Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – L’OMICIDIO DI LECCE COME TRISTE FRUTTO DELLA SOCIETÀ COMPETITIVA E DELLA LIBERA(LIZZA)ZIONE SESSUALE (di Matteo Fais)

Provate a immaginare. Siete seduti al tavolo di cucina, con la vostra ragazza, e state cenando, quando entra il vostro ex coinquilino. È armato. Ha una sola intenzione: farvi fuori entrambi. Ha pianificato il tutto da tempo… Potremmo già fermarci qui. La maggior parte degli italiani sicuramente l’ha fatto. Alla massa basta poco: il bene da una parte, il male dall’altra – manicheismo da esseri non pensanti, come in effetti gli italiani sono. Da un popolo di gente che non legge non ti puoi aspettare capacità di analisi, né tantomeno ricerca delle motivazioni profonde di un evento. Loro si soddisfano con l’indignazione a buon mercato e scrivendo sui social “Bastardo, devi morire”, “Spero che in carcere ti inculino”. Per questo, gli basta la cronaca.

Un essere dotato di cervello, invece, che fa? Indaga, considera i fatti entro il contesto antropologico e culturale in cui si sono verificati. Niente avviene nel vuoto cosmico, ma in un tempo e in uno spazio, entro una certa civiltà. Niente è slegato: ogni effetto è sua volta causa di qualcos’altro.

Antonio De Marco, l’assassino

Prendiamo adesso questo ragazzo, Antonio De Marco, l’omicida. Per un attimo, però, provate a considerarlo prima che portasse a termine questo efferatissimo atto. Antonio è un ragazzo come tanti – chi potrebbe giurare di non esserselo trovato a fianco, stamane, al bancone del bar, mentre faceva colazione? Su di lui grava appunto questa condanna: essere uno qualunque. Né bello né brutto, né particolarmente dotato né totalmente incapace. Studia Scienze Infermieristiche, come tutti quelli che, in un paese di disoccupati, sperano di trovare un lavoro quanto prima, dopo la laurea. Non ha mai avuto particolari ambizioni, se non quella di una vita tranquilla: un’occupazione, magari una famiglia, dei figli. Ma tutto ciò – Antonio lo sa bene – gli sarà presumibilmente negato. Infatti, già adesso, a ventun’anni, non ha mai avuto una ragazza. A dirla tutta, le donne non se lo sono mai filato e lui ha sviluppato un’insicurezza che lo paralizza al cospetto di qualsiasi rappresentante dell’altro sesso. Da universitario, è andato a vivere in casa con uno sconosciuto, Daniele De Santis, un ragazzo decisamente più bello e sicuro di sé, che infatti è fidanzato con una coetanea simpatica e carina, Eleonora Manta. Lui li osserva. Spesso mangiano insieme. Sembrano felici. Lei lo riempie di attenzioni, lo guarda come lui non è mai stato guardato da nessuna. È allora che Antonio comincia a programmare la sua rivincita – non tanto contro l’altro ragazzo, ma contro il mondo…

Ecco, questa è una vaga idea di come si analizza il mondo. Non dividendolo in buoni e cattivi, ma capendo che il male quasi mai è un gesto avulso da una congerie antropologica e sociale. Antonio De Marco non è un mostro, ma il figlio di una realtà che si è fatta sempre più competitiva – ferocemente competitiva. Il lavoro che manca, mentre i soldi si concentrano nelle mani di pochissimi, e la soddisfazione emotiva che si è fatta sempre più difficile per tanti uomini in un regime sessuale liberalizzato – attenzione, non libero, ma liberalizzato. È normale che qualcuno non regga allo stress psicologico ed esploda. Per uno che, nella sua situazione, diventa Woody Allen e scrive Provaci ancora, Sam, ventimila marciscono nella frustrazione, e qualcuno semplicemente perde il controllo.

