Il Detonatore

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“IL POLITICAMENTE CORRETTO MI FA VENIRE IN MENTE LA NEOLINGUA E LO PSICOREATO IMMAGINATI DA ORWELL”: GIUSEPPE CULICCHIA DIALOGA CON MATTEO FAIS INTORNO AL SUO NUOVO LIBRO

Di Giuseppe Culicchia, una cosa è certa: l’onestà. In ciò, poco ma sicuro, l’autore si distacca profondamente da tanti suoi colleghi impomatati di buonismo. Eppure, non è crudo, di rottura, neppure sboccato. Difficile pensarlo così, anche perché non cerca di vendere un personaggio mediatico e social paladino della scorrettezza. La sua opera è il suo messaggio, come in teoria dovrebbe essere per un autore la cui vita privata sta sempre un passo indietro rispetto a ciò che scrive.

E, infatti, per dire la sua in merito al dibattito che scuote il mondo occidentale, tra statue abbattute e asterischi a sostituire la desinenza maschile-femminile delle parole, scende in campo con un libro, E finsero felici e contenti: Dizionario delle nostre ipocrisie (Feltrinelli). Il testo in questione è un vero e proprio abbecedario per fare il punto nel bel mezzo del delirio. Una volta che la follia politicamente corretta risulta ordinata sistematicamente, alla stregua delle voci di un dizionario, la risata è assicurata come al cospetto del re nudo. Culicchia lo fa con quella sua aria pacata, poco incline alla spettacolarizzazione, ma in modo implacabile. Il risultato è deflagrante: siamo diventati ridicoli e dobbiamo prenderne atto. 

La cosa che non deve passare inosservata è che l’autore di Tutti giù per terra non è certo un intellettuale di Destra, per cui la denuncia delle pazzie semantiche è quasi una strada obbligatoria – vedendone alcune e tralasciandone altre. Lui ne ha per tutti, da Destra a Sinistra. Decisamente, la sua onestà è qualcosa che gli altri si sognano e che tutti dovremmo prendere ad esempio.

La copertina dell’ultimo libro di Giuseppe Culicchia

Giuseppe, in molti parlano dei danni causati dal politicamente corretto, ma io credo ci sia un quesito fondamentale inevaso da cui partire per analizzare la situazione: come siamo arrivati a questo punto? Tu sapresti ricostruire, in breve, la storia che sta dietro una simile degenerazione?

La prima edizione del libro La cultura del piagnisteo, di Robert Hughes, risale al 1993. Come previsto dal suo autore, le cose nel frattempo sono peggiorate: il bigottismo progressista, che è fin dagli anni Sessanta all’origine dell’ossessione per il politicamente corretto, pare più vivo che mai. Se ieri il capitano Achab veniva accusato di avere un atteggiamento scorretto nei confronti delle balene, oggi si abbattono le statue di Cristoforo Colombo. Nel mezzo tutta una serie di eventi che sarebbero solo comici, se non fossero anche pericolosi: dal divieto di leggere Le avventure di Huckleberry Finn in tante università americane, con l’accusa di razzismo nei confronti di Mark Twain (perché Huckleberry adopera la parola “negro” riferendosi allo schiavo fuggitivo Jim; roba da matti: quale altra avrebbe dovuto adoperare, all’epoca? Per non parlare del fatto che Twain fu convinto abolizionista, e disertò per questo l’esercito confederato poco dopo lo scoppio della guerra civile) all’espulsione di Martina Navratilova dall’associazione delle tenniste LGBTQ, in seguito alla sua dichiarazione secondo cui la competizione tra tenniste donne e transgender non sarebbe equa. Da notare che la Navratilova, nove volte vincitrice a Wimbledon, è lesbica dichiarata, peraltro in un’epoca in cui fare outing non era affatto scontato. Sta di fatto che siamo ormai in presenza di un vero e proprio fenomeno tribale, almeno nelle forme in cui si esplicita sui social. Tutto deve essere politicamente corretto: dai comportamenti sessuali al modo di parlare, dai gusti letterari alle modalità attraverso cui ci si esprime attraverso la scrittura. Siamo arrivati al punto che, se un autore bianco occidentale racconta la storia di un personaggio che non appartiene al suo gruppo etnico, viene accusato di appropriazione culturale e per questo boicottato. Ma la letteratura è da sempre calarsi nei panni dell’altro. A me queste derive ormai asfissianti fanno venire in mente la Neolingua e lo Psicoreato immaginati da Orwell nel suo 1984.

