può anche darsi che io non sappia più scrivere, che quel che scrivo non è più appetibile. Cosa che sarebbe vera se il disinteresse fosse confermato anche quando scrivo su Facebook. Ma poichè – e di questo vi ringrazio di cuore – continuate ad affollare i miei post, è evidente che ci sia qualcosa che non va e che Facebook abbia penalizzato questo sito.

Non faccio drammi. Facebook non è un’istituzione democratica, è un’azienda privata che applica le regole archetipiche di un’azienda privata. Spesso, come quando banna chi esprime opinioni fuori dal coro liberalprogressista o come quando scheda in massa gli iscritti ad un partito di destra radicale, si pone al di fuori della legge. Ma che voglia penalizzare chi porta visite fuori dal suo spazio, può infastidire o meno ma resta una regola tutto sommato logica.
Contro le prepotenze dei social esiste una sola arma: farsi un social network per conto proprio. Ma le difficoltà non mancano. Intanto, questo è il paese antimprenditoriale per eccellenza, poi c’è sempre il fatto che, come la vicenda di Berlusconi insegna, quando qualcuno crea qualcosa di grosso e di italiano, magicamente la magistratura e la stampa scandalistica si ricordano di quella volta che ti hanno beccato a scuola a metterti le dita nel naso. Tutto per convincere gli eventuali iscritti alla nuova comunità, che il suo capo sia sostanzialmente uno psicopatico di cui diffidare. Questo quando va bene. Quando va male, si riuniscono un paio di prostitute dei servizi segreti sul pianerottolo di casa e il capo magari si ritrova accusato di stupro.

Insomma, chiunque volesse aprire un social network – ma in generale un’impresa in un settore dove gli americani non tollerano concorrenti – andrebbe incontro a rogne. E questo è il primo punto.
Partiti come Casapound e Forza Nuova propongono le ricette stupide di sempre: il social network di stato, il ban di Facebook dal suolo italiano. Non rendendosi conto che quando la maggioranza politica è del partito avverso, poi anche il social network di stato inizia con i ban e con le censure. Con la differenza che magari quel ban viene anche deviato a qualche corpo di polizia.
Non se ne esce se non incentivando l’iniziativa privata e fare in modo che quando esce fuori un social network italiano, questo venga protetto e coccolato, anzichè cercare di rendergli la vita difficile.

Il secondo punto è che Facebook è un social network americano. In quanto tale esprime le tendenze di un popolo, quello americano, ben lontano dalle immagini che ci siamo costruiti o, per meglio dire, costruite da Hollywood.
La società americana è paragonabile ad un’orchestra musicale, dalla quale lo Zio Sam ha sovrapposto su se stesso l’idea che la libertà sia suonare strumenti diversi e non, invece, musiche e spartiti diversi.
Nella concezione distopica della libertà tipica degli americani – e lo abbiamo visto in occasione delle statue abbattute – si può dire solo ciò che è consentito dallo spartito della società. Se già qualcuno proponesse, per dire, un cambiamento epocale del tipo di società americana, verrebbe rapidamente ridotto all’irrilevanza.
In quanto tale, le censure di Facebook rappresentano una condizione inevitabile perchè figlie di una società, quella americana, che mentre a parole dice di lottare per la libertà, nei fatti fa in modo che di quella libertà goda solo chi suona lo spartito predefinito.
Mi fa ridere che a parlare della pericolosità della Cina – che peraltro non mi sogno di negare ma almeno la Cina non si vende come democrazia e tempio della libertà – sia gente che ogni giorno viene bannata da un social network americano.

La decisione del nostro Gran Mogol Fais è lodevole e coraggiosa. Ma completamente inutile.
Intanto perchè la magistratura italiana non ha alcun potere sulla società americana. Una volta che la magistratura ha deciso che Fais, io, Cavaliere e altri dobbiamo essere bannati, un magistrato può anche dire “riabilitateli”. Zuckerberg dice no e a quel punto ce la vedo la magistratura ordinare sanzioni contro un social network che oltretutto, controllando i log e gli accessi ai server, può tranquillamente inventarsi che Fais non sia stato bannato per le sue idee. Magari, possono anche inviare messaggi col suo account e dire “Lo abbiamo sospeso perchè incitava allo stupro delle marmotte della Papuasia”. A quel punto, non solo Fais rischierebbe di vedersi dare torto ma anche di pagare le spese legali.
Quando la povera Tiziana Cantone si uccise per via dei famosi video porno diffusi nel web, la giustizia italiana condannò Facebook ma impose che le spese legali le pagasse la povera giovanotta. Cornuta e mazziata.

Tradotto, contro un social network che, per quello che oggi è e rappresenta, per le iniziative che ha in atto, è quasi – e forse senza quasi – uno stato digitale a tutti gli effetti, l’unica alternativa è creare un altro stato digitale.
Io ci sto provando. Completamente abbandonato da uno stato che prima mi impone di pagare tasse su tasse ma poi non fa nulla per incentivare la mia creatività. E se scrivo questo, non è per fare inutili pietismi. Ma per sollevare una questione che nell’era del ritorno di fiamma dei sovranismi – peraltro puramente cosmetici – sembra completamente dimenticata. Quella di una sovranità informatica.
Forse è giunto il momento che prima ancora dell’italianità della caciotta, ci si occupi anche della necessità di creare un Internet italiano.

FRANCO MARINO

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