Il Detonatore

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DA MUSSOLINI A SALVINI, IL BISOGNO DELLA SINISTRA DI TROVARE UN NEMICO DA ODIARE (di Franco Marino)

Chiunque abbia avuto nella sua vita la malaugurata idea di esporre le proprie opinioni politiche – e nel frangente, opinioni non allineate – sicuramente sarà incorso nei due minuti d’odio, di orwelliana memoria, della sinistra. La cosa più sconcertante è che, mano mano che gli anni trascorrono, più la sinistra perde, più radicalizza la propria antipatia e la propria convinzione che chi non beva le sorsate del propinato rosso sia un mafioso, un disonesto, un fascista. Da appendere a testa in giù.

Le spiegazioni al fenomeno sono numerose. La prima è di carattere intellettuale: il socialismo è figlio dell’idealismo ottocentesco, una fase del pensiero che si è basata sul concetto ora attribuito a Hegel, ora a Lenin che “se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà”.
La realtà della natura umana non vede nessun uomo rinunciare a parte del proprio bottino per un cacciatore che non lo ha meritato. Ma ecco che la sinistra vede nella “redistribuzione” la risposta alle diseguaglianze di una società ove non ci si rassegna al fatto che c’è il più bravo e il più forte e quello che bravo e forte non lo è affatto.
Come non bastasse, il socialismo è una dottrina perfetta per attrarre i perdenti, perchè li convince che la colpa della propria povertà non risiede nella propria inadeguatezza ma nella ricchezza del rivale. Naturalmente, quando un gruppo di potere promette una palingenesi che punisce quei cattivoni dei ricchi, a quel gruppo i poveri tributano un consenso incondizionato perchè non li costringe a guardarsi dentro se stessi e dentro i propri limiti.
Le tendenze cambiano, oggi il socialismo è molto meno “reale” del passato e lo stesso PD, che pure vanta come progenitore il PCI, non si sogna minimamente di riproporre lo stalinismo economico. Del metodo stalinista rimane tuttavia la forma politica, la presunzione di rappresentare la verità, la misurazione dei diritti e dei doveri in base alla collocazione politica di colui che, di volta in volta, viene “processato” dai tanti “tribunali di popolo” creati dalla sinistra. Nelle TV, nei giornali, nelle aule giudiziarie e, oggi, nei social media.
E dal momento che Gramsci, sin dagli albori, predicò la necessità di infiltrarsi nei gangli della società, ecco che oggi la sinistra è ovunque. Nelle scuole, nei tribunali, nella Pubblica Amministrazione, nella cultura, nell’arte. E ovunque porta i semi della propria intolleranza, ora pomposamente culturosa e sussiegosa, ora violenta e aggressiva. In ogni caso, creando una cappa irrespirabile per chiunque sia abituato, per natura, a pensare liberamente.
Questa mentalità, coniugata con la superiorità sociale e mondana dell’Italia del Rinascimento, ha spinto il modello ideale dell’italiano – il Cortegiano di Baldassarre Castiglione – a sentirsi superiore a chiunque non abbia i suoi stessi ideali e la sua stessa eleganza. Chi fa dei calcoli, chi è interessato al denaro, è inferiore. Il vero signore a queste cose non bada. La regina d’Inghilterra ha la sua faccia su tutte le banconote ma non una di quelle banconote si troverà mai nella sua borsetta.
Naturalmente, dal momento che natura non facit saltus l’uomo di sinistra rimane un uomo, e dunque sarà avido di denaro come tutti ed anche peggio, perché di suo ci metterà l’arroganza. La sua ipocrisia lo obbligherà a nasconderlo e a mantenere un atteggiamento superiore, nobile e generoso, quando si tratterà di programmare spese altrui, cioè dello Stato, cioè dei contribuenti.
E il peggio non è questo. Se sull’uomo di sinistra l’influenza si fosse limitata alla religione e alla tradizione umanistica, forse avrebbe potuto rimanere benevolo e tollerante. Purtroppo il “genio” italiano – Dante lo spiega diffusamente e Guicciardini lo conferma – è caratterizzato dalla faziosità e dalla tendenza al “particulare”. Basti pensare a guelfi e ghibellini, fiorentini e pisani, meridionali e settentrionali, uomini di destra e uomini di sinistra. E soprattutto da questi ultimi nei confronti dei primi. Non perché essi siano particolarmente malvagi, ma tutto gli predica la loro superiorità morale. E infatti hanno la più cristallina buona coscienza. Essi non combattono gli avversari perché avversari, ma perché rappresentano il Male, mentre loro rappresentano il Bene.
Se a tutto questo si aggiunge la tendenza al conformismo, la volontà di mondarsi dalle colpe del fascismo, l’interesse (perché si è sostenuti dall’intellighenzia), lo snobismo, l’amore della sceneggiata, l’immoralità di fondo dell’italiano, l’uomo di sinistra appare come il ritratto di Dorian Gray meravigliosamente descritto da quel genio che fu Oscar Wilde. Bello da lontano ma di cui, da vicino, si scopre l’orripilante bruttezza.

Naturalmente, non pochi hanno osato contrapporsi all’idealismo della sinistra. Da Mussolini e la Chiesa sino a Salvini e Trump, passando per Berlusconi, Andreotti, Craxi, Putin. In qualche caso, uomini a loro volta imbevuti di cultura socialista ma pragmaticamente intinta nella salsa del liberalismo e dunque incompatibili col massimalismo di sinistra. A costoro è stato riservato non soltanto il disprezzo morale ma anche le intromissioni nella vita privata, l’uso della giustizia, le campagne denigratorie e in generale tutto il campionario di una corrente ideologica e culturale che non riesce a percepirsi se non in guisa di dogmatismo religioso, con una visione distinta tra il paradiso nel quale collocare i fedeli e l’inferno terrestre nel quale confinare tutti gli altri.
Qualcosa che in piccola scala ha visto il nostro direttore Fais minacciato da un gruppuscolo di bulli che probabilmente al suo cospetto non oserebbero neanche guardarlo negli occhi.
E, in grande scala, si è concretato nell’emersione di un’autentica mafia che da duecento anni minaccia la libertà nel mondo.

FRANCO MARINO

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