Perché hai sentito la necessità di scrivere questo libro? 

Ho iniziato a prendere appunti oltre dieci anni fa. Non sopportavo più certe ipocrisie, dai ciechi definiti “non vedenti” alle vittime civili dei bombardamenti passati come “danni collaterali”, passando per i licenziamenti diventati “esuberi”. Avendo poi amato moltissimo da ragazzo, e in seguito tradotto, proprio Le avventure di Huckleberry Finn, sapere che si voleva proibire quel romanzo meraviglioso, che secondo Hemingway aveva dato origine a tutto quel che di buono aveva partorito in seguito la narrativa americana, mi ha fatto scattare la scintilla che poi ha dato origine a questo mio libro.

La comunità LGBT sta schiumando di rabbia per l’emendamento “salva idee”, il quale sancisce l’impossibilità di sanzionare chicchessia per aver espresso un’opinione – per esempio, sostenere in pubblico la propria contrarietà alla famiglia arcobaleno, ecc. Non si vogliono accontentare della repressione – peraltro prevista dalla Costituzione – verso chi compie atti violenti per motivi afferenti alla sfera sessuale. Secondo te, ci sono o ci fanno?

Io credo nella libertà di pensiero e di espressione. Sarà per via del mestiere che faccio. E credo che le idee, giuste o sbagliate che siano, si combattano con le idee. Non mi piacciono né le censure né le liste di proscrizione. E penso, per esempio, che boicottare Dolce e Gabbana per aver espresso la loro opinione contraria in merito all’utero in affitto, come avvenne qualche anno fa, sia segno di un’intolleranza ormai radicata in chi si professa tollerante e si batte per la tolleranza – purché si tratti della tolleranza nei confronti delle proprie idee e istanze. Detto questo, mi pare sacrosanto sanzionare e punire chiunque compia atti violenti per motivi afferenti alla sfera sessuale. Ognuno deve essere libero di vivere la propria sessualità come meglio crede, ferma restando la tutela dei minori. Tutto è lecito, tra adulti consenzienti.

Qual è il vocabolo più intollerabile introdotto dal regime del politicamente corretto e perché lo è?

“Bombardamenti umanitari”. Da parte mia non riesco a conciliare le due parole. La definizione risale all’epoca in cui un nostro governo di centrosinistra autorizzò l’uso di basi italiane per effettuare raid aerei sull’ex Jugoslavia. Poi, citerei anche il termine “riforme” per ciò che riguarda il mondo del lavoro: si tratta solo e sempre di controriforme, a tutti gli effetti. Chiamarle in quel modo mi pare una colossale presa in giro nei confronti di quelli che un tempo erano lavoratori salariati e oggi sono precari sfruttati a cottimo e privi di qualsiasi garanzia. Di nuovo, il precariato è stato introdotto in Italia da un governo di centrosinistra.

Ma, a tuo avviso, è possibile tornare indietro e ristabilire dei parametri di buon senso, dopo anni di repressione lessicale imperante?

Il buon senso tornerà forse con l’estinzione del genere umano. Ci stiamo lavorando alacremente, non ci vorrà molto.

In confidenza, non mi sembri proprio – e credo che la tua produzione letteraria ne sia testimonianza – quello che loro chiamerebbero un “fascioleghista”. Allora, com’è che a Sinistra, dato quello che scrivi, come questo libro, non ti hanno ancora fatto fuori dal giro?

Mai dire mai.

Matteo Fais

Un commento su ““IL POLITICAMENTE CORRETTO MI FA VENIRE IN MENTE LA NEOLINGUA E LO PSICOREATO IMMAGINATI DA ORWELL”: GIUSEPPE CULICCHIA DIALOGA CON MATTEO FAIS INTORNO AL SUO NUOVO LIBRO

  1. Molto interessante questo articolo e molto vero, si usano le parole, le più semplici e comuni, in certi casi , per essere corretti e non offendere.,a so diventa assurdi.
    Ma i Marocchini come li debbo chiamare: ,abitanti dello stato più a ovest del continente africano? ci si sofferma sulle cretinate e non ci si accorge della realtà: povertà è una parola moderna da usare! Altroché

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