Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

DONALD TRUMP FINITO? MA QUANDO MAI (di Franco Marino)

Tra qualche mese si rivota negli USA e Donald Trump, dato fino a qualche mese fa sicuro vincitore, appare ora in svantaggio su Joe Biden, sebbene si tratti di una distanza ancora rimediabile.
Premettendo che nel 2016 i bookmakers, clamorosamente smentiti, davano la vittoria della Clinton a 1,2 – una distanza di sicurezza confortante – che vi sia una sofferenza di Trump questo può sostanzialmente essere vero. L’opinione corrente è che abbia giocato contro di lui una gestione non perfetta dell’emergenza covid-19, ribaltando l’inerzia di una sfida elettorale che vedeva la sua rielezione fino a quel momento se non scontata ma quantomeno assai probabile.
Questo non è strano. Ha a che fare con la tela sottilmente intimidatoria che la macchina da guerra liberal, che negli USA controlla praticamente tutto, a partire dai mezzi di comunicazione, ha sempre tessuto in favore di chi si candidava per i DEM. Per Clinton e per Obama si sono spesi fior di comunicatori e chi è americano conosce i violini che Oprah Winfrey, personaggio molto versatile, è in grado di suonare per il candidato del partito democratico. Sulle prime questa martellante campagna può dare i suoi frutti, creando quell’unanimismo che è il tratto saliente della cultura liberal e che in Italia vediamo riproposta dal PD. Successivamente, quando le bugie iniziano a venir fuori, la strategia perde la sua efficacia propulsiva, i dissidenti che non accettano il propinato del regime aumentano e le voci ufficiali perdono la propria autorevolezza.

Oggi Joe Biden è in vantaggio e questo signore, da molti visto come una sorta di vecchio saggio – se eletto, con i suoi 78 anni sarà il più anziano presidente della storia degli USA – si comporta come se fosse già il futuro presidente. Apparendo così molto anziano ma assai poco saggio. Probabilmente dimentica che la politica occidentale, di cui gli USA sono indiscussi leader, si fonda oggi sullo scontro – esportato anche ai paesi alleati – tra categorie antropologiche del tutto incapaci di comunicare. Da una parte gli idealisti così presi da ideali universali da dimenticare le ragioni della middle class e della classe lavoratrice. Dall’altro il pragmatismo spiccio di un uomo come Trump che da uomo d’affari sa benissimo quanto la paura di perdere il proprio denaro faccia la differenza in cabina elettorale. L’emergenza covid-19 ha, senza dubbio, ottenuto nel breve termine il risultato di produrre una sostanziale disaffezione nei confronti di Trump, che pure ha commesso qualche imperdonabile gaffe. Alla lunga, però, se Biden proseguirà nella sua culturosa e tronfia arroganza, otterrà di riattivare negli indecisi lo stesso veleno che ha portato all’elezione di Trump. Provocandone la rimonta. Qualcosa che il suo amico Renzi potrebbe spiegargli proprio a proposito delle elezioni del 2006 che Berlusconi, contro ogni pronostico, di fatto “pareggiò”, condannando Prodi a due anni di inferno. Berlusconi, che di Trump è un antesignano – anche se, curiosamente, il Cavaliere ha sempre fermamente rifiutato questo accostamento – non fece nulla di particolare se non parlare alle tasche degli italiani. Promise (e quando due anni dopo vinse, mantenne) l’abolizione dell’ICI, i suoi giornali martellarono per mesi sulle magagne della sinistra con le banche e gli italiani un tempo perduti tornarono se non in massa, quantomeno in grande quantità con lui. Tra la sorpresa generale di una sinistra che, mesi prima, già esultava manco avesse stravinto. Che parlava di grandi principi mentre Berlusconi parlava ai piccoli principi

Tutto questo ha a che fare con l’incapacità da parte degli ideologi liberal, che puntano tutto sul controllo quasi militare dei mezzi di comunicazione, di capire che i media mainstream sono come Mike Tyson.
Spiego. Il pugile newyorchese ha costruito le sue fortune come pugile sulla capacità di demolire l’avversario con colpi potentissimi. A patto che vi riuscisse entro le prime 2-3 riprese. Se la contesa si allungava, Tyson andava in difficoltà e perdeva. Analogamente, il mainstream ha la capacità di demolire qualsiasi avversario con cazzotti di grandissima intensità. Ma se l’avversario rimane in piedi, perde progressivamente potenza e anzi ogni pugno, andando a vuoto, lo espone al rischio del contrattacco avversario.

