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L’EDITORIALE – IL MONDO PROPOSTO DAI PROGRESSISTI È BRUTTO (di Davide Cavaliere)

La bellezza è reazionaria, proprio come il Giusto e il Vero, e lo è in quanto assoluto. Il Bello non è relativizzabile. La natura umana concepisce come “bello” ciò che è armonico, ponderato, florido, misurato. “È bello ciò che piace” è una farsa consolatoria, una menzogna raccontata dai brutti ai belli. Esiste un senso estetico negli animali, che reagiscono a determinati colori e ornamenti. Il medesimo riflesso avviene anche negli esseri umani. L’evoluzione ci ha programmati per essere attratti da alcune caratteristiche dell’altro sesso. Grossomodo: gli uomini sono attratti da corpi sviluppati e rigogliosi, poiché indicano fertilità. Le donne da fisici saldi e forti perché garantiscono protezione.

Anche la cultura e la sensibilità individuale giocano un ruolo nella definizione del “bello”, così come le qualità intellettuali,  ma non ci distaccano troppo dal modo in cui Madre Natura ci ha plasmati. Dopotutto, il nostro senso estetico è rimasto pressoché immutato dai tempi della Grecia antica.

La nostra epoca denuncia i canoni estetici spontanei come prodotti del dominio maschile, quindi intrinsecamente oppressivi e, dunque, meritevoli di essere rivoltati. Il mondo della moda, avanguardia del progressismo, ha fatto suo questo programma da decenni. L’uomo delle strada è attratto da seni gonfi, culi pieni e cosce polpose. Allora, sulle passerelle, devono sfilare modelle magrissime, androgine, piatte, prive di curve e rotondità. Gli stilisti, sempre omosessuali, non sopportano i corpi languidi e burrosi delle femmine. Prediligono il fascino secco delle indossatrici russe o est europee, più simili a giovinetti che a ragazze. Le case di moda portano avanti il piano ideologico delle femministe e degli attivisti LGBT che consiste nel denaturalizzare il piacere estetico e il desiderio sessuale, dimostrando che sono il risultato di logiche sociali e imposizioni culturali.

I corpi promossi dal “Progresso” non hanno nulla di morbido, sensuale o vellutato. Non indossano più collant e giarrettiere, ma sono o longilinei e mascolini o tonici e atletici, corpi di donne e non di femmine. Figure spogliate di ogni animalità, ridotte ad attaccapanni per abiti che si fanno sempre più larghi e coprenti. Prototipi per adolescenti sull’orlo dell’anoressia. Il contraltare di questa spoliazione della femminilità è la volgarità. Molte ragazze si scoprono in maniera eccessiva, esagerata e, in fin dei conti, ridicola. I loro corpi completamente esposti non lasciano spazio alla fantasia, non solleticano l’erotismo, non accarezzano la cupidigia del sesso. La loro, rivendicata, assenza di pudore mina il magnetismo femminile. È proprio il pudore a essere il motore della smania sessuale, il celebre “vedo e non vedo”. È una mutazione che procede di pari passo con la castrazione dei maschi e la loro femminilizzazione, ovvero una omosessualizzazione neanche troppo velata.

La donna prospera e lussureggiante, ambita dal macho virile, è scomparsa insieme a quest’ultimo. Rimane la donna emancipata, tabagista, ansiosa, nervosa, in carriera e così via. Brutta, ma convinta di essere di una bellezza superiore, perennemente in cerca del “meglio per sé” che non arriverà mai.

Non sorprende che Gucci proponga come modella ideale la giovane Armine Harutyunyan. Essa rispecchia il modello di donna caldeggiato dall’androginia dominante: una ragazza livellata, mascolina e spigolosa. Lontana anni luce dalla florida corporeità di una Marylin Monroe. 

Il mondo che i progressisti stanno confezionando sarà brutto, terribilmente brutto, perché informe e confuso. Non ci saranno né maschi né femmine, il senso estetico naturale sarà vietato in quanto  “oppressivo” e “sessista”. Ci attende un futuro di manichini asessuati.

                         Davide Cavaliere 

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