Il Detonatore

Facciamo esplodere la banalità

L’EDITORIALE – CARE DONNE E CARA DOTTORESSA ALBERTI, È VERO, NOI DIPENDIAMO DA QUELL’ARNESE, CHE VOI CI AVETE AMPIAMENTE SCASSATO (di Matteo Fais)

Ogni giorno mi pento di non essere nato con la farfalla, ma col condor. Che palle – due palle così, a dirla tutta. E tira. E molla. Ha un po’ una vita sua, come quella del protagonista di Io e Lui di Moravia. È inquieto e furioso, meno sensibile di me allo spirito e più attaccato alla materia, malgrado io lo usi anche per far l’amore – attività decisamente più spirituale dello scopare. Ci tolleriamo a stento. Sovente, Lui mi guida verso percorsi di bassezza che non sento realmente miei. 

C’è poi da dire che sono stato cresciuto dalle donne, come molti della mia generazione – qualcosa di simile lo dice anche uno dei protagonisti del Fight Club. Il doposcuola dalle suore – che notoriamente non amano il cazzo. Poi, pure le zie femministe. Mia madre che raccomandava alla mia prima ragazza di guardarsi da ogni maschio, e quindi anche da me, perché “tanto siamo sempre noi donne a passare per delle poco di buono, mentre loro fanno la figura dei grandi uomini” – voleva sottintendere “se te lo ficcano dentro” ma, sia lodato il pudore borghese, mi ha evitato un simile imbarazzo. Alla fine, anche io sono diffidente verso la virilità. Mi piace inscenarla, ma per una sorta di autoironia innata, per poi prendermi in giro da solo. Non sono stato generato abbastanza rozzo e brutale. Troppi libri, dall’infanzia a oggi, e poche risse. So di non essere credibile, malgrado la barba e qualche sudato muscolo. Non mi riesce neppure di andare a put… pardon, a escort, perché finisce che – non chiedetemi perché – mi raccontano i loro problemi e io le ascolto, rispondo, consiglio e poi, al momento di andare al sodo, mi sembra male dire “Vabbè, però, mo trombiamo”. Merda, forse sono troppo sensibile per essere di Destra – però, per fortuna, non sono cuckold e quindi non posso fare neppure l’uomo di Sinistra.

Per tutta questa serie di motivi, capisco bene e in parte condivido il pensiero di Barbara Alberti, nella sua ultima intervista a “Il Foglio”, quando parla di noi maschi. “Provo grande tenerezza per loro. Sono sempre su un palcoscenico, giudicati per tutto. Dipendono ancora da quel loro arnese, che è un’arma di sconfitta. Il cazzo. È quello che li rende così rigidi e affezionati al potere, e li espone continuamente. Per noi è diverso, il piacere è un nostro segreto, non veniamo giudicate su come facciamo l’amore. Gli uomini sì e questo è terribile. Anche loro dovrebbero emanciparsi, sbarazzarsi di questa riduzione così meschina”. È vero, noi maschi siamo un po’ costretti a inscenare – anche se siamo arrivati a un certo livello di civilizzazione. La virilità è un peso, molto più dell’essere donna e dell’avere le mestruazioni. Da noi si pretende un fisico bestiale, a meno che la tipa non sia nella fase in cui si accontenta di chiunque pur di trovare marito. Dobbiamo essere sempre pronti, se lei lo desidera, e al contempo farci indietro se il desiderio in quel momento è solo nostro. Che poi, questo nostro desiderare è un pensiero viscoso, che non ci abbandona finché non è stato soddisfatto – meglio sarebbe dire spurgato. È un aneurisma pronto a far scoppiare il cervello e la capacità di concepire pensieri grandiosi. Anche la donna brucia, ma si sa cuocere a fuoco lento. Noi sappiamo solo incendiarci e consumarci senza scampo.
E sì, il potere ci affascina e forse la sua forza seduttiva è proprio legata, in noi, a quella cosa senza pace. Il potere, in qualsiasi ambito, porta il soddisfacimento – anche in quello intellettuale e, soprattutto, con donne intellettualmente superiori a coloro che non azzeccano una coniugazione verbale neanche con una pistola puntata alle tempie. Sì, probabilmente lavoriamo per il cazzo. Effettivamente, la faccenda è avvilente. E, non so perché, ma persino la ninfomane più puttana mi sembra meno puttana e lubrica di me. Quindi, debbo riconoscere, che fuor di dubbio il pene è sì “un’arma”, ma di “sconfitta”, come dice la Alberti. L’uomo perde sempre e loro, “con quella bocca pelosa”, per citare Sartre, vincono ogni volta. Difficilmente la vagina genera nella vita femminile tanto imbarazzo come la minchia nella nostra e una brutta figa ecciterà sempre più di un mediocre cazzetto. Ah, e dimenticavo che se siamo noi a penetrare la donna è altresì vero che niente come una vulva ti lega a quella donna per cui svolge il ruolo di sineddoche. L’uomo fotte, ma rimane come niente fottuto.

Malgrado ciò, il discorso della Dottoressa prende una piega così sciocca che non ho potuto fare a meno di ridere sguaiatamente: “Anche loro dovrebbero emanciparsi, sbarazzarsi di questa riduzione così meschina”. Che deludenti gli intellettuali italiani! E cosa dovremmo fare esattamente, gentilissima? Tagliarcelo e gettarlo nell’organico? Si rende conto che il discorso scade nel roboante, nella frase a effetto che non significa una sega? Noi siamo questa condanna. Non la supereremo mai. Non possiamo che amarci con compassione e senza mai prenderci troppo sul serio. Per la serietà, mia cara Signora, ci siete voi donne. Voi solo potete morire di purezza, gioire di piaceri non animali, immolarvi dall’alto della vostra nobiltà di sentimento. Perché, dunque, spaccarcelo come avete sempre fatto dal femminismo sessantottino in poi? Non sarà forse che, da parte di alcune di voi, esiste il neanche troppo recondito desiderio di un potere del menga, quale il nostro, ma senza l’ingombro del pene?

L’intervista si conclude, come era facile immaginare, con un elogio del gender fluid e di un’identità sessuale borderline (“io alla mia identità sessuale non ho mai creduto e mi è bastato innamorarmi anche solo una volta di una donna per capire che è una convenzione”). Ma questa è ancora un’altra tristezza.

Matteo Fais 

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