Antonio era chiaramente un ragazzo che viveva nel disagio, un disagio che oggi nessuno vuole vedere. “Li ho uccisi perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia”, ha dichiarato il ragazzo, arrendendosi immediatamente e con rassegnazione ai carabinieri che sono venuti a prenderlo. E non c’è da stupirsi: la felicità altrui, in un mondo in cui questa è continuamente promessa da politici, opinionisti, e da tutto il mondo dell’intrattenimento, offende e fa male, soprattutto se ci si rende conto che probabilmente non ci riguarderà mai. Antonio ha addirittura rinunciato alla speranza del futuro. Pensate quanto poteva apparirgli roseo l’avvenire, se ha preferito prendersi la soddisfazione del sangue, invece che attendere una presunta gioia a venire.

“Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine”.

Michel Houellebecq,
Estensione del dominio della lotta, Bompiani

Questo è un mondo in cui non si può perdere, eppure, oggi come oggi, persino guadagnarsi una vita normale da impiegato delle Poste sembra un’impresa epica. La solitudine della tanto decantata società globale è assoluta. Puoi farti le seghe guardando una cinese che scopa con un nero a Los Angeles, ma arrivare vergine a trent’anni. Chiaramente, tale situazione affettiva e lavorativa tocca in massima parte i giovani maschi che sempre più spesso finiscono per ingrossare le fila dei cosiddetti “scoraggiati”, ovvero coloro che oramai non cercano più un’occupazione, e gli “hikikomori”, quelli che rifiutano qualsiasi forma di vita sociale e si chiudono in casa senza mai uscire.

Senza la pretesa di essere all’altezza del sommo maestro Houellebecq, ho raccontato il mondo degli “scoraggiati” con questo romanzo, uscito per Robin, Storia Minina, e temo – tristemente – di essere stato anche l’unico a farlo, in Italia. Purtroppo, per la maggior parte, la letteratura dello Stivale, oggigiorno, si occupa di cazzate. Comunque, potete leggere anche il grandissimo Giuseppe Culicchia, il primo nel nostro Paese a raccontare la figura del precario, in Tutti giù per terra.

Secondo alcuni, questa società sarebbe da perseguire. Continuino pure a pensarlo, ma sappiano una cosa: episodi come quello di Lecce saranno sempre più frequenti.

Matteo Fais

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L’AUTORE

MATTEO FAIS nasce a Cagliari, nel 1981. È scrittore e agitatore culturale, fondatore, insieme a Davide Cavaliere, di “Il Detonatore”. Ha scritto per varie testate (“Il Primato Nazionale”, “Pangea”, VVox Veneto”). Ha pubblicato i romanzi L’eccezionalità della regola e altre storie bastarde Storia Minima, entrambi per la Robin Edizioni. Ha preso parte all’antologia L’occhio di vetro: Racconti del Realismo terminale uscita per Mursia. A ottobre, sarà nelle librerie il suo nuovo romanzo, Le regole dell’estinzione, per Castelvecchi.

4 commenti su “L’EDITORIALE – L’OMICIDIO DI LECCE COME TRISTE FRUTTO DELLA SOCIETÀ COMPETITIVA E DELLA LIBERA(LIZZA)ZIONE SESSUALE (di Matteo Fais)

  1. Dunque l’assassino aveva un motivo valido per ucciderli? Il fatto che egli non avesse mai avuto una ragazza giustifica il suo atto efferato? Bisognerebbe addirittura provare compassione per lui poiché stava vivendo un disagio? Ma lei è serio? Crede di essere il profeta del piffero? Le assicuro che ci sono molti disagiati, nonostante a loro non manchino affatto le occasioni per scopare. Avere a disposizione qualcuna con cui poter soddisfare i propri impulsi sessuali non significa alcunché. Il disagio permane, anche dopo le scopate. La sua è un’analisi pessima, mi creda.

  2. Analisi complessa e articolata ma semplicemente secondo me era ed è un disagiato mentale e omicida …..neanche da perderci troppo tempo in formulare ipotesi ergastolo ..e se ci fosse pena di morte

  3. “Puoi farti le seghe guardando una cinese che scopa con un nero a Los Angeles, ma arrivare vergine a trent’anni”
    Bella questa frase, rappresenta sinteticamente il fallimento della liberazione sessuale.

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