Gli americani, non ancora ripresisi dalla botta covid-19, sono convinti che Trump abbia sottovalutato il virus, che abbia sbagliato a non fidarsi dei cosiddetti esperti, non gli perdonano le gaffe come quella, memorabile, della candeggina che iniettata guarisce il covid. Trump, da vecchio gatto sornione, prima sta facendo sfogare l’avversario, per poi progettare di demolirlo più in là con qualche gancio ben assestato. Strategia già riuscita con la Clinton. E arriverà infatti il momento in cui la sinistra, convinta di vincere, ripercorrerà qualche strada piena di mine. In quest’anno abbiamo visto la Warren promettere una moratoria su tutte le perforazioni in mare o in terra, cosa che avrebbe bruciato miliardi di PIL. Abbiamo ascoltato il fatuo Sanders, che già quattro anni fa si rese ridicolo proponendo di sequestrare i beni dei ricchi per risolvere i problemi dei poveri, e che quest’anno si è rinnovato minacciando di togliere il nucleare e infine Joe Biden preannunciare un futuro di auto elettriche, promettendo 2000 miliardi in quattro anni (facendo altri debiti e introducendo nuove tasse) per il clima, confermando dunque il vizio tipico della sinistra di concentrarsi sul canonico narcisistico umanitarismo globalista per poi far pagare il conto ai propri cittadini meno ricchi.

Il delirio ecologista è al centro del dibattito odierno, con in prima fila Greta Thunberg a recitare lo spartito climatologico. Che SE al radical-chic milionario americano, in grado di costruire attorno a sé un ambiente “ecologicamente profumato” attraverso acquisti e stili di vita mirati, appare come una bevanda al miele, di converso dal piccolo imprenditore, dall’allevatore e dal fattore del Michigan e dell’Ohio, viene visto come una damigiana di veleno, dal momento che temi come il clima, i diritti civili, la consueta demonizzazione di Putin e dunque la sottintesa pretesa di imporre al mondo i propri valori, avevano senso quando la sinistra DEM aveva tanta forza nelle braccia che avrebbe potuto schiantare chiunque, in patria e fuori.

Oggi però la sinistra è, ovunque, in così grave crisi di credibilità che neanche le difficoltà che il Satana di turno incontra in giro per il mondo, ottengono il risultato di riavvicinare gli americani alla sinistra. Donaldo Briscola potrà spiegare che sì, è vero, il covid-19 ha provocato morti ma mai come quelli che provocherà la crisi economica una volta che si scatenerà galoppante. Potrà dire di rappresentare la voce di tutto quell’elettorato che non ne può più della nauseabonda spocchia di sinistra. Potrà spiegare che se la sua è stata una presidenza con alti e bassi, è stato anche per colpa dell’eredità raccolta dal pessimo Obama e che, insomma, invece di tornare a votare Dem, forse è meglio farsi un altro giro con lui invece di farsi riempire di tasse da una classe politica che ha logorato gli Stati Uniti, che ha affrontato MALISSIMO la crisi finanziaria, che ha costruito una riforma del sistema sanitario senza nè capo nè coda – che lui invece ha abolito, tra gli applausi – e che ha aperto ben due guerre nelle quali gli americani si sono impantanati, compromettendo il loro prestigio nel mondo, per non parlare dei disastri combinati nel Nord Africa e nel Medio Oriente dove, grazie ad Obama, sono caduti regimi tirannici ai quali si è sostituito il caos. Se Trump resta in piedi di fronte alla potenza dei pugni liberal, una volta stancato l’avversario potrà partire in contropiede, colpire forte e fare molto male: cadere alla terza ripresa non è come cadere all’ultima. E già qualche accenno di rimonta si è visto nelle elezioni in Alabama, dove la vittoria repubblicana, in una regione tradizionalmente “blu”, dunque Dem, era tutt’altro che scontata.
La partita è ancora apertissima.

FRANCO MARINO

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